Concepire l'islam solo come una religione è una trappola mortale per gli Europei
di René Marchand
(Traduzione a cura di Jocelyne Cohen Mosseri)
Renè Marchand
In occasione del Ramadan, da noi
L'Islam, totalitarismo guerriero, usa la nostra concezione di "religione" come cavallo di Troia per la conquista sovversiva dell'Europa.
Obiettivi: La libanizzazione prima dell'islamizzazione totale
Della necessità di una strategia di controffensiva
Come valutare la portata dei numerosi segni che testimoniano dell'avanzata dell'islam nei paesi europei, da quelli in apparenza più insignificanti – come la scelta dei nomi di bambini d'immigrati venuti dal Maghreb – , fino ai più spettacolari, come la moltiplicazione delle moschee o del velo per le donne? Come gli stessi i mussulmani interpretano ognuno di questi segni? Siamo noi di fronte ad una campagna d'islamizzazione del nostro continente? Se questa ipotesi fosse vera, chi è che conduce l'offensiva? Chi è che vi partecipa oggi? Chi è suscettibile di aderirvi a breve e a lungo termine? E' la coesione dei nostri popoli minacciata? Esiste un rischio di frattura in seno alle nostre nazioni? Di guerra civile? E' l'avvenire della nostra civiltà messo in causa? Queste sono domande che dirigenti, capi di partiti, autorità spirituali, intellettuali, etc. dovrebbero porsi nel momento in cui l'Europa conta sul proprio suolo, una comunità mussulmana di più di venti milioni d'individui, peraltro in costante crescita, sia per via interna, sia per apporto esterno: "immigrati" stanziali che rifiutano l'assimilazione pura e semplice ai popoli che li hanno accolti, e rivendicano sempre più diritti particolari. La Francia dove i mussulmani rappresentano dieci per cento della popolazione, onorerebbe se stessa se prendesse l'iniziativa di riflettere – semplicemente riflettere prima di qualunque altra cosa – a questa pesante mutazione nelle nostre società.
Diciamolo pure apertamente; è indispensabile che cominciamo a sbarazzarci di molti preconcetti a proposito d'islam e di mussulmani. Sommarie, spesso false, a volte vere e proprie tare ereditate da un passato lontano, alcune delle nostre idee sono estremamente nocive non appena ci si accinge a toccare il campo dell'azione. E' doveroso fare un po' di pulizia in quella confusione. Largo alle realtà, anche se disturbano la nostra tranquillità intellettuale! L'esercizio sarà difficile. Da parte nostra, richiederà ricerca, riflessione, onestà, perseveranza. Inoltre, converrà evitare - almeno in un primo momento - i giudizi di valore su noi stessi o sugli altri; perché offuscano la vista e impediscono di porre i problemi nei termini appropriati.
L'islam, definito solo come "religione": una trappola mortale
L'ignoranza spinge sempre i popoli ad apporre, sopra fenomeni che sono loro estranei, le proprie idee, il proprio schema di analisi: è l'errore di etnocentrismo. E' ciò che noi Europei abbiamo fatto e continuiamo a fare con l'islam, con una miopia uguale solo alla "ignoranza della nostra ignoranza": crediamo di conoscere bene questa civiltà che ci è contigua da sempre, che abbiamo vinto nel corso degli ultimi secoli, e che ora è presente sul nostro suolo.
E' così che definiamo l'islam come una "religione" senz'altra precisazione. In questo nostro secolo, in Europa, la parola "religione" ricopre un culto, dei riti, una tradizione, ma prima di tutto una fede, cioè qualcosa che attiene alla sfera privata, al diritto che ha ognuno di noi di pensare quello che vuole e di credere a ciò che vuole. E cadiamo nella trappola.
Dicendo "l'islam è una religione" come una verità riconosciuta da tutti e che non merita commenti, di conseguenza, e in nome dei nostri valori democratici e laici, proibiamo a noi stessi di esaminare da vicino la sua natura, la sua ideologia, i suoi modi di espressione, i suoi mezzi e i suoi fini, e ci guardiamo bene dall'interferire nelle pratiche dei suoi fedeli.
I musulmani, i quali ci conoscono perfettamente, approfittano a fondo della nostra ignoranza soddisfatta, ma anche del nostro rispetto del diritto dell'individuo, per rivendicare la libera espansione della loro "religione" in seno alle nostre nazioni. L'islam "religione" è l'arma principale dei promotori dell'islamizzazione dell'Europa. E' il cavallo di Troia di un totalitarismo in una guerra di conquista.
Un totalitarismo, a fondamento religioso, opposto alla laicità
L'islam è una cosa molto diversa da ciò che chiamiamo "religione". In prima analisi, diciamo che si tratta di un insieme indivisibile, che comprende identità (un'identità che prevale su qualunque altra, alla quale è proibito rinunciare pena la morte), religione, diritto, morale, civiltà, culture – usando il vocabolario delle nostre lingue indo-europee che ricopre in maniera molto imperfetta i suoi componenti.
Nell'islam, tutto ha un contenuto religioso; tutto - assolutamente tutto – è posto sotto il segno di Allah, fa riferimento al suo libro (il Corano, immutabile ed eterno come Allah), al suo Profeta, il "primo modello", e ai primi compagni di quest'ultimo.
L'islam ignora le nostre distinzioni tra il politico e il religioso, il sacro e il profano, il diritto pubblico e il diritto privato, tra il diritto, la morale, i costumi. E' un totalitarismo a fondamento religioso senza dubbio, ma non certamente una religione nel senso che diamo a questa parola oggi nei nostri paesi (diffidiamo dell'etnocentrismo sotto ogni aspetto: il termine "totalitarismo", per i democratici occidentali quali siamo, ha una carica negativa, mentre per un uomo di fede, preoccupato di porre la propria vita nella sua interezza sotto la compiacenza del proprio Dio, non può essere altro che valorizzante).
A proposito di diritti e doveri dell'individuo, il totalitarismo islamico è di un estremismo e di un rigore senza equivalente nella storia. L'individuo è preso in una trama di divieti e di doveri per tutte le circostanze della sua vita. D'altra parte, in ogni momento, si trova collocato in un sistema incrociato di sorveglianza e di sanzioni affidato, verticalmente, a quadri superori: imam, ulema, qadi, etc. e, orizzontalmente, a parenti, vicini, mussulmani ordinari. Solamente il tenere conto di queste realtà, ci consente di porre con pertinenza la questione della compatibilità dell'islam con i principi costitutivi delle nostre società, in particolar modo in Francia, dove vige un pilastro della nostra repubblica: la laicità.
- Sul piano concettuale, un islam laico è impensabile perché contrario ai dogmi più sacri. Strettamente inimmaginabile. Come un cerchio quadrato o un triangolo a quattro punte.
- Un musulmano può anche dirsi laico: non lo è, non lo può essere. Un musulmano che si pretende laico è un ignorante, un ingenuo, un cinico o una talpa.
- Una varietà d'islam che accetti le leggi e i costumi di un paese non musulmano, "restituendo a Cesare, ciò che è di Cesare", in breve, un islam che rispetti la laicità di una nazione è altrettanto impossibile.
Su punti così essenziali come la collocazione del politico e del religioso o la libertà di coscienza, la scelta è binaria: o la laicità o l'islam.
- La storia e l'attualità ci forniscono la risposta musulmana a questa domanda sulla compatibilità: non appena ne ha il potere, un'autorità fondata sull'islam ha sempre ridotto i non-musulmani allo stato di soggetti subordinati e ha loro proibito ogni propaganda della loro ideologia.
Donde l'importanza della lotta per il rispetto della laicità di fronte alle tracimazioni dell'islam nel nostro spazio civile. Del resto, la laicità è un metro insostituibile per giudicare la minaccia islamica sui nostri valori e modi di vita.
Riassumiamo: lasciando che l'islam si accomodi confortevolmente sul nostro territorio, con la vana speranza di controllarlo, i nostri governanti non fanno posto a una religione della sfera privata tra tante, ma a un totalitarismo incompatibile con tutto ciò che fonda la nostra civiltà. E questo totalitarismo è costantemente mobilitato per la conquista.
L'islam nasce e può solo essere espansionista e guerriero
- L'islam, per nascita, geneticamente, in funzione dei suoi dogmi più sacri, impossibili da riformare, indiscutibili e mai messi in discussione, ingiunge ai suoi adepti il dovere di espansione.
- Tra i mezzi legittimi di tale espansione, figura la guerra (nel Corano, due sinonimi: jihad, qital)
· Sotto la forma violenta, sanguinosa, del confronto armato,
· Ma anche sotto una forma sovversiva; l'islam ammette, anzi raccomanda, tutti i tipi di mezzi: furbizia, dissimulazione, menzogna (taqiyya, kitmân, makr…). Allah garantisce a colui che svolge questo compito, quest'obbligo, le più grandi ricompense: quando è in vita, il bottino e, se dovesse morire come "martire" nel "cammino di Allah", il Paradiso (Corano).
Sin dalla nascita, nel VIIº secolo della nostra era, l'islam ha dichiarato guerra al resto dell'umanità, "una guerra universale e perpetua", dividendo il mondo in Casa dell'islam (dâr al-islâm) e Casa della guerra (dar el harb). Ha smesso di aggredire solo quando è stato dominato o controllato. (in posizione di forza o di parità, un musulmano può firmare con un potere "infedele" soltanto una "tregua" della durata massima di dieci anni, ciò in riferimento ad una azione simile di Maometto di fronte agli abitanti della Mecca, nel 628)
Sul ruolo della guerra nella storia dell'islam, gli specialisti sono unanimi: in ogni epoca, essa fu il mezzo privilegiato della sua espansione.
La riforma impossibile, la dinamica involutiva
E' un'altra realtà della quale dobbiamo convincerci: l'islam non ha mai conosciuto riforme e non può essere riformato. La sua dinamica è "involutiva", fondamentalista, reazionaria. Ciò è dimostrato dalla sua stessa genetica (ma siamo fuori dal quadro di questo articolo) ed è provato dalla storia.
Fino all'impatto con l'Occidente, due secoli fa, tutti i grandi movimenti intellettuali, tutte le rivolte, tutti i cambi di dinastia si sono fissati per obiettivo, non di fare tabula rasa del passato, bensì di ritornare all'islam delle origini, più o meno mitizzato. Si trattava, non già di ispirarsi a quest'islam più "puro", più rigoroso, ma di imitarlo. Il peggior crimine-peccato era l'innovazione (bid'a).
Attualmente, gli unici partiti (in senso lato: politici, religiosi, intellettuali, secondo i nostri criteri verbali) che fanno proseliti nei paesi musulmani e in Occidente, sono i partiti che predicano il ritorno alle origini. Questo "riflusso continuo" inerente all'islam sin dalle origini, è bene ripeterlo, si trova oggi stimolato da più fattori: la volontà di recuperare un'identità a lungo malmenata dagli occidentali, un desiderio ben comprensibile di rivalsa; il fallimento dei modelli di governo e di sviluppo importati in terra d'islam. I nazionalisti, i modernisti sono sulla difensiva; si esprimono solo nelle democrazie occidentali e la sincerità di molti tra loro può essere messa in dubbio. Inoltre, bisogna sapere che non dispongono di alcuna dottrina da opporre alla corrente maggioritaria.
Tali fatti, evidenti, innegabili, significano tra l'altro che la speranza di veder sorgere in Europa un "islam illuminato" è un'utopia oppure … uno strumento di propaganda. Anche supponendo che, in uno dei nostri paesi, un ramo dell'islam sviluppi ramoscelli laicizzanti o tolleranti verso gli altri, queste stranezze sarebbero presto o tardi, ridotte a nulla dall'ortodossia alla quale obbediscono un miliardo e quattrocento milioni di individui, i quali, ai giorni nostri comunicano tra di loro da un capo all'altro della Terra, in particolare tramite le televisioni satellitari.
La "divina sorpresa"dell'Europa, terra d'immigrazione dell'islam
Per secoli, la legge proibiva a un Musulmano di stabilirsi durevolmente in un paese non musulmano, perché gli sarebbe stato impossibile compiere i suoi doveri e perché i suoi costumi rischiavano di corrompersi. Nel secolo scorso, l'Algerino Ben Badis, o il Fratello musulmano egiziano Sayyid Qutb, non avevano parole abbastanza dure per condannare chi emigrava dagli infedeli.
All'improvviso, al volgere degli anni 70/80, il discorso di questi maestri del pensiero cambiò. Che cosa era successo? Alcuni Europei, spinti da avidità finanziaria (a destra) e/o da calcolo politico (a sinistra), facevano arrivare mussulmani in numero consistente sul loro territorio, poi, per stupidità e debolezza, lasciavano che altri vi si istallassero a milioni.
La costituzione di una diaspora musulmana in Europa occidentale – una novità nella storia – è stata analizzata dai musulmani più attenti verso i loro sacri doveri, come un colpo di fortuna per riprendere la guerra di espansione. Il continente nemico ereditario era di nuovo a portata dei Credenti. Ma questa volta la guerra sarebbe stata sovversiva. La taqiyya avrebbe sostituito la scimitarra.
(il solo fatto di enunciare: "l'islam conduce una guerra sovversiva di conquista in Europa" scandalizza alcuni tra i nostri spiriti cosiddetti "antirazzisti". Ancora etnocentrismo, e in questo caso "razzismo" inconscio, ma assolutamente reale! In nome di che cosa, se non a partire di una presupposta superiorità della loro visione del mondo, alcuni occidentali non musulmani, possono rimproverare a dei musulmani di conformarsi ai loro propri più sacri valori e di allineare i loro atti con i loro dogmi fondamentali?)
Una strategia a "pelle di leopardo" allo scopo, inizialmente, di una libanizzazione
Una strategia precisa è stata elaborata ed è attuata sistematicamente. I ruoli sono ben distribuiti; ci sono generali di stato maggiore (come tra gli altri, l'egiziano-qatari Qadarawi, presidente del Consiglio europeo per la ricerca e la fatwa – sic-), combattenti (quadri e militanti di organizzazioni come la UOIF – (Unione delle organizzazioni islamiche di Francia,n.d.t)), simpatizzanti, manovalanza, talpe (molti musulmani "moderati"), e naturalmente, utili idioti (molti Europei DOC!), e alleati dalla vista corta. Questa strategia continua a accumulare vittorie, dimostrando così sia la sua realtà, sia la sua efficacia.
In una prima fase, le operazioni si articolano su tre assi:
- Primo, far arrivare in Europa, il maggior numero di musulmani (o di migranti suscettibili di essere islamizzati, come i neri d'Africa)
- Poi, reislamizzarli, che non significa tanto insegnargli, o reinsegnargli i dogmi e le leggi dell'islam o incitarli a frequentare la moschea, quanto dotarli di segni e comportamenti distintivi della loro appartenenza alla "umma", dunque rendere impossibile la loro integrazione nel paese di accoglienza. In che modo?
· I nomi dei bambini: dare a un bambino un nome musulmano, significa tatuarlo per sempre come musulmano, lui e tutta la sua discendenza, perché nessun musulmano o figlio di musulmano può abbandonare l'islam: è il crimine di apostasia, punibile con la morte. Oggigiorno, in tutta Europa, la pressione sugli immigrati è tale, che nessuno di loro può chiamar il proprio rampollo Marcello, Alberto o Isabella.
· Il velo delle donne: non solo indica un stato di inferiorità, ma significa anche l'interdizione di sposare un non musulmano; il velo è il vessillo di un'armata.
· Il ramadan: il mese lunare del digiuno ha una funzione poliziesca di primo piano: consente di identificare i "cattivi musulmani" i quali saranno pertanto puniti e riportati sulla retta via dalla pressione della comunità.
· Le moschee, che sono ovviamente ben altro che non "luoghi di preghiera", insieme municipi, luoghi di riunione per la politica e la propaganda ( tutti i movimenti di opposizione al "modernismo"sono nati nelle moschee), scuole, centri di formazione permanente, eventualmente caserme.
· Gli usi e costumi alimentari (carne halal, cioè lecita..) i quali, come i nomi e il vestiario sono marcatori quotidiani e permanenti dell'identità del soggetto nonché continui richiami a non farsi trascinare verso l'assimilazione alla società di accoglienza.
· Abituare gli Europei al "fatto musulmano", portarli a considerare la presenza dell'islam come "normale", non disturbante e definitiva; ciò che conduce a lasciare agli invasori ogni latitudine per portare a compimento il loro progetto di conquista. I nomi, il velo, le moschee, il ramadan, la carne halal, etc. devono essere a poco a poco banalizzati sul nostro territorio. La rivendicazione per "accordi ragionevoli", in nome della nostra tolleranza, del diritto dell'uomo, del rispetto dovuto alle religioni, etc., sarà metodica, incessante, qua e là, riguardante la separazione di uomini e donne nelle piscine, o la non-conformità di un determinato capitolo dell'insegnamento pubblico rispetto alla dottrina islamica.
Si tratta, come lo vediamo, di una conquista a "pezzi e bocconi", che concerne insieme le leggi, i costumi, i paesaggi,etc.; a "pelle di leopardo" per arrivare al riconoscimento giuridico di una comunità identitaria – che si potrà qualificare come "religiosa", secondo l'etnocentrismo – all'interno di ogni singolo paese, altrimenti detto; la libanizzazione.
La fase successiva – altrettanto ben programmata – è la conquista del territorio stesso. Non essendo più necessario risparmiare gli autoctoni, i guerrieri di Allah, utilizzeranno oramai la violenza armata. Il metodo è annunciato:
- Ottenere dal potere centrale "luoghi di sicurezza islamica"(sul modello delle città di sicurezza dei protestanti nel XVI secolo), dove la popolazione è in maggioranza islamica. In quelle zone, la legge islamica sarà applicata nella sua integralità.
- Partendo da questi punti d'appoggio, rosicchiare spazi in continuazione (ancora la "pelle di leopardo") I capi guerrieri fanno luccicare davanti alle loro truppe, lo specchio dell'islamizzazione totale, prima della fine del secolo o nel corso del prossimo, di un insieme comprendente:
· La Francia, che conta il maggior numero e la più alta percentuale di musulmani nella propria popolazione, colpevole di colonizzazione e di guerre contro l'indipendenza, terra dei "Franchi", all'origine delle crociate;
· Il Belgio, già indebolito dal suo dualismo comunitario di base e la cui capitale, Bruxelles, peraltro "capitale d'Europa', è già quasi demograficamente conquistata: fra dieci/quindici anni un abitante su due sarà musulmano;
· L'Italia, traguardo "spirituale" a causa del Vaticano;
· La Spagna, El Andalus, da Gibilterra a Narbonne , ingiustamente esclusa dalla Casa dell'islam.
Gli Europei applicano la strategia del loro nemico. Perché?
Gli Europei hanno lasciato che i musulmani, che fanno loro la guerra, sviluppino la loro strategia, senza neanche avere coscienza di essere attaccati. C'è qui un mistero che non è senza precedenti nella storia (vedi l'atteggiamento delle democrazie di fronte al nazismo e al comunismo degli anni 30). Quello che c'è di nuovo è che i paesi hanno contribuito attivamente all'insediamento del loro nemico, non solo cedendo alle sue richieste, ma addirittura precedendo le sue rivendicazioni, applicando la sua strategia "facendo sempre di piú": per esempio creare posti da "cappellano" nell'esercito o nelle carceri (nè la funzione, nè il termine stesso esistono nell'islam), o formare degli "imam" (una parola contenitore che permette le furbizie le più svariate).
Nelle ragioni di tutto questo, c'è in gran parte la cattiva coscienza coloniale, la diluizione dei valori della civiltà in Occidente, l'odio di sé stessi, il torpore di generazioni di gente sazia che vuole credere ogni guerra oramai impossibile. Quelle ragioni sono certe, ma non sono sufficienti per spiegare un atteggiamento letteralmente suicida. L'esame, a questo punto, non può che essere accennato: riteniamone alcuni punti essenziali:
- Gli interessi a breve termine di lobbies e partiti; il patronato che fa arrivare immigrati per fare pressione sui salari operai e disporre di una mano d'opera a buon mercato e poco protetta, i socialisti che sperano di creare un partito cardine a loro favore tra destra e sinistra;
- La sotto valutazione dell'avversario, il disprezzo degli ex colonizzatori i quali non possono pensare che uomini che hanno dominato possano seriamente minacciarli, e ancor meno vincerli.
- L'aikido (arte marziale giapponese di autodifesa,n.d.t.) a partire dalle nostre idee e dai nostri valori: una tecnica che funziona alla perfezione. Gli appelli alla tolleranza, al rispetto delle religioni, delle minoranze, alla libertà di coscienza servono a giustificare la nostra compiacenza rispetto a un totalitarismo cui queste nozioni sono sconosciute e che rifiuta con frenesia nei luoghi dove ha il potere.
- Il bisogno di rassicurare noi stessi. Per non dover immaginare l'orrore di una guerra con tutto l'islam, ci attacchiamo a tre contro-verità:
· "L'islam è solo una religione tra tante, d'altronde una religione di tolleranza e di pace". Sorvoliamo.
· "E' assurdo parlare dell'islam come di un'entità geopolitica; esistono molte varietà d'islam". Certo, ma tutti i musulmani, nei 57 paesi membri dell'Organizzazione della conferenza islamica e nelle comunità della diaspora, tutti aderiscono agli stessi "fondamentali", tutti leggono lo stesso Corano. Il sentimento di appartenenza dei musulmani ad una Umma radicalmente, ontologicamente diversa dal resto dell'umanità è costante dal VII secolo (cioè, notiamolo al passaggio, le possibilità di sostegno e mobilitazione nel nome dell'islam, in caso di scontro aggravato tra civiltà).
· "I moti aggressivi di musulmani, sia nelle nostre "banlieues", sia su scala planetaria sono facilmente spiegabili dalla povertà, dal sottosviluppo". Ci rifugiamo in una spiegazione semplicistica, con l'economia, mentre i peggiori terroristi vengono dalle petrodittature ricchissime; e rifiutiamo di vedere che il problema è identitario – forse perché non sappiamo più che cos'è un'identità, a cominciare dalla nostra.
Soprattutto, in questo bisogno morboso che fa sì che rifiutiamo di vedere l'islam com'è, ci siamo inventati gli "islamisti". Ascoltiamo le nostre definizioni di questi "pazzi di Allah": "gente marginale", "che sfigurano l'islam mettendolo al servizio di un'ambizione politica", "qualche individuo" "la cui arretratezza stessa condanna alla sparizione". E così, facciamo di Al Qaida, il nostro unico avversario musulmano, e dei suoi attentati sanguinosi, l'unico pericolo che ci viene dall'islam. .
- A questo punto – ed è un fatto al quale non prestiamo attenzione - , la guerra degli "islamisti", fa da schermo alla guerra sovversiva contro l'Europa, diversamente attiva e diversamente pericolosa. Occupa essa sola gli schermi, la stampa, centinaia di libri le sono dedicati e sono largamente divulgati mentre è impossibile trovare in libreria le rare opere che evocano l'invasione del nostro continente. Eppure, basta riflettere un po', gli attentati "islamisti" possono indurre solo soprassalti di autodifesa, di sopravvivenza, mentre la sovversione che cresce nel nostro stesso corpo sociale è un cancro letale.
Non vinceremo la guerra senza una strategia
Come uscire da un meccanismo di distruzione dell'Europa? Alcune indicazioni:
- Una strategia globale è indispensabile. Non è moltiplicando i colpi che si farà fronte alla strategia globale dell'avversario. Definiamo obiettivi chiari, capaci di mobilizzare le masse, elaboriamo metodi e mezzi, valutabili e rivedibili. Non ricominciamo gli errori dei crociati e dei colonizzatori i quali agirono sempre senza veduta d'insieme, a seconda delle circostanze, fino alla disfatta.
- Prendere coscienza dell'importanza della sfida. Viviamo attualmente un "processo permanente di libanizzazione"(Ivan Roufol). La libanizzazione è la guerra civile endemica tra l'islam, espansionista e guerriero e le altre componenti della nazione. Vogliamo lasciare quest'eredità ai nostri figli? Dopo la libanizzazione, il terrorismo islamico potrà dispiegarsi appieno e la fine della nostra civiltà non richiederà molto tempo. Conosceremo la sorte degli Ebrei di Medina, dei Cristiani di Bisanzio, dei Persi… Laddove passa l'Islam, le civiltà scompaiono. L'Europa ha iniziato a giocarsi la sua stessa sopravvivenza.
Al più presto
- Invertire le correnti migratorie con i paesi musulmani o aventi una propensione all'islamizzazione (il soggetto è troppo vasto perché sia trattato qui).
- Imparare l'islam e svelarlo. Dire che si tratta di un totalitarismo che non si riformerà mai. Innanzitutto, uscire dalla trappola dell'islam-religione. Quella religione nasconde un sistema politico, militare, giuridico e poliziesco senza pietà, che ignora la libertà dell'individuo, che rifiuta l'altro, che perfino raccomanda la guerra per la propria espansione. Possiamo accordare a un tale sistema, senza alcun controllo, mezzi di propaganda, scuole, trasmissioni sul servizio pubblico, cappellani nei nostri eserciti, predicatori nelle nostre carceri, etc.?
- Non cedere nulla dei nostri valori, le nostre leggi, la nostra morale, i nostri modi di vita, poiché nell'islam, tutto ciò che costituisce una civiltà dipende da una medesima Legge e dunque, ogni cedimento da parte nostra è una vittoria per il nemico.
- Basare la nostra azione nei confronti dei musulmani su due nozioni che ci sono comuni, e quindi saranno facilmente accettate:
· All'interno, la giustizia: una giustizia ferma, dalle regole conosciute e applicate sena debolezze. Esempio: bruciare una macchina = incendio volontario. Secondo il codice penale francese, art. 322 = dieci anni di carcere, 150 000 euro di ammenda.
· Verso i paesi esteri, la reciprocità: niente campo libero all'islam fintanto che i paesi musulmani ignoreranno la libertà di coscienza, niente predicatori musulmani fintanto che i predicatori cristiani saranno interdetti in terra d'islam. Così si porrà un termine all'ingerenza di regimi e di personaggi medievali e ostili nei nostri affari interni.
- Affermare forte e chiaro i nostri valori a casa nostra, insegnarli ai nostri figli. La fierezza d'appartenenza è la prima condizione perché un uomo si costruisca e perché una nazione si tenga eretta.
- Definire nei nostri paesi, per via democratica – il referendum sarà indispensabile – uno statuto dell'islam che tenga conto delle sue molteplici specificità, in particolar modo di quelle radicalmente incompatibili con i nostri valori e i nostri modi di funzionamento democratico. Bisogna arrivare al più presto al contenimento dell'islam in Europa.
- Nel corso del dibattito, non rifuggire dalla possibilità di esaminare un'interdizione pura e semplice di propaganda ed esercizio dell'islam in Europa.
Immediatamente
Operare all'unità dei resistenti: le spaccature interne alla nostra civiltà, come la distinzione tra destra e sinistra, cattolici e massoni, devono scomparire di fronte all'obiettivo comune. Un obiettivo simile a quello dei partigiani del 1940; vincere un totalitarismo per salvare le nostre democrazie e sopravvivere nella nostra personalità. Una questione di vita o di morte. Anche una questione d'onore.
Un paradosso? Solo la lotta contro l'islamizzazione dell'Europa ci varrà il rispetto dei musulmani.
Il programma sopra accennato non potrà non provocare la frenesia di numerosi occidentali che grideranno: "razzismo! Xenofobia! Islamofobia!". Ma come sarà giudicato dai musulmani?
Notiamo che la certezza della vittoria dei musulmani su di noi, è principalmente basata sulla nostra attuale incapacità a difendere la nostra civiltà di fronte alle intromissioni della loro. Le nostre debolezze, le nostre dimissioni davanti all'islam sono per loro prove della nostra decadenza, della nostra debolezza e persino della nostra empietà. Noi siamo dei "vinti a priori", e con il nostro comportamento non facciamo altro che dimostrare di meritare la sorte che ci attende, quella sorte che ci riservano gli uomini pii, morali, coraggiosi, che operano nel "cammino di Allah".
Riprendiamo in mano il nostro destino e il giudizio dei musulmani nei nostri confronti – di tutti i musulmani – cambierà immediatamente. Rispettando noi stessi, avremo il rispetto dell'altro. Nel contempo, fermando l'impresa di distruzione della nostra civiltà, diminuiremo l'aggressività degli infuriati e libereremo i più moderati dall'influenza degli agenti del totalitarismo. Con i paesi musulmani potremo stabilire scambi più tranquilli. Potremo parlare con ogni musulmano da pari a pari, in un linguaggio chiaro, senza secondi fini.
In assenza di tutto ciò, a meno di un'implosione dell'islam che nulla permette di presagire, ci condanniamo o a impegnarci in una Reconquista lunga e sanguinosa, oppure ad accettare la nostra scomparsa nella Umma totalitaria.
René Marchand
Autore de "La France en danger d’islam", "la Francia in pericolo d'Islam" ha studiato alla École nationale des langues orientales vivantes e si è diplomato in lingua e letteratura araba a la Sorbonne. Giornalista radio-televisivo ed islamologo, collabora al La Nouvelle Revue d'Histoire.