"Due Stati: l'illusione è finita"
di Angelo Pezzana
Se è vero che la pace si fa tra nemici, è anche vero che entrambi siano d'accordo nel volerla fare. Il conflitto arabo- israeliano, e la disputa su due stati per due popoli, dura almeno dal 1947, cioè da quando l'Onu ha diviso la Palestina in due stati, uno per gli ebrei e uno per gli arabi. Sono stati questi ultimi a non accettare quella divisione, a non rispettare il voto delle Nazioni Unite. Erano convinti di riuscire a buttare a mare gli ebrei e a impadronirsi dei loro beni con una guerra lampo, da iniziarsi immediatamente dopo la proclamazione di Israele, l'8 maggio 1948. Furono sconfitti, come in tutte le altre guerre scatenate dopo. Con la conseguente perdita di territori, quegli stessi che dal '67 sono oggetto di trattative, mai andate a buon fine, malgrado Israele, pur di raggiungere la pace, fosse disponibile a cederne una parte. Ma nemmeno questo è bastato.
Yasser Arafat prima, Abu Mazen poi, adottando la tecnica del sembrare disponibili, salvo mettere in atto quanto era necessario a tirarla all’infinito, fino a dire poi no, e addossare a Israele la responsabilità della rottura delle trattative. Il tutto con una logica ben precisa. Avendo vinto tutte le guerre, Israele andava sconfitto con altri mezzi, e la soluzione venne trovata nello Stato unico, binazionale, una parola mai pronunciata a voce alta – le parole ufficiali rimanevano sempre colloqui di pace, due stati per due popoli – seguendo la linea maestra che ha segnato la strategia dell'Olp negli ultimi trent'anni. Alternando terrorismo e dialogo,e usufruendo di una campagna pubblicitaria ben orchestrata, si è dato al mondo occidentale l'immagine di un Israele forte e deciso a non rinunciare ad alcuna parte del proprio territorio, enfatizzando lo sviluppo urbano in zone che sono rimaste contese soltanto grazie al rifiuto da parte palestinese di arrivare ad un accordo, equiparando lo Stato ebraico ad una potenza coloniale.
Abu Mazen, per esempio, aveva ottenuto l'assenso isrealiano per congelare le nuove costruzioni per dieci mesi, fino al 26 settembre scorso. Perchè non si è mai seduto al tavolo con Netanyahu per affrontare insieme i punti dell’accordo, ma ha aspettato che la moratoria terminasse per richiederne un’altra, questa volta definitiva, senza mai fare quello che ci si aspetta da chi vuole realmente arrivare ad un accordo con il nemico, sedersi intorno a un tavolo e discuterne le clausole. Ha preferio predisporree la macchina destinata alla guerra mediatica, affinchè provvedesse a distruggere l'immagine di Israele sui media internazionali. Aiutato in questo da una straordinaria predisposizione di un Occidente cristiano che ha perduto la capacità di analizzare quanto si sta muovendo nel mondo in fatto di terrorismo islamico. L'odio antico contro i giudei, un odio carsico che sembra presentarsi puntuale ogni volta che gli ebrei sono in pericolo, ha contribuito ad offuscare la realtà mediorientale, una regione nella quale si presenta Israele, l'unico paese nel quale i cristiani vivono in pace e godono di rispetto e uguali diritti, come un paese dai comportamenti simili ai regimi islamici, autoritari e dittatoriali.
Se aggiungiamo il dramma della presidenza Obama, la cui politica è pericolosamente simile a quella europea degli anni '30, allora il momento è giunto per porre le giuste domande. Non più come arrivare a un accordo di pace tra israeliani e palestinesi, visto che uno Stato è l'ultimo dei loro pensieri, ma come garantire la sicurezza all'unico paese democratico della regione, minacciato nella sua stessa sopravvivenza. Riprenderanno i colloqui ? David Ben Gurion diceva che chi in Medio Oriente non crede nei miracoli non è realista. Bene, magari avesse ragione. Ma, nel frattempo, guardiamo senza ambiguità e pregiudizi lo spettacolo che si presenta ai nostri occhi, e scegliamo da che parte stare. La posta in gioco, la vita di Israele, è troppo alta perchè gli stati democratici rimangano semplici spettatori.