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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
08.10.2010 I negoziati secondo Ugo Tramballi
Solo propaganda anti israeliana, come sempre

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 08 ottobre 2010
Pagina: 14
Autore: Ugo Tramballi
Titolo: «Stallo sulle colonie, negoziati di pace a rischio fallimento»

Riportiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 108/10/2010, a pag. 14, l'articolo di Ugo Tramballi dal titolo " Stallo sulle colonie, negoziati di pace a rischio fallimento".


Abu Mazen come Yasser Arafat

I negoziati visti da Ugo Tramballi : " i palestinesi stanno chiaramente con i democratici. Se Barack Obama uscirà indebolito, la partita sulla moratoria delle colonie la vincono gli israeliani; se ne sarà rafforzato, i palestinesi possono davvero sognare uno stato fra un anno, come promesso dal presidente americano. ". Un' 'analisi' che mira a incolpare Israele del possibile fallimento dei negoziati. Contrariamente a quanto crede Tramballi, gli arabi non sognano nessuno Stato palestinese. Se fosse così, l'avrebbero da parecchi anni.
Ciò che interessa all'Anp è affondare Israele. Tutti i negoziati sono falliti, in passato, grazie ai secchi rifiuti della controparte araba.
A Tramballi che vede solo buone intenzioni nell'Anp, consigliamo la lettura della Cartolina da Eurabia di Ugo Volli del 07/10/2010 dal titolo " Ecco i palestinesi  buoni con cui bisognerebbe fare la pace ", con le dichiarazioni di Abu Mazen e Saeb Erekat sui negoziati e Israele. Sarà per lui illuminante e gli permetterà di comprendere che non è Israele a remare contro i negoziati.
Ecco l'articolo:

Lo strano caso degli insediamenti e del loro congelamento potrebbe essere risolto oggi. Ma potrebbe anche non esserlo. Oggi la Lega Araba si riunisce in Libia, ascolta il resoconto di Abu Mazen e insieme a lui decide se rinunciare al dialogo di pace con Israele se Israele non prolunga la moratoria sulle colonie nei territori occupati. Ma forse no.

Il fatto è che quella moratoria iniziata con molte falle dieci mesi fa si è temporalmente conclusa due settimane fa. Ma Bibi Netanyahu, il premier israeliano, da allora non ha fatto alcuna dichiarazione politica: non ha annunciato che i lavori riprendono né che accetta la richiesta americana di prolungare la moratoria per altri due mesi. Israele sembra molto più interessato a leggere i carteggi ora declassificati della guerra del Kippur, scoppiata 37 anni fa di questi giorni.

L'unica cosa certa è che i lavori nelle colonie sono ripresi, con o senza annuncio formale: 350 case iniziate in una settimana, come spiega con orgoglio Danny Dayan, il capo del movimento dei coloni, è una bella media. Nonostante questo, nessun arabo ha annunciato che la trattativa di pace è chiusa, come l'evidenza dei fatti dovrebbe già dimostrare. Ammonimenti, minacce ma nessuna presa di posizione formale. Ieri Yasser Abed Rabbo sosteneva che «non ci sarà mai un serio processo politico col governo Netanyahu». Abed Rabbo non è importante come Abu Mazen, anche se la sua dichiarazione potrebbe anticipare uno sbocco dell'impasse sulle colonie: il tentativo americano di far cadere il governo di destra in Israele sperando che ne succeda uno di centro-sinistra.

Non dicendo nulla Bibi Netanyahu riguardo alla richiesta americana di altri due mesi di moratoria, anche la Lega oggi potrebbe prendere posizioni interlocutorie. Sono tutti in attesa di un evento lontano dal Medio Oriente: le elezioni di medio termine negli Stati Uniti. Il governo di destra israeliano tifa per i repubblicani senza nasconderlo troppo; i palestinesi stanno chiaramente con i democratici. Se Barack Obama uscirà indebolito, la partita sulla moratoria delle colonie la vincono gli israeliani; se ne sarà rafforzato, i palestinesi possono davvero sognare uno stato fra un anno, come promesso dal presidente americano. Non c'è altra ragione che spieghi perché su un tema come gli insediamenti che potrebbe provocare una terza Intifada, ci sia invece tanto titubare.

In fondo anche i negoziatori americani attendono i risultati di midterm, il 3 novembre, per sapere come comportarsi. La proposta fatta agli israeliani è evidentemente legata a quella scadenza. In cambio di un congelamento di soli due mesi (cioè quando i rapporti di forza fra democratici e repubblicani si saranno assestati in base al voto di medio termine) gli americani offrono a Israele praticamente una vittoria alla lotteria: aumento degli aiuti militari che sono già da tre miliardi di dollari l'anno, il trasferimento delle armi tecnologicamente più avanzate, il diritto israeliano di mantenere le truppe nella valle del Giordano anche dopo la nascita dello stato palestinese, la promessa che passati i due mesi non verranno più chieste altre moratorie. Non solo: la questione delle frontiere esce dalle priorità del processo di pace e nel frattempo gli israeliani saranno liberi di costruire ciò che vogliono.

Non si capisce perché i palestinesi non dovrebbero protestare ma si capisce ancor meno perché Israele non accetti con entusiasmo. Ancora senza citare la moratoria, ieri sera Netanyahu ha scaricato sui palestinesi la responsabilità di un eventuale fallimento della trattativa: «Perché volete lasciare i colloqui? Non girate le spalle alla pace». Un'ambiguità che farà molto arrabbiare Barack Obama. Eventualmente dopo le elezioni di medio termine.

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