Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 18/10/2010, a pag. 31, l'articolo di Alberto Stabile dal titolo " Armi, munizioni e brande ecco la città sotterranea dei guerrieri di Hezbollah ".
Hezbollah Unifil
Alberto Stabile conclude con queste parole il suo articolo : "A sorvegliare le strade del villaggio sono soltanto i miliziani Hezbollah, sulle fiammanti Pick-up giapponesi. Dell´esercito libanese non c´è traccia. I caschi blu dell´Unifil sono spariti. ". Il confine con Israele, sguarnito. Che fine ha fatto Unifil ?
Il fatto che la notizia arrivi da Repubblica dovrebbe presa sul serio.
Ecco l'articolo:
Eccola, l´arma segreta che nell´estate del 2006 ha regalato a Nasrallah la "vittoria divina" contro l´esercito israeliano. Una rete di cunicoli sotterranei, chilometri di gallerie scavate nel ventre della montagna capaci di coprire l´intero percorso tra la retrovia e la "Linea di fuoco" senza mai venire allo scoperto, una cittadella militare sommersa, fornita di ciò di cui un esercito invisibile ha bisogno: armi, munizioni, comunicazioni, brande, infermieri, cucine, acqua corrente, riserve, arsenali. E dunque pronta a sfidare la luce laddove il nemico non se l´aspetta.
Attorno e sopra ad una di queste posizioni, sui monti che sovrastano Iqlim al Tuffah, Zaharami, Nabatyeh, al centro della "linea verde" che separa il Libano da Israele, gli Hezbollah hanno tracciato un "percorso storico della Resistenza" ad uso turistico, che può aiutare a capire dove si nasconde la loro potenza militare. Edifici dalle forme sghembe e dai muri pesanti come bunker, eretti su una spianata a 1050 metri sul livello del mare ospitano un museo della Resistenza, una sala multimediale, servizi, negozi, caffetteria, direzione. Una scalinata di 130 gradini ci porta sul tetto di uno dei più cruenti teatri di guerra del medio Oriente, il Sud del Libano.
Al centro della spianata una passerella sovrasta le varie fasi di questo conflitto infinito riassunto per simboli e reperti raccolti qua e la nei vari campi di battaglia, resti di carri armati israeliani, un cimitero di elmetti, missili conficcati sulla terra. Ma la sorpresa comincia laddove il sentiero predisposto per i visitatori s´addentra nella macchia impenetrabile di olivastri, melograni e siepi di bosso alte quanto un uomo.
E naturalmente, questo spazio di autocelebrazione si apre con un omaggio ad uno dei capi storici dell´Hezbollah, quel Sayyed Abbas Mussawi, il primo segretario del Partito di Dio ucciso nel 92 dagli israeliani assieme alla moglie e alla figlia, che, a quanto pare, era solito venire a visitare quest´avamposto e pianificare, da qui, operazioni mordi e fuggi. In un recesso circondato dai massi c´è una foto di Mussawi, un tappetino per la preghiera, un telefono nero il cui cavo si perde nel nulla, un kalashnikov, una copia del Corano. Altri tempi.
Il salto tecnologico nel controllo del territorio, ci spiega Rami Hassan, uno dei dirigenti del Museo, è avvenuto dopo il ritiro israeliano dalla cosiddetta fascia di sicurezza nell´estate del 2000. Una decisione che gli Hezbollah hanno festeggiato come una vittoria della Resistenza e molti israeliani avrebbero considerato come un regalo al nemico. Perché dal momento in cui Tsaal ha mollato la presa sul Sud del Libano, gli Hezbollah hanno cominciato a costruire la loro nuova strategia. In tre anni, il bunker striminzito di Mussawi è diventato una galleria sotterranea di 200 metri scavata a turno da non meno di mille persone fino a 70 metri sotto la superficie. E questo, non soltanto qui, a Mlita, ma anche a Maroun al Ras, a Bint Jbeil, a Marjaoun e in tutte le roccaforti della guerriglia lungo la frontiera.
Il tetto è alto due metri, travi d´acciaio puntellano le pareti. La cucina e arieggiata da un piccolo ventilatore. La prima "camerata" per i guerriglieri, una stanza di due metri per tre contiene quattro materassi stesi per terra. Nella stanza accanto, scavata nella roccia, c´è anche una piccola libreria. Dalla camera delle telecomunicazioni escono le voci che, in quell´estate del 2006, correvano da una posizione all´altra: «Bilad! Bilad! Bilad». «Rabyeh! Rabyeh! Rabye» non erano nomi di persona ma ordine in codice: «Spara! Spara! Spara!».
Una prima uscita dal tunnel conduce ad un mortaio, una seconda, ad un lanciatore di missili katusha, l´arma tattica con cui gli Hezbollah hanno tormentato il nord d´Israele fino all´ultimo minuto di guerra. Impossibile scorgere d´alto anche dopo il lancio: una raffica e via, nelle viscere della montagna, attraverso una botola nascosta da un grande masso che si sposta con un dito. Purissima plastica perfettamente mimetizzata. La moto da cross, tra i cespugli, serviva per i rifornimenti o per portare ordini che non dovevano attraversare l´etere.
C´è il bunker della sorveglianza da cui si può osservare la vallata senza essere visti. C´è il sotterraneo della fanteria d´assalto, gli uomini addestrati per il combattimento ravvicinato, corpo a corpo. E c´è la postazione Sujud dalla cui feritoia spunta la canna di una mitragliatrice pesante capace di colpire a chilometri di distanza. "Mai scoperta", dice, compiaciuto, Rami.
Risaliamo lungo il sentiero fino alla piazzola dove, disposte a cerchio, sono state sistemate le armi che hanno fatto volgere i destini della guerra a favore degli Hezbollah: i micidiali missili anticarro Tow 2 e Kornet-E a guida laser, di fabbricazione russa, capaci di colpite un caro armato israeliano, Markawa, di quarta generazione e di penetrare la sua potente blindatura da una distanza di 100 metri fino a 5 chilometri. Ma costanza, fermezza e pazienza, dice la spiegazione, non sarebbero serviti senza la mano di Dio.
In realtà, davanti a questo show di potenza, si intuisce che quella guerra non poteva non scoppiare. Troppo precise e sofisticate le armi, troppo attenta e meticolosa la preparazione. Sono stati gli Hezbollah a scegliere il momento a loro più propizio, quando gli israeliani, come avrebbero dimostrato a posteriori le varie inchieste, ignoravano le "sorprese" che il nemico in quegli anni di calma apparente, aveva preparato per loro. Il rapimento dei due soldati nel luglio del 2006 è stato il pretesto. Il resto l´ha fatto il governo Olmert lanciandosi in un´avventura che forse si poteva evitare.
Dentro e fuori dal museo di Mlita si respira l´atmosfera del potere unico, senza alternative. Per le strade del villaggio, dominano i ritratti di Nasrallah, di Berri (lo speaker del parlamento leader di Amal) e di Ahmadinedjad, il presidente iraniano in visita nei giorni scorsi alla periferia dell´impero, «per verificare - dice un amico maronita - come sono stati spesi i suoi soldi». A sorvegliare le strade del villaggio sono soltanto i miliziani Hezbollah, sulle fiammanti Pick-up giapponesi. Dell´esercito libanese non c´è traccia. I caschi blu dell´Unifil sono spariti.
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