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La Repubblica Rassegna Stampa
20.10.2010 Il giuramento di fedeltà a Israele come Stato ebraico non è una richiesta razzista
Gad Lerner e Maurizio Chierici salgono in cattedra per dimostrare il contrario, ma non ci riescono

Testata: La Repubblica
Data: 20 ottobre 2010
Pagina: 49
Autore: Gad Lerner
Titolo: «Israele e lo Stato nazione»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 20/10/2010, a pag. 49, l'articolo di Gad Lerner dal titolo "Israele e lo Stato nazione".


Gad Lerner                           Maurizio Chierici

Gad Lerner definisce in questi termini la proposta di imporre a chi desidera la cittadinanza israeliana un giuramento di fedeltà  in quanto Stato ebraico " imposizione al loro interno di un´omogeneità etnica e religiosa. Se necessario contro la demografia, contro la laicità, e quindi perfino contro la democrazia.". La proposta di giuramento non impone nessuna omogeneità etnica e/o religiosa. Non si impone a chi desidera la cittadinanza una conversione all'ebraismo, ma solo di riconoscere che Israele è lo Stato ebraico.  Ma Israele è nato così. E' una democrazia, non impone nessuna confessione religiosa nè si sogna di voler espellere i non ebrei. 
Sulla stessa falsariga, il pezzo di Maurizio Chierici sul FATTO QUOTIDIANO del 19/10/2010. Nel suo articolo, Chierici critica la proposta di legge sulla cittadinanza, sfruttando le parole di Gideon Levy, firma filo-islamica di Haaretz  contro il governo Netanyahu. Nel pezzo vengono usate parole come 'teocrazia', 'razzismo', 'etnocrazia', 'nazionalismo', tutte riferite a Israele. Viene da chiedersi se Levy e Chierici siano mai stati in Paesi teocratici, razzisti e nazionalisti. Per fare un esempio, in Iran. Levy e Chierici potrebbero farci una gita e poi, se riesce loro di tornare a casa, scrivere un articolo a quattro mani al riguardo.

Riportiamo dalla rassegna ucei di MOKED del 19/10/2010, il commento di Ugo Volli ai pezzi di Maurizio Chierici e Gad Lerner : 

"A proposito di Medio Oriente, vi sono due violente prese di posizione anti-israeliane. Maurizio Chierici sul Fatto riprende un vecchio titolo di Sergio Romano e scrive una “Lettera agli amici ebrei”, raccogliendo un’istigazione del più antisionista degli opinionisti di Haaretz, Gideon Levy, per invitarli a scherarsi contro Israele per favorire con questa mancanza di solidarietà il processo di pace. E’ la vecchia idea di J-Street del “tough love”, che dovrebbe portare - chissà, magari con un colpo di stato - al rovesciamento del legittimo governo israeliano, cui fra l’altro i sondaggi assegnano costantemente una ulteriore crescita di popolarità rispetto alle ultime elezioni. Non ci crede più neanche Obama. Ma le posizioni di Chierici ricordano quelle richieste agli ebrei italiani di mettere sotto processo Israele che nell’82 portò agli attentati alla sinagoga di Roma. Grazie, signor Chierici, di amici come lei non sappiamo che farcene. Più interessante, anche se politicamente non dissimile, l’articolo di Gad Lerner su Repubblica. Il punto centrale è che il problema di Israele sarebbe quello di voler essere uno stato nazione per gli ebrei, entità superata secondo Lerner, in Medio Oriente ma anche in Europa. Dovremmo tutti rassegnarci a non avere un’identità culturale definita e a farci sommergere dalle ondate migratorie di passaggio, tutti apolidi o “bastardi”, per usare il titolo di un suo libro. Peccato che i cittadini di Israele e una parte crescente di quelli europei si siano resi conti che questa è la ricetta per la guerra civile e in definitiva la sottomissione all’islamismo più aggressivo.".

Ecco l'articolo di Gad Lerner:

Risuona tristemente familiare alle nostre orecchie la controversia sulla cittadinanza in corso nello Stato d´Israele. Ci tocca da vicino non solo per i vincoli storici di solidarietà che legano l´Europa al popolo ebraico dopo la Shoah. Ma perché rende evidente l´affanno con cui, non solo in Medio Oriente, gli acerrimi difensori di un´idea sdrucciolevole qual è lo Stato-nazione s´illudono di farne coincidere lo spazio geografico, le frontiere, con l´imposizione al loro interno di un´omogeneità etnica e religiosa. Se necessario contro la demografia, contro la laicità, e quindi perfino contro la democrazia. Siamo proprio sicuri che tale dilemma non riguardi anche le altre democrazie?
Sollecitato dall´estrema destra, il premier Netanyahu ha fatto approvare dal consiglio dei ministri un disegno di legge in base al quale i non ebrei aspiranti alla cittadinanza - finora tenuti a promettere lealtà alla Stato d´Israele e alle sue leggi, come avviene in molti altri paesi - dovrebbero in futuro assumersi un impegno ulteriore: giurare fedeltà a Israele in quanto "Stato ebraico e democratico". Cosa significa rispettare la natura democratica di uno Stato, ci è chiaro. Ma cosa significa rispettarne la natura ebraica, soprattutto per chi ebreo non è?
Proviamo a trasferire in Italia l´analoga domanda da rivolgere ai suoi nuovi potenziali cittadini. Gli chiederemmo di giurare fedeltà a una religione, a un codice genetico, a una lingua, a una storia, o a cos´altro che non sia la Costituzione repubblicana?
Eppure i cultori di un´italianità da custodire al riparo di intrusioni, sacralizzata magari dal richiamo a una religione sminuita come mera tradizione, compiono la medesima forzatura di chi pretende che un arabo per diventare israeliano giuri fedeltà allo Stato ebraico.
Non a caso i padri fondatori del movimento sionista maneggiarono sempre con estrema cautela la nozione di "Stato ebraico", fin dal manifesto di Theodor Herzl del 1896. Dove peraltro la laicità dell´autore escludeva qualsiasi riferimento biblico, fino a proibirsi di scrivere la parola Israele. Semmai in Herzl l´aspirazione a edificare un focolare nazionale per quella minoranza dispersa e discriminata - da lui definita "un anacronismo" e, addirittura "uno strascico di medioevo" - rispondeva a una necessità emancipatoria: per quella via gli ebrei dovevano acquisire "un´onorevole protezione e parità di diritti". Normalizzarsi nella modernità, non perpetuare la distinzione cui la storia li aveva condannati.
Con la medesima premura il 14 maggio 1948, leggendo la dichiarazione d´indipendenza dello Stato d´Israele, David Ben Gurion riconosceva "completa uguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione di religione, razza o sesso". Giustamente il ministro laburista Avishai Braverman, che insieme a altri sette colleghi di governo ha votato contro il nuovo disegno di legge sulla cittadinanza, sostiene che "Ben Gurion si rivolta nella tomba di fronte a una tale macchia".
La stessa "legge del ritorno" in base a cui lo Stato d´Israele naturalizza immediatamente come suo cittadino qualunque ebreo chieda di esservi accolto, corrispondeva allo spirito di dare rifugio a un popolo di fuggiaschi, ma senza privilegiarli rispetto ai cittadini non ebrei. Che oggi corrispondono al 20 per cento della popolazione totale e rappresentano ogni anno la metà dei nuovi nati.
Contrastare il fattore demografico con una barriera identitaria non è solo disonorevole e illusorio per una democrazia: è letale. L´ha spiegato efficacemente agli israeliani Sergio Della Pergola, docente di statistica all´università di Gerusalemme: non sarà loro possibile preservare contemporaneamente le tre prerogative di uno Stato grande, ebraico e democratico. Una di esse, almeno, andrà perduta. Ma se Israele scegliesse di rinunciare alla sovranità sugli insediamenti nei territori occupati, è forse pensabile che i coloni ebrei giurino fedeltà a uno Stato palestinese (o islamico)?
"Sento puzza di fascismo", ha denunciato amaramente Yitzkak Herzog, anch´egli ministro e figlio di un fondatore dello Stato ebraico. Lui ragiona da uomo laico. Ma deve preoccuparsi altrettanto chi ha a cuore le sorti spirituali millenarie dell´ebraismo, che una convenienza governativa spregiudicata vorrebbe mortificare a requisito di fedeltà statuale, rinnegandone i significati. Mentre la dura critica avanzata nei confronti di Netanyahu da parte del Sinodo speciale sul Medio Oriente convocato da Benedetto XVI rischia di far retrocedere le relazioni fra Israele e il Vaticano all´epoca preconciliare, quando la Chiesa malediceva come una profanazione la nascita di uno Stato ebraico in Terra Santa.
L´ossessione identitaria che pretende di codificare le appartenenze comunitarie su base etnocentrica o religiosa, negando la sua prepotenza confessionale solo perché i suoi cultori senza fede si camuffano da laici, rivela così il proprio limite: divide i seguaci lungo demarcazioni impreviste. Ma questo è solo un dettaglio.
Di ben altra, drammatica portata è il malessere rivelato dalla società israeliana sotto assedio, frazionata e disorientata. È l´impianto stesso del progetto sionista a scricchiolare, col rischio di cadere nel medesimo gorgo in cui l´islamismo ha già da tempo risucchiato il nazionalismo arabo.
Il sionismo snaturato come esclusivismo aggrava le incognite da cui vorrebbe proteggere gli israeliani, nega la missione salvifica d´Israele. Ma non illudiamoci: a Gerusalemme, certo con maggiore urgenza, stanno cimentandosi con i dilemmi che attendono al varco tutte le democrazie.

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