Riportiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 08/10/2010, a pag. 14, l'articolo di Ugo Tramballi dal titolo "Il kibbutz ha cent'anni. E si vede".
Il kibbutz Degania
Il vero nocciolo dell'articolo di Tramballi è nella conclusione : " Kibbutz e colonie hanno avuto in fondo la stessa funzione: occupare e edificare la terra d'Israele. La grande differenza è che i primi la loro funzione l'hanno compiuta. Secondo i settlers quel sionismo è invece un'impresa senza fine. Per questo i 100 anni della prima casa di Degania sono una ricorrenza importante ma triste d'Israele ". Con queste righe Tramballi definisce il sionismo per ciò che non è mai stato: colonialismo.
Una tesi razzista e fasulla, tutta volta a screditare Israele e i suoi cittadini.
Potremmo scrivere che è frutto dell'ignoranza, ma vista la firma dell'articolo, è facile comprendere che, più che di ignoranza, si tratta di malafede.
Delegittimare i kibbutzim israeliani, esempio di socialismo umanitario, è solo una delle tante tecniche usate da giornalisti come Tramballi per delegittimare Israele.
Ecco l'articolo:
Non ci sono più le vacche. Spariti anche i soldati volontari dei gar'in e quelli civili ebrei e non ebrei che venivano da ogni parte del mondo. La grande baracca di legno, la mensa comune, è chiusa perché ormai ognuno mangia a casa: casa sua, non della collettività. Quel che spinge qui i pochi nuovi venuti è un desiderio di ritorno alla vita bucolica, non agli ideali del sionismo. Ancor meno del socialismo.
Sono cento anni da quando nacque il primo kibbutz di Palestina, allora parte dell'impero ottomano. E francamente pesano su un movimento collettivista lontano alcune migliaia di chilometri da ciò che oggi è Israele: economicamente, politicamente e riguardo alle sue prospettive. Così lontano da non esistere quasi più. Un tempo kibbutznik, era il 6% della popolazione. Oggi il 2 ma più per scelta residenziale che ideologica. Quasi tutte le fattorie collettive sono diventate spa, hanno abbandonato l'agricoltura per l'industria, le tecnologie, il turismo. In questi ultimi anni il business principale è stato vendere terreni e villette ai pendolari delle città vicine.
«Dobbiamo ammettere di non aver avuto successo nel tentativo di cambiare la natura umana», diceva qualche tempo fa Ayala Gilad, regista nata a Ein Gedi sul Mar Morto, un kibbutz diventato impresa turistica. «Anche noi siamo esseri umani, con smanie e debolezze. Mortali regolari, preoccupati per le nostre famiglie, impegnati a far soldi con il desiderio di lasciare qualcosa ai figli». Come darle torto.
Ma la storia racconterà sempre che il primo kibbutz fu Degania Alef, i cui lavori iniziarono nel 1910 dove finisce la valle del Giordano, sulle rive del lago di Tiberiade. Della fattoria originale è rimasto un edificio che la Società per la preservazione dei siti storici sta ristrutturando. «È un edificio modesto dove incominciò qualcosa di grande», spiega Omri Shalmon della società. «Non è una casa notevole, non è un palazzo come il Taj Mahal: è un Taj Mahal ideologico».
Perché scegliere Nir Am al confine con la striscia di Gaza, nato solo nel 1943, per celebrare i 100 anni? Perché la storia di Nir Am, passato al capitalismo nel 2000 non senza qualche scazzottata fra bolscevichi e menscevichi, quella di Degania e delle altre 265 ex fattorie collettive, è la stessa. Perché a Nir Am ha vissuto chi scrive e per quanto diverse siano le strade che si prendono, il legame con il kibbutz resta per tutta la vita. E perché questo, con i pochi altri a ridosso del Libano, a un passato è tornato concretamente: da quando gli israeliani si sono ritirati da Gaza nel 2005 e Hamas la governa, Nir Am è di nuovo un kibbutz di frontiera, cioè di prima linea. È a 200 metri dalla Striscia, a mezza strada fra Sderot e, oltre i reticolati, Beit Hanoun e il campo di Jabalia. Qui sono caduti più Qassam che in ogni altro posto: di tanto in tanto cadono ancora.
Nir Am, fondato da polacchi, ucraini e rumeni di Bessarabia, non appartiene alla nobiltà sionista russo-tedesca di Degania dove è nato Moshe Dayan; dove è passato Joseph Trumpeldor, eroe nazionale caduto a Tel Hai mormorando: «È bello morire per la patria». Però Nir Am ha avuto Yanchic che dal 1943 finché ha vissuto non si è perso una scaramuccia o una guerra di Israele. «Qui visse, sognò e lottò il vaccaro di Nir Am: Yakoov Yanchic, 1916-1986». Durante la guerra di Gaza, due anni fa, come barbari all'assalto, centinaia di troupe televisive occuparono la collina di Nir Am dalla quale si apre una vista spettacolare sulla Striscia. Quasi sradicarono il piccolo monumento a Yanchic.
I dati demografici dicono poco del reale peso delle fattorie nella narrativa israeliana. Milioni di altri israeliani sono passati per i kibbutz: vivendovi per poco tempo, come soldati, come volontari. Ancora all'inizio degli anni 90, i nuovi immigrati venuti dall'Urss erano alloggiati in un kibbutz per imparare la lingua e assuefarsi alla nuova patria. Credettero di aver scoperto il vero socialismo dal volto umano e votarono per il laburista Rabin. Poi si adeguarono all'economia di mercato che stava esplodendo in Israele e ora sono la base rumorosa dei partiti di estrema destra.
Il livello medio di educazione nei kibbutz è sempre stato il più alto del paese. Come il patriottismo. Il 91% dei giovani serve nelle forze armate, l'83 chiede di entrare nelle unità di prima linea. Fino a poco tempo fa il 13% degli ufficiali dal grado di tenente al maggiore erano kibbutznikim: sei volte e mezzo la loro incidenza demografica. Oggi il 40% sono "ufficiali con la kippa": giovani ortodossi e ultra-nazionalisti in gran parte cresciuti negli insediamenti dei territori occupati. Kibbutz e colonie hanno avuto in fondo la stessa funzione: occupare e edificare la terra d'Israele. La grande differenza è che i primi la loro funzione l'hanno compiuta. Secondo i settlers quel sionismo è invece un'impresa senza fine. Per questo i 100 anni della prima casa di Degania sono una ricorrenza importante ma triste d'Israele.
Per inviare la propria opinione al Sole 24 Ore, cliccare sull'e-mail sottostante