martedi` 22 ottobre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Informazione Corretta Rassegna Stampa
17.10.2010 Discutere di Islam
L'analisi di Bruce Bawer

Testata: Informazione Corretta
Data: 17 ottobre 2010
Pagina: 1
Autore: Bruce Bawer
Titolo: «Discutere di Islam»

" Discutere di Islam "
 di Bruce Bawer
(traduzione di Angelo Pezzana)
da:
 http://www.rights.no/publisher/publisher.asp?id=59&tekstid=4233
per informazioni su Bruce Bawer, scrivere il suo nome nella casella "cerca nel sito ", in Home Page, colonna a destra in alto.

 
Bruce Bawer                          i due ultimi titoli.
i suoi libri non sono tradotti in italiano.

Tutto inizia dal modo con il quale si pone la domanda.. L'altro giorno, presso la New York University, si è tenuto un dibattito sull’ Islam . La sala era gremita. Riguardando la registrazione su Internet, avevo notato che il pubblico non consisteva esclusivamente di studenti della stessa università, ma piuttosto un misto di cittadini di Manhattan classe medio-alta, il genere di persone che seguono conferenze, letture, dibattiti, e cose simili, e mi era sembrato estremamente interessato al tema in discussione e desideroso di ascoltare entrambi gli schieramenti. Alle due parti, ciascuna composta da due persone, è stato chiesto di affrontare il tema: "L'Islam è una religione di pace". D'accordo o in disaccordo? I due musulmani erano d’accordo, un inglese di mezza età e una giovane donna americana. Non sapevo nulla di loro, erano evidentemente collegati a organizzazioni musulmane moderate. Entrambi mi sono sembrati persone di stampo liberale e che volevano apparire tali al pubblico perchè li vedesse in qualità di rappresentanti della loro religione. In disaccordo sono stati due volti familiari. Uno era Ayaan Hirsi Ali, la rifugiata somala musulmana etichettata poi quale apostata, che divenne membro del Parlamento olandese e ora è una scrittrice che vive in esilio volontario in America e lavora per l' “American Enterprise Institute” di Washington, DC. Insieme a lei c’era Douglas Murray, direttore del “Centro per la coesione sociale” in Gran Bretagna. Il dibattito, moderato da un giornalista imparziale della ABC-TV, è stato avvincente. Prima del suo inizio, molti fra i presenti si sono dichiarati favorevoli alla tesi che vede l'Islam come una religione di pace. Anche se poi alla fine, non lo erano più. Hirsi Ali e Murray, gli avevano fatto cambiare idea. Prima, ovviamente, occorreva aprire le loro menti. Dovevano ascoltare. Dovevano riflettere. Dovevano elaborare le informazioni che stavano ricevendo. Come uno che ha trascorso anni a Manhattan, circondato da gente che frequenta abitualmente quel genere di riunioni, come quelle della New York University, mi ha fatto piacere e, francamente, sono anche stato un po 'sorpreso dal risultato. Una folla liberal di Manhattan che era disposta a rifiutare la visione politicamente corretta che l'Islam è una religione di pace? Allora,forse c'è ancora speranza. O forse no. Ieri sera ho partecipato ad un'altra discussione presso l'Università di Oslo. Eravamo in un edificio di cemento mostruosamente cupo, erroneamente conosciuto come “Chateau Neuf”. (La sala in cui il dibattito ha avuto luogo è più propriamente chiamata Betong, che significa cemento.) Mi sono trovato circondato da un centinaio di persone, la maggior parte studenti. La questione in discussione: "Qual è la differenza tra critica all'Islam e islamofobia?" La differenza con il dibattito di New York era incarnato nella domanda. Il dibattito di New York era incentrato sull’ Islam - del tutto ragionevolmente, dal momento che, sulla scia del 9 / 11 e di numerosi altri importanti atti terroristici, rivolte e cartoons in Danimarca, omicidi nei Paesi Bassi, e così via, tutti perpetrati da musulmani che hanno dimostrato chiaramente quanto fossero motivati dalla loro fede, è proprio di Islam che si dovrebbe parlare. Il dibattito di Oslo, invece, ha spostato l'attenzione ai non musulmani che parlano in modo critico sull'Islam, mettendoli, per così dire, sotto processo, così come Geert Wilders è ora sotto processo in Olanda, nel tentativo di decidere se la critica dell'Islam deve essere giudicata un confine che non si può attraversare, e che, quindi, meritano di essere marchiati con la lettera scarlatta "I" - per islamofobo. Ci sono stati cinque relatori, oltre al moderatore. La star era Hege Storhaug, direttrice di “Human Rights Service” , esperta in politiche di immigrazione e integrazione, autrice di un best-seller sull'oppressione delle donne islamiche, e probabilmente la più importante e controversa critica dell’Islam in Norvegia. L'altro volto familiare era Gule Lars, un uomo di mezza età, ex leader della norvegese “Human Ethical Society”. Gli altri tre erano più giovani, non li conoscevo. Cora Alexa Døving poteva dimostrare vent'anni, anche se si presentava con il titolo di ricercatore senior presso il “Centro dell'Olocausto” di Oslo; Majoran Vivekananthan, 33 anni, nato in Sri Lanka, era l’editor di un "giornale multiculturale" chiamato Utrop. L'ultimo membro del gruppo era Linda Alzaghari, anche lei molto giovane, "coordinatore amministrativo" di Minotenk, un “think tank” di recente formazione, fondato e gestito in Norvegia da Abid D. Raja, il politico musulmano più ambizioso e - a mio avviso - più pericoloso. Anche se Alzaghari è una nativa norvegese ( certamente lo sembra, con i suoi lunghi capelli biondi, sciolti sulle spalle), si presenta come musulmana. Inoltre è stata terribilmente distratta e incoerente, e dava l'impressione di aver trovato persino offensiva l'idea stessa di un dibattito sull’ Islam. Tutti e cinque sono stati invitati a fare una dichiarazione di apertura. È parso subito evidente che si trattava di uno scontro quattro-contro-uno. Gule ha condannato senza fare nomi chi critica l'Islam parlando di "teorie della cospirazione", con le quali, ovviamente, voleva dire che l’ jihadismo - portare gli infedeli, cioè la "Casa della Guerra" dentro dell'Islam, cioè la "Casa della Sottomissione" – è il centro di questa fede . Døving ha definito l'islamofobia come un reato che implica "generalizzazioni sull'Islam" - come se non fosse legittimo "generalizzare", sottolineando come tutti i musulmani hanno l'obbligo di affermare certe eterne "verità" e di obbedire a certi comandi inalterabili, che sono stati (secondo l'Islam), tramandati direttamente da Allah a Muhammad e subito dopo inseriti nel Corano. Naturalmente, accusare i critici dell’Islam di "generalizzare", è una tattica comune e indolente tra i difensori dell'Islam, a cui piace far notare che ci sono oltre un miliardo di musulmani che aderiscono a una varietà di scuole di diritto, le cui concezioni della fede variano considerevolmente . Quello che dimenticano è che la differenza di solito prende la forma di disaccordo solo sui dettagli, come il tipo di pena capitale alla quale deve essere condannato un omosessuale. (Dopo il dibattito, ho trovato su Google che Døving aveva effettivamente avuto la faccia tosta, tre anni fa, di accusare Sara Azmeh Rasmussen, una giovane donna straordinariamente coraggiosa, è stata la prima lesbica musulmana ad uscire allo scoperto in Norvegia, rivelando un "problema generalizzazione" nella sua critica di una religione i cui molti aderenti vorrebbero vederla morta.) Né Vivekananthan e Alzaghari hanno nulla di più sostanzioso da offrire. Ad esempio, Alzaghari, che era apparentemente troppo stanca, annoiata, o ostile a tutta la faccenda per mettere insieme almeno una frase coerente, ha borbottato qualche vaga parola su come lei vive una "costante attenzione negativa" sull'Islam che porta verso una società polarizzata. (dava l’impressione di essere una attrice di teatro che ha interpretato per tanto tempo una parte in una commedia brutta e non interessante, tanto da non essere più in grado di recitare le sue battute in modo convincente.) IQuattro dei cinque relatori, quindi, si misero ad insultare. Cospiratrice ! Generalizzatrice! Polarizzatrice ! Solo Hege Storhaug, quando venne il suo turno, è andata dritta al sodo, facendo notare che l'etichetta ‘ islamofobo ‘ era apparsa per la prima volta, anni fa, nel glossario degli islamisti, che l’hanno appiccicata sulla femminista Kate Millett quando ha avuto il coraggio di portare la questione dell'oppressione islamica sulle donne, e su Salman Rushdie, quando ha scritto un certo libro e la reazione che lo ha costretto a trascorrere gli anni successivi in clandestinità e sotto protezione. Non sorprende che praticamente tutto il pubblico si sia rivelato solidale contro Storhaug e dalla parte dei suoi quattro co-relatori. Tutto ciò che ha detto, non importa quanto concreto e convincente, ha ottento applausi tiepidi, silenzio, o brontolii di disapprovazione. Quasi tutto quello che hanno detto gli altri quattro, per quanto sciocco e banale, è stato accolto con vivace entusiasmo. Mentre il dibattito proseguiva, i relatori sono stati invitati ad approfondire le loro osservazioni e a porsi domande l'un l'altro. Døving ha difeso l'equiparazione della critica dell'Islam al razzismo, per il fatto che l'Islam, come il colore della pelle, è un aspetto innato, inalterabile di identità - un elemento essenziale, caratteristica che è impossibile cambiare. Innata? Inalterabile? Impossibile cambiare? Sì, abbandonare l'Islam è punibile con la morte, anche se qualcuno può aver dubitato che questo fosse quanto Døving pensasse veramente. Sembrava davvero ignorare che alcune persone in questo mondo possano cambiare religione e che c'è una enorme differenza tra l'avere un certo colore della pelle e la sottomissione a una ideologia. Storhaug, reagendo alla ottusità stupefacente di Døving su questo aspetto, ha sottolineato la parola ideologia - al che Alzaghari ha dichiarato la sua antipatia per quella parola. Senza fare però alcuno sforzo per giustificare la sua avversione - no, semplicemente non le piaceva. Vivekananthan, da parte sua, non le piaceva un altro termine - "polizia morale", che alcuni media norvegesi hanno impiegato per descrivere i talebani-come-assassini in cerca di prede nella comunità musulmana di Oslo, cercando di intimidire coloro che sembrano deviare dall'ortodossia. Vivekananthan non ha espresso disapprovazione sulla medesima polizia morale, soltanto non le andava l’uso del termine fatto dai media E così è andata. Nessuno tranne Storhaug ha trovato qualcosa che assomigliasse a un argomento sostanzioso da offrire. E quando lei ha cominciato a fornire dati concreti e statistiche che sostenevano la sua posizione, il moderatore le ha bloccato l’intervento. Storhaug ha protestato, ma senza alcun risultato. Nel frattempo, il moderatore ha permesso agli altri oratori di esprimersi liberamente con calunnie e di divagare fuori tema per diversi minuti con storie assurde, lamentando di essere vittime di gruppo per le presunte discriminazioni anti-musulmane, ma per le quali non avevano assolutamente alcuna prova. A un certo punto Loving ha letto, con un tono di disprezzo, i titoli di una mezza dozzina di libri sull’ Islam, osservando che la maggior parte di questi testi disgustosi era stato pubblicato dagli editori più importanti - e allora ? - tradotti poi in diverse lingue. Il primo titolo della lista era quello del mio libro, “ Mentre l'Europa dormiva “. Il suo scopo era quello di mostrare quanto estrema e orribile islamofobia vi era contenuto. Il pubblico, ormai nelle sue mani, rise di cuore quando snocciolò gli altri titoli. Inutile dire che lei non ha fatto menzione del contenuto effettivo di nessuno di questi libri, non affrontando nessuna delle argomentazioni ivi contenute o di controbattere in modo serio. Insomma, non era interessata a un vero e proprio dibattito, una discussione franca, un vero scambio di idee, no, il suo scopo era solo quello di leggere i titoli e ottenere risate a buon mercato da un pubblico che lei sapeva già come avrebbe reagito. Volevo chiederle che cosa pensava del fatto che diversi scrittori seri avevano scelto in questi ultimi anni di scrivere libri di questo genere, e perchè alcuni grandi editori li avevano pubblicati? Non le suggeriva questo, in contrasto con la sua tesi, che forse ci potrebbe essere un buon motivo ? Se no, come ha potuto pensare che tutti questi scrittori avevano improvvisamente scelto, più o meno allo stesso tempo, di diventare "islamofobi"? Perché nessuno di loro ha mai deciso di entrare in guerra, per esempio, contro il buddismo o l'induismo o Bah'ai? Come hanno potuto scrivere in modo indipendente questi libri - certamente una coincidenza, se davvero erano contro l’islam, come lei ha sostenuto, in modo sbagliato - o c'è stato, di fatto, una sorta di cospirazione in corso tra loro e i loro editori? Gule ha denunciato una presunta "teoria del complotto", così popolare tra i critici dell'Islam; era poi Loving, nell’intervento su questa lista di libri, ad accusare i loro autori ed editori di far parte di una grande cospirazione grande islamofoba ? Quando è arrivato il momento per domande e risposte, un giovane, palesemente arrabbiato, di nome Abdul ha preso il microfono e inveito, molto aggressivo, contro Storhaug. (le sue maniere da bullo possono avere shoccato qualcuno che non aveva mai partecipato a un dibattito sull'Islam.) "Credi che tutti i musulmani dovrebbero assimilarsi?" chiese, e il suo tono metteva in chiaro che la sola l'idea era riprovevole. Storhaug rispose tranquillamente che sì, crede tutti i musulmani dovrebbero integrarsi nei valori occidentali, come libertà di parola, libertà di religione e uguaglianza sessuale. Se avete pensato che almeno questo possa avere ricevuto un accenno di applauso, beh, provate a pensarci ancora. Intanto la serata proseguiva, Alzaghari, la giovane donna distratta del think tank musulmano, si esprimeva in modo sempre più confuso. Alla fine sembrava a malapena in grado di formulare un argomento, meno che mai una frase. In risposta ad una domanda sul problema dell'islamismo in Europa, mormorò senza convinzione, ". L’ Islamismo non è un problema in Europa". A Storhaug è caduta la mascella, ma questa volta - piacevolmente – perchè non era la sola. Anche se il pubblico era ferocemente di parte, Alzaghari era un oratore così debole, che smisero di applaudirla. Per me, comunque, il punto più basso della serata è stato quando Gule ha annunciato di non aver mai ricevuto minacce di morte. Egli ha attribuito questo al fatto che i musulmani sanno che egli non si limita a criticare la loro religione - egli critica anche le altre religioni e non vuole negare alle persone il diritto di indossare l'hijab o il burka. In breve, sanno che è giusto - egli tratta tutte le religioni allo stesso modo. Gule era manifestamente orgoglioso di questo fatto. E se ne vantava. Tutto quello che potevo pensare era la mia coraggiosa amica Ayaan Hirsi Ali, che deve essere sempre accompagnata da guardie del corpo armate a causa delle minacce di morte che ha ricevuto. Certo, Gule non ha detto da subito che Hirsi Ali ha meritato le minacce di morte con cui vive. Né ha detto che gente come Geert Wilders e Robert Redeker e Wafa Sultan meritano le loro minacce di morte, o che, quando Theo van Gogh è stato assassinato se l’era cercato. Ma Gule non ha avuto nulla da dire su una qualsiasi di queste cose. L'insinuazione è stata chiara: lui è un critico equilibrato dell’ Islam: gli altri sono islamofobi. Implicito nel suo commento che i musulmani che emettono minacce di morte sono, a loro modo, ragionevoli - che non condannano persone che non lo meritano. Se Gule è stato deplorevole, Døving, Vivekananthan, e Alzaghari sono stati solo pesi leggeri, hanno trascorso due ore facendo scorrere insulsa retorica politicamente corretta, incapaci di provare alcunchè. Eppure alla fine il pubblico era ancora prevalentemente dalla loro parte. Verso la fine, una giovane donna norvegese, molto agitata, seduta vicino a me, che a quanto pare non poteva più sopportare gli argomenti politicamente scorretti che uscivano dalla bocca di Storhaug, si alzò in piedi, borbottò a voce alta contro "Hege Storhaug "(io non riuscivo a capire niente altro), e pestando i piedi si diresse verso l’ingresso, gridando a squarciagola una sola parola:" razzista ! " Quando sono uscito in strada, ho trovato Storhaug con due persone che sembravano essere suoi sostenitori. Entrambi erano di mezza età. C’erano anche – e gironzolavano - tre giovani musulmani. Li ho riconosciuti fra il pubblico della manifestazione: erano stati seduti vicino a me, e mi avevano lanciato sguardi cattivi ogni volta che applaudivo Storhaug. Ora sono qui fuori vicino a noi. La scelta di piazzarsi vicino è chiaramente intenzionale. Se non erano in attesa che Storhaug rimanesse da sola,magari per aggredirla, chiaramente si proponevano almeno di spaventarla, inducemdola a pensare a quello che sarebbe potuto succedere. Dentro l'auditorium, i co-relatori di Storhaug stavano riversando mielata retorica sulla natura pacifica dell'Islam e il bigottismo dei suoi oppositori - retorica che non aveva alcun collegamento con la realtà. Adesso siamo qua fuori, in strada, e la realtà si manifesta con le sembianze di questo trio minaccioso. Dopo una breve chiacchierata, Storhaug ha chiesto i suoi due compagni e me di accompagnarla alla sua auto. E’ quel che abbiamo fatto. Accanto a lei, vicino alla macchina, ero andato indietro con la memoria a un momento simile all'inizio di quest'anno, quando, insieme ad altri due o tre, mi ero fermato su un marciapiede a Washington, DC con Ayaan Hirsi Ali, dopo un banchetto, stavo con lei in attesa che arrivasse la sua auto da dietro l'angolo per vederla partire in sicurezza. Questo, ho pensato, quando ho detto buona notte a Storhaug, è il mondo in cui viviamo ora. Questo, sempre più, è il mondo in cui sei rinchiuso se hai il coraggio di criticare l'Islam in pubblico. Questo è il destino dei coraggiosi. Eppure milioni di persone, come quegli studenti fra il pubblico questa sera, negano in modo assoluto la realtà di questo mondo. Storhaug era entrata nella tana del leone, presumibilmente nella speranza che uno o due di questi giovani avrebbero potuto ascoltare - e imparare. Ma non c'è stato alcun segno che qualcuno di loro abbia almeno voluto ascoltare. Una percentuale significativa del pubblico presso la NYUniversity aveva cambiato idea riguardo l'Islam, grazie a ciò che Ayaan Hirsi Ali e Douglas Murray, avevano detto. Ma questi ragazzi del college norvegese? Niente di niente. Sarà generazionale? Probabilmente in parte. Era una cosa americana/europea? Probabilmente, in parte, anche quello. E viene il sospetto che i ricordi, quelli newyorkesi, del 9 / 11 ci fossero pure. In ogni caso, la risposta di quei ragazzi all’ l'Università di Oslo non è stata una sorpresa. Dopo tutto, a differenza della gente per lo più anziana all'incontro newyorkese, loro hanno subìto il lavaggio del cervello durante tutta la vita da idee multiculturali, si aggrappano ad esse anche se queste idee sono completamente smentite dalla realtà che le circonda. Si aggrappano a queste idee, perché esse formano un edificio delicato che hai paura di sgretolarlo se solo lo tocchi, si aggrappano a quelle idee, perché questi bambini sono l’ elite in erba di questo piccolo paese, e sanno maledettamente bene che se vogliono percorrere i corridoi del potere qui, quelle sono le idee alle quali aggrapparsi, sia che le posseggano veramente fino in fondo, opure no. Loro non meritano di lavarle i piedi, mi dissi pensando a Storhaug salita nella sua auto, e tuttavia guardano verso di lei come se fosse un pagliaccio razzista. E non mi era certo di conforto riflettere che un giorno, prima o poi, ognuno di questi giovani dovranno gradualmente affrontare il fatto che Storhaug aveva ragione. Ma allora, temo, nessuno di loro non sarà più in grado di fare nulla. Bruce Bawer


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT