Mentre sui nostri giornaloni continuano a chiedersi come portare la Turchia in Europa, il FOGLIO di oggi, 09/10/2010, a pag.3, con il titolo "In Turchia l'intolleranza cresce come il potere del governo ", racconta come Erdogan, dopo la vittoria al referendum, stia modificvando la costituzione. Primo atto, l'introduzione del velo negli uffici pubblici.
Aspettiamo di vedere le reazioni dei giornali, che un tempo si definivano progressisti, nei confronti di questa violenza contro la libertà delle donne turche. E le femminsite ? silenzio, silenzio, silenzio. Nemmeno una colonnina di Dacia Maraini sul Corriere.
La donna turca ? come la moglie di Erdogan !
Istanbul. Un video che gira sugli schermi della metropolitana di Istanbul presenta l’antica capitale dell’Impero bizantino come un “mosaico di culture”. Un rabbino apre le porte della sinagoga, un frate aspetta i fedeli al cancello di Sant’Antonio, la chiesa più importante della città, e un imam prega nella propria moschea. La realtà è meno romantica di quanto appaia. Oggi, in Turchia, laicità dello stato e libertà di culto sono due punti fermi della Costituzione: c’è un ufficio governativo per gli Affari religiosi che gestisce i rapporti con i rappresentanti delle diverse chiese, il proselitismo è legale e le conversioni sono frequenti. Ma questi principi non sono sempre rispettati. Secondo Freedom House, il numero dei cristiani che dicono di avere problemi con le forze dell’ordine è in aumento, soprattutto nelle province dell’Anatolia. La chiesa cattolica e le sue istituzioni non sono riconosciute legalmente, nonostante le trattative siano cominciate negli anni Settanta: non avendo personalità giuridica, le comunità non possono acquistare e vendere immobili, neppure quelli destinati al culto, ed è vietato costruire chiese e aprire seminari. L’iniziativa spetta allo stato: negli ultimi anni, il governo ha provveduto al restauro di alcuni templi, come quello di Surp Harutyan, che si trova nel quartiere Beyoglu di Istanbul e ha riaperto proprio questa settimana. Molti cristiani turchi lamentano di essere discriminati: non possono fare carriera nell’esercito e non ricoprono mai incarichi di rilievo nell’Amministrazione pubblica o nella magistratura. Anche per questo, il loro numero scende continuamente: dai quattro milioni alla fine dell’Ottocento – che rappresentava il 20 per cento della popolazione – ai centomila scarsi di oggi. Prima della Seconda guerra mondiale, i cristiani di Istanbul erano 50 mila; ora sono meno di tremila. Le loro comunità sono piccole, isolate, non hanno il permesso di aprire scuole e di formare gruppi giovanili: “Ufficialmente, sono viste come una minaccia per l’ordine pubblico”, dice un rapporto del Centro studi internazionali (Cesi) realizzato per il Senato italiano. In Turchia, la protesta scoppiata nel 2006 contro le vignette di un quotidiano danese che ritraevano il profeta Maometto hanno avuto conseguenze particolarmente gravi. A Trebisonda, dove vive una delle comunità cristiane più antiche del medio oriente, un giovane ha ucciso don Andrea Santoro, sacerdote romano e grande sostenitore del dialogo fra le religioni. Non è finita: lo scorso giugno, il vescovo di Iskenderun, monsignor Luigi Padovese, è stato ucciso a coltellate da un collaboratore. I due casi hanno molti punti in comune. Gli assassini sono in carcere, esiste il sospetto che abbiano agito motivati dall’integralismo islamico, ma le autorità preferiscono ricorrere all’espediente dell’incapacità d’intendere. Oltre alle vicende di don Santoro e di monsignor Padovese, in Turchia si registrano ogni anno decine di casi di violenza e di discriminazione. Secondo molti osservatori, le responsabilità appartengono al governo. Il partito Giustizia e progresso (Akp) è al potere dal 2003 e ha modificato di recente la Costituzione per esercitare un controllo maggiore sull’esercito e sui magistrati, le due categorie che assicurano il rispetto del kemalismo. Il premier, Recep Tayyp Erdogan, è filo islamico e vuole permettere alle donne di portare il velo nelle università e negli uffici pubblici. Per ora, l’Unione europea è soddisfatta delle sue riforme: il processo che porterà Ankara fra i 27 potrebbe cominciare nel 2015, ma il tema della libertà religiosa non ha, di fatto, un posto nell’agenda delle trattative.