Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 12/10/2010, a pag. 16, l'articolo di Aldo Baquis dal titolo " Nuova moratoria se l’Anp riconosce lo Stato ebraico ".
Una nuova moratoria nelle colonie in Cisgiordania è possibile. Lo ha annunciato ieri a sorpresa alla Knesset il premier Benyamin Netanyahu, lasciando così trapelare una pallida speranza che le trattative di pace con i palestinesi possano superare lo stallo attuale. Netanyahu ha rivelato ai parlamentari di aver già suggerito settimane fa agli Stati Uniti di convocare il proprio governo per approvare una nuova sospensione dei progetti ebraici in Cisgiordania, ma a una condizione: che l’Anp riconosca Israele come «lo Stato del popolo ebraico». Si tratta, ha esclamato, di una questione «cardinale» per la soluzione del conflitto, assieme con severi accorgimenti di sicurezza.
Ma pochi minuti dopo, da Ramallah, l’Anp ha fatto sapere che l’idea veniva respinta: «Che Israele garantisca il congelamento delle colonie, allora le trattative riprenderanno» ha tagliato corto il portavoce presidenziale, Abu Rudeina. «La questione del carattere di Israele non è di nostro interesse». Lo stesso Abu Mazen ha detto di recente con scherno: «Loro possono anche autoproclamarsi l’Impero Ebraico di Israele, la cosa non ci tocca».
Quando comunque ha parlato alla Knesset, Netanyahu era già ben consapevole dell’ostilità palestinese alle sue idee. Ai deputati ha detto che «nel frattempo giungono dagli Stati Uniti anche altre proposte su come superare lo stallo, e noi le esaminiamo con serietà e responsabilità». Dunque uno spiraglio, magari angusto, resta ancora aperto. Come al solito a dare un’ostinata impronta di ottimismo al dibattito, che segnava la conclusione della pausa estiva, è stato il Capo dello Stato Shimon Peres che guardandosi attorno si è sentito di dichiarare che «in quest’aula c’è comunque una maggioranza per il concetto dei due Stati per i due popoli». Parole che hanno suscitato schiamazzi fra i banchi della destra. In realtà alla Knesset spirano venti di nazionalismo esacerbato, sollevati in particolare dal partito di destra radicale Israel Beitenu di Avigdor Lieberman e dagli ortodossi di Shas. In rapida successione il governo ha approvato un emendamento alla legge sulla cittadinanza (che impone a chi la assume il giuramento di fedeltà ad Israele «come Stato ebraico e democratico») e un progetto di legge che renderà più difficile un eventuale ritiro israeliano dal Golan o da Gerusalemme Est. Per approvarlo occorreranno 80 voti sui 120 della Knesset, oppure un referendum.
Lo stesso Lieberman è stato impegnato ieri in una schermaglia con i suoi colleghi ministri degli Esteri della Spagna, Miguel Moratinos, e della Francia, Bernard Kouchner, ai quali ha consigliato senza peli sulla lingua di «concentrarsi sui problemi dell’Europa» e di astenersi da consigli a Israele. I due diplomatici hanno potuto leggere sui quotidiani israeliani salaci citazioni del loro colloquio con il focoso Lieberman. Il quale ora vola nei sondaggi: i 15 seggi del suo partito sono teoricamente cresciuti a 21. Il suo traguardo, dicono gli analisti, è diventare il leader incontrastato della destra, facendo così ombra allo stesso Netanyahu.
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