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La Stampa Rassegna Stampa
20.10.2010 L'Iran sta conquistando l'Iraq e continua a minacciare Israele
L'allarme viene da Ahmad al Chalabi, politico iraqeno filo occidentale

Testata: La Stampa
Data: 20 ottobre 2010
Pagina: 15
Autore: Asseel Kamal - Claudio Gallo
Titolo: «Attenta America, Teheran si prende l’Iraq - Mahdi, l’ultima ossessione di Ahmadinejad»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 20/10/2010, a pag. 15, l'intervista di Asseel Kamal a Ahmad Chalabi dal titolo " Attenta America, Teheran si prende l’Iraq ", l'articolo di Claudio Gallo dal titolo "  Mahdi, l’ultima ossessione di Ahmadinejad " preceduto dal nostro commento.
Ecco i due pezzi:

Asseel Kamal - " Attenta America, Teheran si prende l’Iraq "


Ahmad Al Chalabi

Ahmad Al Chalabi è il capo dell’Iraqi National Congress Party, il partito che convinse il Congresso Usa, durante la presidenza di Bill Clinton, della necessità di rovesciare il regime di Baghdad. Ma ora, a sette anni dall’intervento americano, l’Iraq libero sembra gettarsi nelle braccia del vicino Iran piuttosto che in quelle americane. Il premier Nouri Al Maliki è in visita ufficiale a Teheran, e le autorità della repubblica islamica giocano un ruolo importante per arrivare a un accordo con il leader estremista sciita Muqtada Al Sadr, per un nuovo governo, a totale traino sciita, che garantisca ad Al Maliki di restare in carica e risolvere il puzzle politico uscito dalle elezioni del 7 marzo. Chalabi, alla guida un gruppo di partiti riuniti nella National Alliance, è stato candidato alla carica di primo ministro.
Parliamo del nuovo ritardo nella formazione del governo.
«È molto inopportuno e deludente sul piano politico. I politici antepongono gli interessi dei singoli e dei partiti alle necessità del Paese. Ed è deludente che una parte politica si appoggi così apertamente all’Iran. Rischiamo di finire sotto la sua influenza. Bisogna riflettere».
Che ne sarà delle relazioni con gli Usa dopo il ritiro totale delle truppe?
«Credo dovremmo mantenere relazioni molto buone e positive».
Nonostante tutto quello che hanno fatto in Iraq?
«L’America non ha fatto in Iraq quello che ha fatto in Vietnam e non ha agito in modo ostile come contro la Cina o il Giappone, non ha gettato l’atomica. E tutte queste nazioni hanno superato il passato e hanno sviluppato buone relazioni con l’America, con loro grande vantaggio; la Cina è riuscita a vendere attrezzature sofisticate e robaccia, e tutte vanno negli Stati Uniti, questo ha reso la Cina un Paese con il maggior capitale in dollari, in grado di influenzare i mercati di tutto il mondo; tutto questo è successo dopo la visita di Nixon in Cina nei primi Anni 70. Così per noi uno dei maggiori problemi è che in Iraq gli Usa hanno solo speso soldi e non c’è una presenza significativa di aziende americane in Iraq. Le cose più care che compriamo dagli Stati Uniti sono aerei, cannoni e carri armati».
Non crede che l’Iraq perderà il controllo sul proprio petrolio?
«Il petrolio iracheno non era di proprietà statale. Gli Stati Uniti ne hanno approfittato di più prima che adesso. Vi rimando all’intervista di Saddam con Avril Dalaski quando dice: “Voi pensate che sia stato un caso che noi abbiamo venduto la maggior parte del nostro petrolio agli Usa?”».
Chi beneficerà di più del business del petrolio?
«La Costituzione dice che il petrolio e le risorse dell’Iraq sono di proprietà del popolo iracheno, non dello stato. Molti Paesi hanno stipulato un contratto con il governo per estrarre petrolio. Quale percentuale hanno gli Stati Uniti? Meno dei cinesi. Lei pensa che gli Stati Uniti abbiano fatto la guerra in Iraq per dare ai cinesi la quota maggiore dei diritti sulla prospezione di petrolio in Iraq? Perché avrebbero dovuto farlo?».
Per cosa allora, per le armi di distruzione di massa?
«È una questione molto complessa. Ho detto quello che dovevo dire su questo, è un onore che non rivendico e una voce che non smentisco. Avevamo in agenda di rovesciare Saddam, non è un segreto, la nostra intera opera negli Stati Uniti era convincerli ad aiutarci a rovesciare Saddam Hussein. Non l’abbiamo mai nascosto. Le armi di distruzione di massa erano una questione marginale, per quanto ci riguardava, sì. Guardi, quando si è smesso di parlare di questo problema? L’amministrazione americana voleva parlare di armi di distruzione di massa perché voleva intraprendere un’azione militare diretta e trovare una giustificazione per la guerra».
Nel 2002 lei tenne un discorso sulla necessità di disarmare l’Iraq.
«Questo era vero, dal nostro punto di vista; tutto il nostro lavoro era focalizzato sulla distruzione di Saddam in Iraq e sulla minaccia che Saddam rappresentava per i Paesi vicini. Abbiamo anche sottolineato i legami di Saddam con i terroristi islamici».
Erano reali?
«Zarqawi venne in Iraq quando Saddam era qui e fu ricoverato all’ospedale Ibn Sina».
E oggi? Gli iracheni possono garantire la sicurezza in Iraq?
«Solo se la nostra capacità di addestramento e il sistema informativo migliorano, i sistemi di informazione iracheni devono essere rivisti».
Che piani ha per l’economia?
«Proporremo leggi che aboliscono quelle in vigore, le leggi volute da Saddam incentrate sul capitalismo di Stato e sul controllo della produzione e della distribuzione in Iraq. Penso che il settore privato dovrebbe svolgere un ruolo importante e vitale e tutte le norme dal periodo di Saddam e in qualche modo anche dopo, vanno contro il settore privato. Siamo ancora soggetti alle leggi di Saddam».

Claudio Gallo - " Mahdi, l’ultima ossessione di Ahmadinejad "


Mahmoud Ahmadinejad

Gallo scrive : " Una visione che non rassicura comunque gli israeliani (la rivalità geopolitica con l’Iran khomeinista è ben concreta), ma permette di capire la reale portata delle minacce.". Rivalità geopolitica con l'Iran ? Israele non è in competizione con l'Iran, ne è minacciato. Il termine 'rivalità', implica che anche Israele sia una minaccia, cosa che non è.
Ecco l'articolo:

Sabato scorso a Erdebil, nel Nord Ovest azero dell'Iran, il presidente Ahmadinejad è tornato a predire la fine di Israele: «Il regime sionista sta per andare all’inferno insieme con i Paesi che lo sostengono: le cose si stanno muovendo in questa direzione...». Qualche giorno prima a Qana, il villaggio libanese forse sede delle nozze evangeliche (e teatro di due massacri israeliani di civili: 1996 e 2006), aveva detto: «Miei cari, mentre voi rimarrete, i vostri avversari, nemici dell’intera umanità, sono sulla china scivolosa della distruzione».
Quando si avventura in questo genere di profezie Ahmadinejad parla un linguaggio religioso e non politico: si riferisce al ritorno, secondo lui ormai vicino, del Mahdi, il messia degli sciiti. Non annuncia che l’Iran distruggerà Israele (cosa irrealistica, nonostante tutti i proclami, dal punto di vista dei rapporti di forza), ma dice: «Verrà la fine del mondo e Dio distruggerà i cattivi», in questo caso lo Stato di Israele. Insomma, il presidente iraniano si aspetta che sia il Messia a fare il lavoro al posto suo. Una visione che non rassicura comunque gli israeliani (la rivalità geopolitica con l’Iran khomeinista è ben concreta), ma permette di capire la reale portata delle minacce.
Influenzato probabilmente dal suo maestro religioso, l’Ayatollah Mohammad Mesbah Yazdi, tre anni fa durante un discorso a Mashad aveva fatto sobbalzare i turbanti di Qom, il Vaticano sciita, dicendo: «Vediamo la sua mano (del Mahdi) dirigere gli affari del Paese». Molti teologi considerarono eretica la pretesa di avere un canale privilegiato con il Messia, e ancora di più che l’Imam Zaman (l’Imam del Tempo) appoggiasse il governo. Un ayatollah ironizzò sul fatto che il Mahdi non avrebbe mai accettato l’attuale tasso di inflazione. Ma le critiche degli «ortodossi» non hanno scalfito la fede apocalittica di Ahmadinejad, che procede sul suo cammino di neocon iraniano in attesa della fine del mondo.

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