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Una lettera per Ciarrapico 02/10/2010

Riceviamo e pubblichiamo:

Senatore Ciarrapico,

 ho ascoltato con sgomento i suoi riferimenti alla kippah che il presidente della Camera on. Gianfranco Fini indossò per visitare lo Yad Vashem. Con sgomento, anche se, purtroppo, con le valutazioni che le mie lotte contro il negazionismo mi portano a fare ogni qual volta si prendano posizioni più o meno esplicite contro gli ebrei o in offesa alla Shoah e allo sterminio di milioni di esseri umani (non solo ebrei ma rom, omosessuali, cristiani ecc.ecc.). Certo le sue parole non sono state un esplicito riferimento alla Shoah, ma facendo due più due ci si rende conto che il tradimento di cui parla è riferito al fatto che il nostro Presidente Fini ha, secondo lei, tradito gli ideali fondativi del Movimento Sociale Italiano, indossando la kippah e visitando lo Yad Vashem. Quindi, per Lei, quello che, per la destra innovatrice che il Presidente Fini ha sempre portato avanti, è stato un gesto di grande coraggio ed apertura (e che ha consentito ad Alleanza Nazionale di sdoganarsi) è stato un tradimento!!! Dobbiamo quindi dedurre che Lei sostenga, dentro un partito di governo, l’idea che la Shoah sia stata una cosa accettabile al punto che il suo leader non doveva permettersi di rendere omaggio a quei milioni di morti.

La kippah, che Lei tanto denigra, è un simbolo molto forte per la religione ebraica. E’ il copricapo che gli ebrei portano quando entrano in sinagoga perché nella Torah è scritto che non si starà mai “a capo scoperto” davanti a D-o.
I cristiani lo hanno abolito nel corso degli anni, ma si mantiene comunque per gli alti prelati.
Io, personalmente, pur non essendo ebreo ma gentile, ne ho due che mi sono state regalate in occasione della mia visita al Tempio Maggiore di Roma e al Rabbino Emerito prof. Elio Toaff.
Ecco perché l’uso subdolo che lei fa di questa parola, indicata come “corpo del reato” di un tradimento, è fortemente offensivo per tutti gli ebrei per cui lei dimostra un non tanto latente sentimento di “razzismo”.
Mi consenta, senatore, di dirle che è meglio che si faccia un viaggio ad Auschwitz e allo Yad Vashem, che pensi per un attimo se qualcuno di quei milioni di morti fosse stato un suo parente, magari suo padre o sua madre o suo figlio… e dopo veda se ha ancora il coraggio di affermare che portare la kippah è sinonimo di tradimento.

Le faccio leggere qualche verso di una mia poesia tratta dal mio libro “Viaggio nella Shoah”.

"Sono stato ad Auschwitz ho visto coi miei occhi la morte ho ascoltato l'assordante silenzio che regnava dove l'inferno era il freddo gelo del Cocito e il bruciante caldo dei forni. Ho visto le scarpe, gli occhiali, le valigie, di coloro che sono morti, ingannati dai nazisti.
Ho pianto lacrime vere e lacrime di sangue e il mio cuore si è congelato quando ho visto le bambole e i vestiti dei bambini sterminati per primi. Ho visto dove uno scienziato sadico sterilizzava le donne, uccideva i gemelli, infettava i sani, solo per il gusto cinico di provare. Ho guardato coi miei occhi la stanza delle docce, l'interno dei forni, le ciminiere da cui uscivano le anime degli innocenti. Ho camminato su quella neve profonda, con il capo cosparso di cenere bianca per quella strada infinita dove camminavano i morti viventi così ridotti dai nazisti. Ho sentito il gelo penetrarmi nelle ossa, le carni indebolirsi la vista annebbiarsi le mani tremare, la voce mancare la pelle rattrappirsi i capelli sbiancarsi, le labbra serrarsi in una smorfia inumana. Ad Auschwitz non vi è mai stata vita non vi è mai stato amore solo dolore, atroce sconfitta della dignità umana. Ma tale sconfitta non è stata di chi è morto lì dentro, ma di chi li sistematicamente uccisi.

Sono stato ad Auschwitz, dovremmo andarci tutti almeno una volta e non avremmo più il coraggio di dubitare, non potremo più dire che non è stato nulla. Perché sentiremo la nostra vita un enorme dono, capiremmo quanto siamo deboli, ma anche quanto la nostra vita non valga più di quella altrui, e che siamo tutti uguali. Capiremmo la nostra fortuna, la fortuna di essere vivi ma anche quanto è sottile la linea che ci divide dalla morte. Capiremmo che spetta solo a noi far sì che quella linea non venga superata. Guardiamo negli occhi le foto dei morti di Auschwitz pensiamo se loro erano diversi da noi, pensiamo a quando ridevano, giocavano, lavoravano, mangiavano, pregavano e speravano come tutti noi che oggi siamo qui tranquilli, riscaldati, protetti e rendiamoci conto che spetta solo a noi, evitare che riaccada."
(Scritta da Ettore Lomaglio Silvestri il 15 febbraio 2010 alle ore 17,11)

 La saluto dicendole Shalom, ho imparato a non odiare ed offendere nessuno, per questo le dico Pace,
Ettore Lomaglio Silvestri
Già presidente Associazione Radici Comuni e promotore Appello per rav Elio Toaff senatore a vita


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