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La teologia della sostituzione, Volli risponde 18/10/2010
Caro Sig Volli
 continuo a leggerla con grande piacere. Mi spiace al tempo stesso continuare a vederle commettere lo stesso grossolano errore attorno alle "radici cristiane" ed alla teologia di Saulo da Tarso.
La invito ad approfondire personalmente la questione e non per sentito dire e per aver letto commenti o commenti di commenti.
Inoltre se lei conoscesse il significato di "cristiano", ossia colui che ha "scelto" autonomamente e maturalmente il cammino con Cristo capirebbe e scoprirebbe che vi è un abisso fra la chiesa di Cristo e colui che lei continua a chiamare "cristiani" ma che appartengono semmai ad un "sistema " alternativo allo stato giustamente laico e che necessitano perciò di accreditamenti e quale può essere migliore del sostituire Israele?
Appare verosimile da 2000 anni 
E' vero ma teologicamente, dottrinalmente, scritturalmente e storicamente falso. Chiudo qui dicendole che mi sento personalmente offeso per queste affermazioni fatte con leggerezza.
Rimango un suo ammiratore e lettore
con simpatia
Callegari Eliseo
 
Gentile lettore, non volevo certamente offenderla.
Io chiamo "cristiani" tutti quelli che si considerano tali, anche se magari non si accettano gli uni con gli altri.
Questa accezione, che è sociologica e non teologica, o se vuole di banalissimo buon senso, include ovviamente la Chiesa cattolica, le Chiese protestanti diffuse nel Nord Europa, degli Stati Uniti e ora anche in Sudamerica, gli Ortodossi ecc.
Naturalmente non tutte professano esplicitamente la teologia della sostituzione (per cui dopo Gesù, il vecchio patto non vale più e ormai la Chiesa è il nuovo "popolo di Dio"), ma in una forma o nell'altra quest'idea di un "nuovo patto" che annulla il vecchio e rende inutle e scandalosa la presenza di chi lo conserva serpeggia alla base della loro autocomprensione e motiva duemila anni di antigiudaismo cristiano, costituendo anche una delle radici culturali del moderno antisemitismo.
Se lei si sente estraneo a questo spirito, ne sono lieto.
Lo stesso è vero per non poche persone di buona volontà. Che però in genere non vanno a fondo del rapporto teologico fra quella che si può definire con Don Giussani "pretesa cristiana" e la legittimità dell'ebraismo.
un saluto cordiale,

Ugo Volli
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Shalom Ugo,

ho apprezzato il tuo articolo "il significato di un giuramento". Alla fine dell'articolo hai citato (se l'ho capito bene) Saulo da Tarso, dicendo che da lui nasce l'idea della teologia della sostituzione e quindi dell'eliminazione del popolo ebarico, quale base dell'identità cristiana.

Sicuramente hai ragione nel dire che la cristianità, o più precisamente la chiesa cattolica romana apostolica (Agostino) e più tardi il protestantesimo storico (Lutero) hanno insegnato la teologia della sostituzione.

Non si puó però, con tutta franchezza, dire che sia stata una teologia biblica. Leggendo quel che scrive Saulo da Tarso (se hai tempo e voglia leggi i capitoli 9, 10 e 11 della lettera di Paolo ai Romani), si capisce chiaramente che lui non la pensava in questi termini, anzi, condannava un simile atteggiamento superbo dei gentili nei confronti del popolo d'Israele. Due brevi passaggi, se mi é concesso:

- Ro 9,1 Dico la verità in Cristo, non mento - poiché la mia coscienza me lo conferma per mezzo dello Spirito Santo - 2 ho una grande tristezza e una sofferenza continua nel mio cuore; 3 perché io stesso vorrei essere anatema, separato da Cristo, per amore dei miei fratelli, miei parenti secondo la carne, 4 cioè gli Israeliti, ai quali appartengono l'adozione, la gloria, i patti, la legislazione, il servizio sacro e le promesse; 5 ai quali appartengono i padri e dai quali proviene, secondo la carne, il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno. Amen!

- Ro 11,1 Dico dunque: Dio ha forse ripudiato il suo popolo? No di certo! Perché anch'io sono israelita, della discendenza di Abraamo, della tribù di Beniamino. 2 Dio non ha ripudiato il suo popolo, che ha preconosciuto.

Come puoi leggere, Saulo amava molto il suo popolo ed era pienamente convinto che Dio non l'avesse rigettato, ma che per quanto concerne il vangelo, essi sono nemici per causa vostra; ma per quanto concerne l'elezione, sono amati a causa dei loro padri; perché i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili (Ro 11:28,29)

La chiesa fondata dagli apostoli ha sempre nutrito un amore profondo per il suo popolo, ma quella dei secoli successivi ha compiuto e scritto nefandezze indicibili (vedi papi e anche Lutero).

Sono orgoglioso, invece, di avere avuto nei miei antenati spirituali (chiesa dei Fratelli) dei secoli XIX e XX, uomini che, studiando le Sacre Scritture, hanno sempre sostenuto il ritorno del popolo ebraico, e che sarebbe diventato di nuovo uno stato nella terra dei loro padri, e avrebbero ricostruito il tempio, e da lì nessuno avrebbe più potuto scacciarli nuovamente o disperdere tra le nazioni.

Spero di essere riuscito a trasmetterti un po' di amore e affetto.

Caleb.

risponde Ugo Volli:

"Nemici", ma "amati", "anatema" ma "fratelli", forniti di "doni irrevocabili" ma "fonte di tristezza e di amarezza"... Non vi è in queste parole che il mio gentile corrispondente cita per dimostrarmi "amore e affetto" (e io gli credo naturalmente e ne sono grato) tutta l'ambiguità del cristianesimo nei confronti dell'ebraismo? Vi sono le leggi che impediscono a partire dal IV secolo la vita normale delle comunità ebraiche, le stragi approvate da santi come Ambrogio e Agostino nel secolo successivo e poi infinitamente ripetute, vi è l'odio di Lutero, di Calvino, di tanti papi, le conversioni di San Filippo Neri, per vie traverse anche il disprezzo di Voltaire e di Kant (che dalla Chiesa hanno imparato che l'ebraismo era decrepito e ottuso); e anche l'attuale imbarazzo per uno stato di Israele che non dovrebbe esservi, perché gli ebrei non riconoscendo Gesù come messia avrebbero perduto il diritto a risiedere in pace in un luogo loro; ma vi è anche l'impossibilità di affondare il colpo, di eliminare l'ebraismo in Europa come si fece coi movimenti "ereticali", la paradossale protezione del Vaticano espressa con riti di disprezzo ripetuti ogni anno... 
Tutto questo nasce di lì da Paolo, da certe espressioni del Vangelo di Giovanni che contrastano con l'ebraicità di Gesù ribadita nei vangeli.
Non è il caso di discutere di queste cose in una sede come questa.
Il mio punto qui è solo questo: l'odio per Israele di alcuni, la diffidenza di molti ha radici teologiche, non è un capriccio della storia ma il frutto di un rapporto percepito già da Paolo e fino al papa attuale come di famiglia ("fratelli maggiori") e insieme di contrapposizione, distacco e superamento.
Questo è il problema, che al di là della buona volontà individuale va affrontato sul piano culturale, spirituale, teologico. Ma innanzitutto politico. Il test di un cambiamento, dal mio punto di vista, è il rapporto con lo Stato di Israele.
Accettare la legittimità dello stato di Israele, sostenerlo contro le immense minacce che lo circondano significa sciogliere l'abbraccio perverso di Paolo, riconoscere diversità e autonomia al popolo ebraico, uscire dalla "tristezza e amarezza" di Paolo.
C'è chi lo fa e gli sono grato. Bisogna prendere atto che la maggior parte delle chiese, inclusi i cattolici, gli ortodossi e molti protestanti sono ancora riluttanti.

Ugo Volli


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