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La Stampa Rassegna Stampa
04.10.2010 Padre pakistano lapida la moglie e tenta di uccidere la figlia perchè rifiuta il matrimonio
Per la Stampa è il gesto di un folle. Non è così. Cronaca di Franco Giubilei, intervista a Souad Sbai di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 04 ottobre 2010
Pagina: 15
Autore: Franco Giubilei - Francesca Paci
Titolo: «Lite sulle nozze combinate uccide la moglie a pietrate - Attenti, è solo l’inizio le seconde generazioni rifiutano quei modelli»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 04/10/2010, a pag. 15, l'articolo di Franco Giubilei dal titolo "  Lite sulle nozze combinate uccide la moglie a pietrate", l'intervista di Francesca Paci a Souad Sbai dal titolo " Attenti, è solo l’inizio le seconde generazioni rifiutano quei modelli ".

Nell'occhiello dell'articolo in prima pagina si legge " La follia di un padre pachistano". Il termine 'follia' è usato a sproposito. Non si è trattato del gesto di un pazzo, ma della consuetudine per una famiglia islamica. E' ciò che succede normalmente in Pakistan (e adesso comincia anche in Europa): il padre ha diritto di vita o di morte sulle donne della sua famiglia, ha il diritto di costringere una figlia a sposarsi con chi decide lui e, se si rifiuta, ha il diritto di assassinarla a sassate, con l'aiuto degli altri mebri della famiglia. Non è follia, per il loro tipo di società.
Ecco i due articoli:

Franco Giubilei - "  Lite sulle nozze combinate uccide la moglie a pietrate"


Begm Shnez metre viene arrestato

Erano mesi che il padre premeva, con le buone e con le cattive, perché la figlia ventenne sposasse un connazionale, un pachistano come tutti loro, immigrati sei anni fa a Novi di Modena. La ragazza però non voleva saperne e la madre era dalla sua parte, tanto che si sarebbe rivolta ai carabinieri per segnalare le liti in famiglia e le botte prese dal marito per averla appoggiata. Nel pomeriggio di ieri la tensione è esplosa nuovamente ed è sfociata in tragedia, dopo uno scontro violentissimo che ha coinvolto anche uno dei fratelli della giovane ribelle: al culmine dell’ennesimo litigio, iniziato fra il figlio e la ragazza, l’uomo, 53 anni, prima ha picchiato la moglie a mani nude e poi si è accanito su di lei con un mattone raccolto in giardino. Begm Shnez, 46 anni, è morta qualche ora dopo. La figlia invece ha fatto i conti con la furia del fratello, di un anno più giovane, e alleato del padre in questa assurda guerra familiare di maschi contro femmine: il ragazzo l’ha picchiata con una spranga di ferro, riducendola in gravi condizioni.
Madre e figlia sono state trasportate in elicottero all’ospedale modenese di Baggiovara, dove la donna è morta di lì a poco. La figlia invece, arrivata cosciente in ospedale, è riuscita in qualche modo a raccontare ai medici quel che le era successo prima di entrare in sala operatoria per l’intervento. Ha un trauma cranico e le condizioni sono gravi. Il padre, Butt Hamad Kahn, è stato fermato dai carabinieri insieme al figlio e condotto in caserma per i primi interrogatori. Lavora come operaio saldatore in un’azienda di Soliera, un paese vicino, mentre il giovane Butt Ahmad Umair aveva trovato un posto come aiutante in una tintoria di Novi.
La famiglia pachistana – cinque figli, il più piccolo di solo un anno e gli altri di quattro, 14, 19 e vent’anni - è in regola col permesso di soggiorno e ha buoni rapporti, a quanto si è saputo, con la gente del paese. I problemi però covavano all’interno del nucleo familiare e avevano a che fare, secondo l’ipotesi investigativa, con la consuetudine pachistana di far sposare la figlia femmina con una persona scelta dal padre. Un matrimonio combinato con un uomo sconosciuto e, soprattutto, non desiderato. Nosheen però, questo il nome della ragazza, si sarebbe rifiutata di obbedire al genitore padrone, sostenuta in tutto e per tutto dalla madre. Così sono cominciati i contrasti in famiglia, con la signora Begm Shnez che, sia pure senza presentare denunce formali, avrebbe parlato con i carabinieri di quel che succedeva in casa sua. Ieri pomeriggio l’ultima discussione è degenerata in aggressione: secondo le prime ricostruzioni, intorno alle quattro il fratello diciannovenne si è messo a litigare con la sorella nel cortile di casa, in via Veles Bigi, a poche centinaia di metri dalla caserma dei carabinieri. Alle minacce sono seguiti i fatti: il ragazzo ha afferrato un bastone metallico e ha colpito la sorella. La madre, che assisteva alla scena, ha cercato di difenderla mettendosi in mezzo e a questo punto è intervenuto il padre, che si è armato di un mattone vibrandoglielo in testa, un colpo mortale.
I due figli più piccoli della coppia erano in casa, mentre l’altra figlia 14enne non era presente. I due aggressori sono stati subito fermati dai carabinieri di Novi e portati in caserma, dove si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Nessun commento neanche da parte dei legali. Nel piccolo paese della Bassa intanto gli abitanti sconvolti dall’accaduto si interrogano sulla realtà sommersa della comunità pachistana.

Francesca Paci - "  Attenti, è solo l’inizio, le seconde generazioni rifiutano quei modelli"


Souad Sbai

Attenzione, il caso di Novi, come quello di Hina Saleem a Brescia, è solo la punta dell’icerberg, prepariamoci all’emersione di un fenomeno di dimensioni inaspettate». Souad Sbai, deputata di origine marocchine e anima dell’associazione Acmid-Donna, lavora con le seconde generazioni di immigrate musulmane da molto prima che sedesse tra i banchi del Parlamento. Quel che è cambiato negli ultimi due anni, spiega, non è il numero delle storie di violenza quanto il coraggio di denunciarle.
Se le indagini lo confermeranno un’altra donna è stata uccisa in nome d’una tradizione patriarcale che gli immigrati lasciano moribonda in patria e rinverdiscono in Italia a spese dei figli. Cosa c’è dietro questo scontro generazionale?
«Le seconde generazioni d’immigrati cominciano ad avere 17, 18 anni, sono adulti e chiedono diritti. La cosa riguarda maschi e femmine ma le femmine sono più vulnerabili perché chiamano in causa l’onore. Pensare che il loro cervello sia piatto come quello dei genitori quando sono arrivati è folle. Sono italiani a tutti gli effetti, è quasi patetico ripeterlo».
Eppure sembra non bastare mai. Quanti casi pensa ci siano in Italia come quello di Novi?
«Moltissimi. Pensate che in Italia ci sono 123 mila marocchine e sono solo 7 mila quelle che alzano la voce. E le marocchine, come le pakistane, sono le più bellicose, quelle che sono meglio informate delle battaglie per l’emancipazione in corso nei paesi d’origine. La comunità egiziana e quella algerina per esempio, vivono nell’omertà e fanno pressione sulle ragazze chiudendole nel silenzio».
A Novi pare che la mamma sia stata uccisa per difendere la figlia. Succede spesso?
«Seguo centinaia di casi di mamme-coraggio che vengono picchiate quotidianamente perché prendono le parti delle figlie, sfidando per loro quel potere maschile che le ha sempre soggiogate. Le madri come quella di Hina Saleem, che si schierano con il padre assassino sono una minoranza, hanno paura e la paura annichilisce. Le denunce dei media, sempre più frequenti, svolgono un ruolo importante perché rendono le donne consapevoli di non essere sole e al tempo stesso le mettono in guardia dalle conseguenze del silenzio».
Cosa può fare l’Italia per prevenire la violenza dei padri padroni, anziché limitarsi a punirla?
«Bisognerebbe tornare alla Carta dei valori promossa dall’ex ministro dell’interno Amato, un’iniziativa importante che si è fermata lì. Ci siamo concentrati sulla sicurezza che è una cosa importante ma relativa. Il problema è l’integrazione, è far conoscere a tutti gli immigrati i diritti e i doveri del vivere in Italia e la necessità del condividerli. Amato aveva ragione quando inserì in quella Carta l’uguaglianza tra uomini e donne, un concetto ancora lontano per molte culture tradizionali che invece dev’essere il punto di partenza per evitare che si ripetano all’infinito storie di cronaca di nera come a Novi».

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