Sul SOLE24ORE di oggi, 03/10/2010, a pag,10, un articolo di Roberto Bongiorni dal titolo "Primo stop palestinese ai colloqui ", una titolazione imprecisa, perchè finora non è stato dichiarato nessuno stop dall'Autorità palestinese, che si è presa invece una settimana di "riflessione". Così come il rifiuto di Netanyahu al prolungamento della moratoria ha avuto come effetto l'accettazione da parte palestinese di uno scambio di territori. La prova che la debolezza nelle trattative, secondo lo stile Obama, non porta a nessun risultato. Un aspetto che però sfugge alla maggioranza dei commentatori.
Ecco l'articolo:
Bibi Netanyahu Abu Mazen
Non è ancora la fine del processo di pace più complesso del mondo, ma sicuramente è un pessimo inizio. Com'era prevedibile la leadership palestinese ha reso nota ieri la sua posizione: nessun negoziato diretto con la controparte israeliana se non sarà fermata l'espansione degli insediamenti in Cisgiordania. In serata è arrivato l'appello del premier israeliano Benjamin Netanyahu che ha chiesto ai palestinesi di proseguire i colloqui.
Partito venerdì scorso da Gerusalemme a mani vuote, George Mitchell, l'inviato del presidente americano Barack Obama per il processo di pace, se lo aspettava. Ma si tratta comunque di un boccone amaro. «Non proseguiremo i negoziati mentre continua l'espansione degli insediamenti», ha detto Nabil Abu Rudeineh, uno dei portavoce del presidente palestinese Abu Mazen al termine di un riunione a Ramallah tra i membri del Comitato esecutivo dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), che rappresenta tutte le fazioni palestinesi tranne Hamas e dei vertici del partito Fatah. «La ripresa del dialogo richiede passi concreti, primo fra tutti il congelamento degli insediamenti», ha precisato Yaser Abed Rabbo, voce autorevole in seno all'Olp. «Gli sforzi hanno raggiunto un punto morto», ha aggiunto Rudeineh.
Una richiesta che, con ogni probabilità, non sarà accolta da Israele. Lo scorso 26 settembre è infatti scaduta la moratoria sugli insedimenti. Un'azione senza precedenti nella giovane storia israeliana - per dieci mesi è stata congelata la loro espansione - che il governo di Gerusalemme aveva deciso per incentivare i palestinesi a tornare al tavolo dei negoziati. Proprio venerdì il premier israeliano Netanyahu ha reso noto che la moratoria non sarà estesa.
La soluzione ideata dall'Olp per mantenere in vita il fragilissimo processo non è di buon auspicio: mantenere il dialogo aperto con i mediatori americani ed esercitare pressione sulla comunità internazionale perché Israele congeli gli insediamenti. Decisivo sarà il vertice dei ministri degli Esteri della Lega Araba, venerdì prossimo in Libia. Dopo essersi consultato con l'organizzazione, Abu Mazen renderà nota una decisione finale sulle trattative del nuovo processo di pace, iniziato il 2 settembre a Washington, con l'incontro tra Abu Mazen e Netanyahu.
Ancora una volta le posizioni sembrano inconciliabili. Per la leadership palestinese l'espansione degli insediamenti ha trasformato la Cisgiordania in un territorio a macchia di leopardo, rendendo impraticabile la creazione di un futuro stato palestinese. I palestinesi sarebbero tuttavia disponibili a concedere a Israele di mantenere alcuni grandi blocchi di insediamenti in cambio di altre parti di territorio. Netanyahu dice: sì a uno stato palestinese, ma demilitarizzato, con i confini controllati da Israele.
Il margine per trovare un compromesso è ridotto all'osso. Finora Israele ha respinto le pressioni di Washington per estendere la moratoria di altri 60 giorni. Un atteggiamento non incoraggiante per la Casa Bianca.
Per inviare al Sole24Ore la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante.