Riportiamo dal sito internet Il PREDELLINO, l'intervista di Alfonso Piscitelli al professor Marco Ruggiero ordinario di biologia molecolare dell'università di Firenze dal titolo " Una nuova prospettiva nella cura dei tumori ".
Professor Marco Ruggiero ordinario di biologia molecolare dell'università di Firenze
Una proteina utilizzata da uno scienziato giapponese che opera negli Stati Uniti, Nobuto Yamamoto, e da qualche tempo prodotta nei laboratori israeliani offre speranze nella cura del cancro e dell'immunodeficienza. Ne parliamo con uno dei collaboratori di Yamamoto, il professor Marco Ruggiero ordinario di biologia molecolare dell'università di Firenze.
Piedi di piombo quando si tratta di prendere per buone nuove cure per mali immensi come i tumori o l'immunodeficienza. Il mercato del dolore è vasto e i mercanti di bufale sono sempre all'opera. A volte addirittura in buona fede. Da quando internet ha sostituito l'enciclopedia Treccani come fonte più autorevole.si moltiplicano le illusioni, a volte deleterie per chi già versa in una condizione fisica compromessa.
Tuttavia il disincanto e il cinismo che nascono dopo aver letto di gente che cura il cancro col bicarbonato o con le frequenze elettriche non deve impedire di riconoscere le novità significative quando esse ci sono. La novità più importante nel campo medico oggi è forse legata al nome di uno scienziato giapponese, Nobuto Yamamoto, che da cinquanta anni opera negli Stati Uniti e si avvale della consulenza di laboratori israeliani per produrre una proteina – nome in codice GC – che promette di dare una mano a chi vive la drammatica esperienza del cancro, della immunodeficienza, della sindrome da affaticamento cronico.
Un po' troppe promesse tutte insieme ci sarebbero tutti i presupposti per una sana diffidenza. E tuttavia da cinque secoli a questa parte i meccanismi per riconoscere le proposizioni scientifiche dalle profezie esaltate sono abbastanza rodati: un procedimento medico scientifico si basa su esperimenti ripetibili, su dinamiche chiare che vengono esplicitate in testi di regola pubblicati su riviste scientifiche internazionali.
È esattamente quello che sta accadendo con il GC di Yamamoto: anzi col suo Gcmaf. La sigla maf sta per macrophage activating factor: fattore di attivazione dei macrofagi. I macrofagi sono cellule del sangue che si attivano quando microrganismi presenti nell'organismo ne minacciano gli equilibri naturali: virus, cellule infette e in decomposizione. I macrofagi agiscono inglobando e distruggendo i corpi estranei: “masticandoli” come suggerisce il loro nome.
Se i macrofagi – insieme alle altre cellule del sistema immunitario – sono attivi è come quando si aveva venti anni e si andava in campeggio: mangi i maccheroni conditi con la terra e non ti succede niente. Se il sistema immunitario perde colpi ogni refolo di vento diventa micidiale: si è costretti a vivere sotto campana di vetro e a frequentare a lungo antibiotici e chemioterapici. Il fattore di attivazione dei macrofagi di Yamamoto promette di ripristinare le difese giovanili dell'organismo. Fino a che punto? In quali situazioni? Ne parliamo col professor Marco Ruggiero, ricercatore medico e docente dell'università di Firenze, che è uno dei più stretti collaboratori di Nobuto Yamamoto.
Professor Ruggiero, come è che tutto a un tratto uno scienziato giapponese viene a dirci di aver trovato con la sua proteina, il GCmaf, la chiave di soluzione di una serie di problemi grandi come una casa?
In realtà è dal 1995 che diversi gruppi di ricerca avevano ipotizzato un legame tra questa proteina e diverse patologie che hanno in comune un “malfunzionamento” del sistema immunitario. Ed esattamente dalla metà degli anni Novanta Yamamoto aveva dimostrato come la proteina da lui caratterizzata fosse in grado di bloccare la crescita tumorale in topi da esperimento ed aveva pubblicato le proprie osservazioni in prestigiose riviste tra le quali Cancer Research (giugno 1997). Inoltre, aveva ipotizzato che la proteina potesse essere utilizzata in patologie quali l'AIDS.
E dal 1997 in poi?
Negli anni successivi altri gruppi di ricerca, in diverse parti del mondo, hanno convalidato i risultati ottenuti dal Prof. Yamamoto e ad oggi si contano oltre 30 pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali elencate nella Biblioteca Medica Nazionale degli Stati Uniti, probabilmente la più prestigiosa banca dati nel campo della ricerca biomedica.
E allora perchè la proteina di Yamamoto sembra una novità estemporanea degli ultimi mesi?
In effetti, l’interesse del pubblico non specializzato per quella che fino ad allora era una fra le tante proteine efficaci nello stimolare il sistema immunitario, si è acceso negli anni 2008-2009, quando il Prof. Yamamoto ha pubblicato, su prestigiose ed autorevoli riviste, quattro lavori che descrivevano l’effetto del GcMAF su pazienti con cancro metastatizzato della mammella, del colon, della prostata e su pazienti sieropositivi. Le elenco le riviste: International Journal of Cancer ( Gennaio 2008), Cancer Immunolology and Immunotherapy (Luglio 2008), Translational Oncology (luglio 2008), Journal of Medical Virolology (Gennaio 2009). In tutti questi lavori il Prof. Yamamoto dimostra come un unico trattamento della durata di 18-20 settimane con GcMAF somministrato per via intramuscolare o endovenosa possa eradicare cancro o l’infezione da HIV.
Parlando di tumori o di sindromi da immunodeficienza la parola “eradicazione” è decisamente clamorosa. Ma si vedono in giro questi famosi “eradicati”?
Trattandosi di sperimentazioni cliniche preliminari, approvate dalle Università giapponesi di Nagasaki e di Hyogo (e i documenti sono disponibili), il numero di pazienti era limitato, intorno alle diecine, ma i risultati erano comunque impressionanti. Questi risultati sono stati prima pienamente accettati dalla comunità scientifica internazionale grazie al sistema di revisione definito “peer review”, e poi divulgati ed amplificati dal tam tam della rete stimolando l’attenzione e la curiosità di pazienti, medici e ricercatori in tutto il mondo. In Italia, uno dei primi ad accorgersi del potenziale di questi risultati è stato un medico infettivologo di Trieste, il Dr. Fabio Franchi che ha cercato di sensibilizzare i soggetti potenzialmente interessati ed ha contattato diversi ricercatori italiani e stranieri nel tentativo di sfruttare in termini terapeutici le osservazioni del Prof. Yamamoto.
Qui però sovviene l'esigenza scientifica della replicabilità. Gli exploit di Yamamoto sono stati confermati in altri contesti?
A meno di due anni di distanza dalle osservazioni cliniche dello scienziato giapponese, altri gruppi di ricerca hanno confermato il potenziale del GcMAF. Un gruppo di ricerca giapponese, indipendente dal Prof. Yamamoto, ha dimostrato che la proteina inibisce la crescita del cancro del fegato in topi con severa immunodeficienza ( Vedi il Journal of Surgical Research del settembre 2001).
Il cerchio quindi si allarga.
Un altro gruppo di ricerca italiano, in collaborazione con il Prof. Yamamoto, ha presentato alla conferenza internazionale sull’AIDS tenutasi a Vienna nel Luglio 2010. Altri risultati sul GcMAF sono stati presentati al 64° Congresso Nazionale della Società Italiana di Anatomia e Istologia nel Settembre di quest’anno. Inoltre, in una prestigiosa Università italiana sta per essere discussa una tesi di laurea che presenta altri risultati ottenuti con il GcMAF (la tesi in oggetto sarà discussa il 21 ottobre e resa pubblica subito dopo).
Dove avviene la produzione di questo “fattore attivante”: il Gcmaf?
Attualmente il GcMF viene prodotto in diversi laboratori di ricerca nel mondo e viene commercializzato da industrie di biotecnologie localizzate anche in Europa.Il Prof. Yamamoto da parte sua sembra riporre la propria fiducia nei laboratori di ricerca israeliani e sta supervisionando la produzione industriale di GcMAF da parte di un’azienda israeliana.
Lei prima diceva che non è più solo Yamamoto a seguire questo programma di ricerca.
Come era logico aspettarsi, l’interesse suscitato dalle potenzialità di quello che a pieno diritto può definirsi un “farmaco biologico” di nuova generazione, sta spingendo medici e ricercatori di tutto il mondo a sperimentarne l’efficacia terapeutica in diverse condizioni patologiche. Ma nel frattempo il professor Yamamoto continua a ricevere consensi dalla comunità scientifica internazionale che pochi giorni orsono ha potuto conoscere e verificare i suoi ultimi risultati su pazienti neoplastici, risultati presentati al meeting annuale della International Society for Biological Therapy of Cancer a Washigton.
Che diceva di bello?
A questo congresso il Prof. Yamamoto ha presentato i risultati di una sperimentazione in cui si dimostra che un trattamento per via endovenosa con GcMAF può eradicare il cancro in 11-16 settimane: “Weekly intravenous administration of 100 ng GcMAF to adenocarcinoma patients eradicates tumors in 11 to 16 weeks.”
Siamo di fronte al nascere di una nuova generazione di strumenti medici per combattere le malattie più terribili?
E’ auspicabile che il GcMAF entri presto a far parte di quella nuova generazione di farmaci biologici che permettono di affrontare le diverse patologie direttamente alla radice, vale a dire interagendo direttamente con i meccanismi biomolecolari responsabili dell’insorgenza e della progressione della malattia. E’ anche incoraggiante osservare come la ricerca italiana riesca a fornire un contributo significativo in questo campo. Se oggi avessimo un supporto maggiore i risultati potrebbero anche essere più rapidi nel tempo.