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L'Opinione Rassegna Stampa
14.10.2010 Usa/Israele, analogie con 37 anni fa, durante la guerra di Yom Kippur
Commento di Dimitri Buffa

Testata: L'Opinione
Data: 14 ottobre 2010
Pagina: 12
Autore: Dimitri Buffa
Titolo: «Israele e Usa: paragoni con la guerra di Yom Kippur»

Riportiamo dall'OPINIONE di oggi, 14/10/2010, l'articolo di Dimitri Buffa dal titolo "Israele e Usa: paragoni con la guerra di Yom Kippur"


Dimitri Buffa

Le pressioni dell’attuale amministrazione statunitense sul governo di Gerusalemme assomigliano in maniera impressionante (e sinistra) a quelle dell’amministrazione di Richard Nixon su Golda Meir nel 1970. Che chiedeva Nixon a Golda Meir nel 1970: di togliere i bombardieri dal Sinai e di cessare unilateralmente quella sorta di guerra di trincea che era continuata per tre anni dopo la guerra dei sei giorni del giugno 1967. Che chiede oggi Obama a Nethanyahu, a parte di congelare di nuovo gli insediamenti nella West Bank e a Gerusalemme Est? Di aprire le porte di Gaza e di togliere l’assedio navale. Che accadde nel 1970 e poi nel 1973 in seguito alla accondiscendenza di Moshe Dayan e della Meir alle richieste Usa?
Che per poco l’intero stato ebraico non venne distrutto nei primi giorni della guerra di Yom Kippur. Che può accadere oggi? “Che ci portino la guerra dentro Israele da pochi chilometri dai nostri confini”. Questo dibattito con queste similitudini non è casuale: da pochi giorni Israele ha desecretato i colloqui, i verbali di essi, tra lo staff governativo e  quello militare israeliano nei giorni che precedettero la guerra di Yom Kippur. E sono venute fuori le ansie dei governanti dell’epoca a causa delle incomprensioni con l’amministrazione Nixon. Che voleva portare a casa un risultato di pacificazione tra Gerusalemme e Il Cairo che invece avvenne solo nel 1977 sotto la presidenza di Jimmy Carter.
Da uno dei verbali si apprende ad esempio che Dayan spiegava come i sistemi missilistici anti-aerei egiziani rendessero impossibile garantire la copertura dell’aviazione israeliana agli avamposti sotto attacco sulla linea del fronte.
Dayan ricordava che egiziani e russi avevano avuto “tre anni di tempo per prepararsi”: si riferiva al periodo intercorso fra il cessate il fuoco imposto a Israele nell’estate del 1970 e lo scoppio della guerra il 6 ottobre 1973.
Tre  anni prima che gli egiziani attaccassero Israele attraversando il Canale di Suez nel giorno di Kippur del 1973, gli americani avevano imposto un accordo israelo-egiziano per porre fine alla “guerra d’attrito” (la sanguinosa guerra di posizione combattuta sulle sponde del Canale di Suez tra il giugno 1968 e l’agosto 1970). Golda Meir era angosciata, ma non poté resistere alle pesanti pressioni di Washington e alle contestazioni e proteste interne che la accusavano d’essere responsabile dei sodati israeliani che morivano sul canale.
Menachem Begin, intervenendo alla Knesset, aveva ammonito che gli egiziani avrebbero sfruttato il cessate il fuoco per prepararsi alla guerra, ma il pacifista Uri Avnery lo accusò di fomentare il panico.
Ancor prima che sorgesse l’alba del primo giorno dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco, gli egiziani si affrettarono a violare l’accordo schierando decine di batterie di missili anti-aerei SAM sulle rive del Canale di Suez. Le forze aeree israeliane, che fino ad allora avevano fatto in modo di bombardae e colpire sistematicamente ogni nuova batteria egiziana in quell’area, da quel momento furono costrette ad accontentarsi di fotografare i missili nemici.
Golda Meir si lamentava che gli americani le puntavano praticamente “una pistola alla tempia”, per dirla con le sue parole, e le proibivano di attaccare quelle batterie missilistiche. In uno dei verbali, Golda Meir prevedeva con grande lucidità l’esito futuro di quella moderazione. Diceva: “guai a noi” il giorno in cui gli egiziani ci attaccheranno sotto la copertura dei loro missili. Uno dei diplomatici israeliani che stavano allora a Washington, Shlomo Argov, in una lettera riservata avvertì che “una umiliante capitolazione ai diktat americani” avrebbe significato più tardi “distruzione”.
Ciò nondimeno Golda Meir capitolò.
L’allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon le promise di ricompensarla con sistemi d’arma avanzati e garanzie sulla sicurezza.
Sono più o meno le stesse promesse fatte oggi dal presidente Barack Obama al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in cambio di ogni sorta di accordo con i palestinesi, di moratorie delle costruzioni in Giudea e Samaria (Cisgiordania) e magari anche di un ritiro dalle alture del Golan.
Ed è lo stesso errore che ha fatto Sharon nel ritiro unilaterale da Gaza, consegnando all’Iran e ad Hamas, la Striscia, senza che la popolazione palestinese ottenesse peraltro alcun vantaggio.
Ora sarà anche vero che quando le tragedie della storia si ripetono lo fanno sotto la categoria dello spirito della “farsa”. Ma per Israele, di sicuro, se un domani l’Iran dovesse sferrare l’attacco missilistico nucleare proprio da Gaza, o dal Libano meridionale in mano agli hezbollah, non ci sarebbe proprio niente da ridere.

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