Qualche errore in malafede su Israele Sergio Romano non perde l'abitudine
Testata: Corriere della Sera Data: 11 ottobre 2010 Pagina: 41 Autore: Sergio Romano Titolo: «Israele Stato ebraico. I rischi della demografia»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 11/10/2010, a pag. 41, la risposta di Sergio Romano ad un lettore dal titolo "Israele Stato ebraico. I rischi della demografia ".
Sergio Romano
Romano scrive : "Quando il primo ministro Netanyahu chiede ai palestinesi di riconoscere Israele come «Stato ebraico»(...) viene chiesto ciò che la comunità internazionale ha riconosciuto, di fatto, sin dal 1948". Non tutta la comunità internazionale ha riconosciuto Israele come Stato ebraico. Gli Stati arabi limitrofi, per esempio, non l'hanno mai fatto. Hamas, l'associazione terrorista che governa la Striscia di Gaza, si rifiuta di riconoscere Israele, figurarsi dargli l'appellativo di 'Stato ebraico'. L'Egitto e la Giordania non hanno riconosciuto da subito Israele. In ogni caso, se il governo Netanyahu sente il bisogno di introdurre una norma del genere, è evidente che non ritiene che il fatto che Israele sia lo Stato ebraico sia una definizione condivisa e nota a tutti. Romano continua : " È probabile che le richieste, in questo momento, siano motivate tra l’altro dal desiderio di sgomberare il campo da qualsiasi discussione sulla possibilità di uno Stato binazionale di cui arabi ed ebrei sarebbero cittadini con gli stessi diritti.". Il problema legato allo Stato binazionale non è l'uguaglianza dei diritti, ma l'inclusione di un numero di arabi tale da alterare la maggioranza ebraica. Con questa affermazione, però, Romano sottintende che oggi in Israele gli arabi siano cittadini di serie B. Non è così. La popolazione araba gode dei diritti di tutti gli altri cittadini. Ecco lettera e risposta:
Mi è rimasto un dubbio. Israele chiede di essere riconosciuto come Paese ebreo, praticamente come uno Stato confessionale. Come potrà essere un Paese in cui i palestinesi abbiano gli stessi diritti? Infatti, mi sembra che i palestinesi attualmente in Israele non siano totalmente sullo stesso piano degli ebrei. Le sarei grato se volesse chiarire questo aspetto che rende alquanto dubbia tutta la ricerca di una soluzione del problema del Medio Oriente che, poi, è anche la causa dell’instabilità dell’intera regione.
L’influenza della componente ortodossa della società israeliana è molto più forte di quanto fosse sessant’anni fa, quando l’ideologia dominante era quella del sionismo laico dell’Europa centro-orientale. Ma non è possibile sostenere che Israele sia uno Stato confessionale. All’ebreo che giunge nel Paese e si avvale della legge del ritorno per ottenere la cittadinanza israeliana non si chiede una dichiarazione di fede ma l’appartenenza a una stirpe. Nel caso di Israele converrebbe piuttosto parlare di «Volkstaat», vale a dire di uno Stato costruito per un popolo, come fu la Germania, sia pure con diverse accentuazioni, sino a quando il governo del cancelliere Schröder fece approvare dal Parlamento una nuova legge, più liberale, sul conferimento della cittadinanza tedesca agli immigrati. Quando il primo ministro Netanyahu chiede ai palestinesi di riconoscere Israele come «Stato ebraico» e una legge inserisce tale denominazione nel giuramento di fedeltà dei nuovi cittadini, viene chiesto ciò che la comunità internazionale ha riconosciuto, di fatto, sin dal 1948. È probabile che le richieste, in questo momento, siano motivate tra l’altro dal desiderio di sgomberare il campo da qualsiasi discussione sulla possibilità di uno Stato binazionale di cui arabi ed ebrei sarebbero cittadini con gli stessi diritti. Netanyahu sa che in un tale Stato la crescita demografica della componente araba ridurrebbe gli ebrei a minoranza.
Il guaio, caro Guzzetti, è che a questa richiesta di Netanyahu corrisponde una politica che va nella direzione opposta. Se il primo ministro volesse davvero evitare questa prospettiva, il suo governo dovrebbe vietare gli insediamenti nei territori occupati, raggruppare quelli esistenti nelle aree destinate a restare parte integrante dello Stato israeliano, riconoscere l’esistenza di uno Stato palestinese, scambiare le aree annesse con il Triangolo, una parte della Galilea dove già vivono 250 mila arabi israeliani. È la soluzione di cui parla Sergio Della Pergola in una intervista a Ugo Tramballi ( Il Sole 24 Ore del 2 ottobre). Della Pergola, nato a Trieste ma i mmigrat oin Israele nel 1966, insegna all’Università ebraica di Gerusalemme, è il maggiore studioso della popolazione ebraica nel mondo e fu consigliere di Ariel Sharon all’epoca del ritiro dei coloni israeliani dalla Striscia di Gaza. Ma nella realtà tutti i governi israeliani, anche quando si dichiaravano favorevoli alla formula dei due Stati, hanno permesso che il partito dei coloni dettasse la linea e bloccasse questa soluzione con una serie interminabile di fatti compiuti. Se Netanyahu vuole davvero che il mondo arabo riconosca Israele come lo «Stato degli ebrei», questa non è la strada per arrivarci.
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