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Libero - La Fionda News - Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
14.10.2010 Ahmadinejad la fa da padrone in Libano con Hezbollah
Commenti di Carlo Panella, Michael Sfaradi, Ugo Tramballi

Testata:Libero - La Fionda News - Il Sole 24 Ore
Autore: Carlo Panella - Michael Sfaradi - Ugo Tramballi
Titolo: «Ahmadinejad in Libano, segnali di guerra - Perché stare in Libano se a incassare è Teheran?»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 14/10/2010, a pag. 18, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Il Libano si genuflette all’Iran. La missione Onu è fallita ". Da La FIONDA NEWS, l'articolo di Michael Sfaradi dal titolo " Ahmadinejad in Libano, segnali di guerra ". Dal SOLE 24 ORE, a pag. 1-12, l'articolo di Ugo Tramballi dal titolo " Perché stare in Libano se a incassare è Teheran? ", preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

LIBERO - Carlo Panella : " Il Libano si genuflette all’Iran. La missione Onu è fallita "


Carlo Panella

Appena arrivato a Beirut accolto da una folla festante orga- nizzata da Hezbollah, il presidente iraniano Ahmadinejad ha chiarito a cosa mira quando definisce il sud del Libano «la frontiera dell’Iran con Israele», ribadendo che intende distruggerlo. In conferenza stampa nel pa- lazzo presidenziale di Baabda ha infatti detto che «è necessario li- berare completamente la terra palestinese, bisogna porre fine all’occupazione israeliana delle terre palestinesi, siriane e libanesi, altrimenti la regione non vedrà maila luce». Per «terra palestinese che va liberata completamente» Ahmadinejad intende e l’ha spie- gato mille volte, «tutto il territorio che va dal Giordano al mare», cioè non solo i Territori occupati da Israele nel 1967, ma anche tutta Israele che l’Iran ritiene illegale occupante di una terra che è solo e unicamente Palestina. Questa vi- sita, dunque, costituisce una ulte- riore affermazione della capacità di controllo della scena politica li- banese da parte di Hezbollah (il cui leader, lo sheikh Nasrallah, si definisce rappresentante in Liba- no dell’ayatollah Khamenei, gui- da della rivoluzione in Iran) che ha organizzato ieri pomeriggio un grande meeting di benvenuto al presidente iraniano in uno stadio della capitale e che oggi lo porterà nel sud del Libano a Bint Jbeil, a ri- dosso della Linea Blu di demarcazione con Israele. Una regia accurata e aperta- mente provocatoria, che ha preoccupato tutte le forze politi- che libanesi avversarie di Hezbol- lah, riunite nel cartello del “14 marzo” che hanno aspramente criticato tempi e modi della visita, accusando Teheran di aver fatto del Libano una «base iraniana nel Mediterraneo». Critica perfetta- mente simmetrica a quella prove- niente dal portavoce del ministero degli Esteri di Israele Yigal Palmor che ha paragonato la «provocato- ria visita del presidente iraniano in Libano a quella di un signorotto al suo feudo e ai suoi vassalli». Un quadro di estrema tensione, quindi, in cui è sempre più evi- dente la volontà oltranzista non solo di Hezbollah, ma anche dei suoi alleati, Siria e Iran e che paio- no volere sempre più avvicinarsi adun nuovoesito bellico. Ulterio- re conferma del totale fallimento della missione Unifil e della ne- cessità di rivedere al più presto, ovviamente con gli alleati, il senso stesso della permanenza dei no- stri 2.500 soldati nel sud del Liba- no. La risoluzione 1701 dell’Onu che ha promosso questo contin- gente aveva infatti come scopo la smilitarizzazione completa del sud del Libano, in cui Hezbollah doveva essere disarmato ad opera dell’esercito libanese. Questo non è avvenuto, anzi: Hezbollah si è riarmato sino ai denti e ora Unifil è ostaggio di una situazione in cui, peraltro, non può fare nulla, per- ché se una delle due parti decide di attaccare, le sue regole d’ingaggio non permettono nessun ruolo at- tivo, se non quello di pura osserva- zione. Naturalmente in mezzo ai due fuochi. Una situazione para- dossale, di grande - e inutile - peri- colo per i nostri militari.

La FIONDA NEWS - Michael Sfaradi : " Ahmadinejad in Libano, segnali di guerra "


Michael Sfaradi

La visita di Stato del presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad è cominciata questa mattina in una Beirut che già da alcuni giorni è addobbata a festa con centinaia bandiere libanesi e iraniane che sventolano lungo le arterie principali della capitale, e cartelloni con le effigi dei vari presidenti iraniani a cominciare dall’Ayatollah Komeini.
Le opinioni dei libanesi in proposito, almeno di quelli che hanno accettato di farsi intervistare dai media internazionali, sono le più variegate.
C'è chi crede che dietro gli accordi commerciali che verranno siglati potrà esserci una ripresa del paese dei cedri, con investimenti mirati all'industria del turismo che, da sempre, è stata una delle forze trainanti dell'economia mentre altri, invece, pensano e temono, e a nostro giudizio hanno ragione, che dietro i discorsi di circostanza si possa invece nascondere il grave pericolo che questa visita possa essere il preludio ad un nuovo attacco militare.
Infatti, come già ampiamente anticipato, Ahmadinejad si recherà a ridosso dei confini con Israele per lanciare simbolicamente delle pietre contro il territorio di quella che lui chiama: "entità sinistra", e in quell'occasione, è facile da immaginare, non disdegnerà di incontrare i terroristi sciiti, che si sono addestrati proprio in Iran e che da tempo sono schierati e pronti alla battaglia nonostante l’inutile presenza italiana e francese della missione UNIFIL.
Questa visita viene seguita con estrema attenzione dalle cancellerie occidentali perché dietro ai cartelloni festosi, all'inaugurazione di alcuni centri culturali e sociali di natura islamica e agli incontri ad altissimo livello con gli esponenti politici libanesi, compreso il presidente Hariri che non si fa scrupoli di sedere allo stesso tavolo con colui che potrebbe essere il mandante dell'omicidio di suo padre, c'è sicuramente l'aspetto più inquietante; l'incontro con Hassan Nasrallah, il capo di Hetzbollah.
Questa visita ha il chiaro intento di rafforzare l'asse Damasco – Teheran e di inglobare al suo interno il Libano che, come il classico vaso di coccio si trova, ancora una volta, in mezzo ai vasi di ferro.
Non è un segreto che Nasrallah prende ordini da Teheran e durante quest’incontro con il suo capo dovrà spiegare la sua strategia, dopo gli immensi investimenti militari di Teheran a favore della sua organizzazione.
I libanesi e gli israeliani pagheranno le conseguenza di una guerra che, se potessero, eviterebbero di combattere risparmiando a se stessi i danni e le perdite di vite umane ma questo non sarà possibile perché le nazioni occidentali, nonostante siano passati ormai diversi anni durante i quali minacce e avvertimenti sono risuonati come un “De Profundis” delle speranze di pace, ancora non hanno una linea comune in grado di riportare alla ragione la dirigenza iraniana che come un ragno ha tessuto, e questo è sotto gli occhi di tutti, una tela di odio e terrorismo, latente e palese, mentre cerca instancabilmente di dotarsi dell’arma nucleare.

Il SOLE 24 ORE - Ugo Tramballi : " Perché stare in Libano se a incassare è Teheran? "

Indubbiamente i poteri che l'Unifil avrebbe dovuto usare contro il riarmo di Hezbollah sono rimasti sulla carta.
Leggendo l'articolo, però, ci viene il sospetto che Tramballi si auguri la dipartita dell'Unifil per sguarnire il confine israelo-libanese da parte di truppe internazionali con un aumento di pericolo per la popolazione israeliana.
L'abbandono del Libano da parte dell'Unifil comporterebbe questo unico risultato.
Ecco l'articolo:


Ugo Tramballi

Il Libano non perderà il suo fascino di scalo del levante, a mezza strada fra Europa e Arabia. Beirut non assumerà i colori della Teheran bassa dei mostazafin, il proletariato senza scarpe della rivoluzione khomeinista. Non è questo l'obiettivo: in politica Hezbollah non ha mai avuto tendenze staliniste né commesso errori fatali. Ma l'arrivo di Ahmadinejad, venuto come un califfo in visita al confine del suo impero, segnala una realtà: abbiamo perso il Libano.

Come l'Iraq e l'Afghanistan, quella che per affettuosa banalità viene chiamata la Terra dei cedri (anche se ne saranno rimasti non più di una decina) non sarà come speravamo. Con modi e per interessi diversi, sono stati investiti miliardi, mobilitati soldati, allestita una politica. Ma come a Baghdad e Kabul, nemmeno a Beirut ci sarà qualcosa di simile alla nostra visione del Medio Oriente, alle nostre aspettative di stabilità regionale e ancor meno una democrazia che assomigli alle nostre. E dunque qui, come già in Iraq e ora in Afghanistan, il dubbio ha una sua legittimità: a cosa serve tenere 1.780 soldati italiani nel Sud del Libano?

La speranza, come accade sempre a Beirut, era nata da una tragedia: l'assassinio di Rafik Hariri, febbraio 2005. Si formò il "14 Marzo", un fronte moderato, interconfessionale e democratico; fu istituito un tribunale internazionale per scoprire assassini e mandanti; la Siria, principale accusata, fu costretta a ritirare le sue truppe. Poi ci fu la guerra fra Israele e Hezbollah: «Le doglie del parto di un nuovo Medio Oriente», la chiamò Condoleezza Rice. La guerra finì senza un vincitore: anche se per Hezbollah non perdere con Israele è stato come una vittoria. Sotto la bandiera dell'Unifil il mondo si mobilitò per dividere i nemici e garantire la rinascita del Libano. L'Italia più degli altri, con 2.400 soldati ora ridotti di circa un migliaio. Ma subito dopo Hezbollah e Iran con la collaborazione più sfumata della Siria, hanno ricominciato a impastare la solita farina libanese. Il "14 Marzo" vinceva le elezioni. Ma gli altri avevano il potere effettivo delle armi e della geopolitica locale.
Qualcuno che doveva contribuire al nostro successo non ha collaborato. Israele non ha offerto di restituire il Golan, l'incentivo per convincere la Siria a uscire dal fronte con Hezbollah e Iran e rinunciare alla "scelta della resistenza". Mentre noi distinguevamo un Libano filo-occidentale da uno filo-iraniano, nella guerra del 2006 gli israeliani bombardarono tutti, fingendo d'ignorare le complessità del paese e indebolendo le ragioni dei moderati.
Anche il Tribunale internazionale ha fatto più confusione che chiarezza. Prima accusando la Siria e facendo arrestare persone poi risultate innocenti; ora puntando il dito contro Hezbollah. Incapace di restare al di sopra del fango di spie e mestatori, il tribunale ha perso la credibilità necessaria. Anche se l'avesse mantenuta, Hezbollah avrebbe minacciato di dare fuoco all'intero Libano se non fossero cadute le accuse. Ora che non l'ha più, il partito sciita di Dio sente di essere ancora di più padrone del paese. Armare e addestrare l'esercito libanese per contenere la forza militare di Hezbollah, come prevedeva il piano A occidentale dopo la guerra del 2006, è un'illusione. Un piano B non esiste.
Il segno della sconfitta è nelle parole di Saad Hariri, primo ministro e orfano di Rafik: «Per un periodo di tempo abbiamo accusato la Siria di essere dietro l'omicidio. Era un'accusa politica e quest'accusa politica è caduta». Saad non è convinto che la Siria sia innocente: la questione è ormai irrilevante. Riconosce che le condizioni politiche per accusarla non esistono più.
Forse dovremmo ammettere anche noi che sono venute meno le ragioni che hanno spinto l'Italia a garantire il contingente più numeroso fra i 31 paesi che partecipano alla missione Unifil. Non è un fallimento: quando le condizioni c'erano, aveva un senso. Il generale Claudio Graziano, fino all'inizio di quest'anno comandante di tutti i 15mila caschi blu (ora 11.500), sosteneva correttamente che i suoi uomini davano alla politica il tempo di trovare una soluzione al conflitto. Le brigate che a rotazione sono state impiegate nel sud del Libano hanno fatto un buon lavoro, compatibilmente con le differenze delle regole d'ingaggio di ogni contingente nazionale.
Ma la politica non ha trovato una soluzione: Ahmadinejad visita il Libano come un vincitore; Hezbollah mantiene come prima il suo potere al sud e lo ha rafforzato a Beirut; l'esercito libanese non sarà mai capace di disarmarlo e prenderne il posto; la guerra con Israele può ricominciare in ogni momento con o senza l'Unifil alla frontiera. Abbiamo una data per il ritiro dall'Afghanistan dove ha un senso esserci. È tempo per fissare una exit strategy anche dal Libano, dove stare in così tanti non serve più.

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