Vivere nel timore di venire ucciso, è la vita di chi in Occidente ritiene di poter manifestare in libertà il proprio pensiero. Lo racconta Giulio Meotti sul FOGLIO di oggi, 02/10/2010, a pag.2 con il titolo " Il satana danese rompe la tirannia del silenzio, protetto dal filo spinato ".
Roma. Si intitola “La tirannia del silenzio” il libro-testamento che Flemming Rose ha scritto a cinque anni dalla pubblicazione delle vignette di Maometto. Sulla sua testa pende una condanna a morte che si autorigenera nel mondo islamico. La sua testa è finita in cima alla picca di una caricatura. Alcuni mullah talebani hanno promesso una taglia di 100 kg. d’oro a chi lo ucciderà.
Nel settembre 2005, come responsabile della cultura del suo giornale Jyllands-Posten, Rose ingaggiò venticinque vignettisti per capire quanto fosse flebile la libertà d’espressione in Danimarca.
Doveva fare caricature di Maometto. Scoppiò il finimondo, tra morti e boicottaggi. “La tirannia del silenzio” traccia un bilancio su quanto è successo. Nel volume è presente una foto della prima pagina del Jyllands-Posten del 30 settembre 2005, numero sul quale vennero pubblicate le vignette di Kurt Westergaard sul Profeta che scatenarono tante tensioni con il mondo arabo.
Scriverà un libro anche Westergaard, l’autore della vignetta più incendiaria, il Maometto col turbante in testa.
Ancora a gennaio di quest’anno il settantacinquenne disegnatore fu attaccato a casa sua, ad Aarhus, da un estremista somalo che brandiva un’ascia. Westergaard ebbe la prontezza di chiudersi in una stanza e sfuggire al killer. Poi, ad aprile, la decisione della direzione del quotidiano di mettere in congedo illimitato il disegnatore “per ragioni di sicurezza”.
La sua ultima vignetta ritrae Don Chisciotte a cavallo, armato di carta e penna. Dietro di lui non c’è Sancho Panza, ma un asino che porta un’incudine sulla quale spiccano le parole “libertà di espressione” e una bomba che sta per esplodere.
Per cercare di stemperare gli animi, alla vigilia dell’uscita del libro di Rose il ministro degli Esteri danese, Lene Espersen ha incontrato diciassette ambasciatori musulmani. Giorni fa la polizia danese ha arrestato un curdo che voleva attentare alla vita dei giornalisti del Jyllands-Posten. In precedenza un ceceno è stato arrestato dopo aver fatto esplodere accidentalmente in un albergo una lettera-bomba che voleva spedire a Flemming Rose. Adesso al Jyllands- Posten si entra dopo aver passato una barriera di filo spinato alta due metri e mezzo e lunga un chilometro. Composta da una palizzata di metallo sovrastata da videocamere elettroniche, la costruzione rende il giornale simile a un’ambasciata statunitense in un paese ostile. Il giornale si trova sulla collina Ravnsbjerg di Viby, nei pressi di Aarhus, la seconda città della Danimarca. L’accesso all’edificio è ostacolato anche da grandi massi di pietra posti ai piedi della palizzata e l’ingresso alle auto è consentito solo attraverso una porta a doppia chiusura, come nelle banche, mentre i dipendenti possono entrare solo uno alla volta digitando un codice personale.
Rose nel libro esordisce raccontando la campagna d’odio subita in questi anni, dal boicottaggio nelle raffinate sale di lettura europee alle violente dimostrazioni nei paesi arabi, dove Rose è noto come il “satana danese”. Quando nel 2006 fu invitato a parlare a Oxford, le forze d’intelligence britanniche misero su “la più grande operazione di sicurezza da quando la pop star Michael Jackson aveva visitato la ridente cittadina universitaria alcuni anni prima”. “Non sono un provocatore, non sono in cerca di perenne conflitto per amore del conflitto”, scrive Rose. Eppure per il giornalista esiste qualcosa di non negoziabile: “Bisogna rispondere alle parole con le parole perché sono la sola cosa che abbiamo in una democrazia, e se vi rinunciamo, cadiamo nella tirannia del silenzio.
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