Con il titolo " Si chiude in Iran, s'apre un più succoso Iraq. Eni combina politica e affari" Daniele Raineri racconta sul FOGLIO di oggi, a pag.1, il cambio di politica dell'Eni.
Roma. Addio al greggio persiano di Darquain, addio al gas marino da South Pars numero 4 e numero 5, addio al giacimento petrolifero di Dorood. Benarrivato ad al Zubayr. L’Eni si prepara ad abbandonare gli investimenti in Iran – dove il regime è sotto il torchio delle sanzioni internazionali – e a lanciare la propria campagna nel sud dell’Iraq. Esattamente un anno fa la compagnia italiana aveva soffiato ai cinesi di Sinopec la vittoria finale sul campo “giant” di al Zubayr. Il “bel boccone”, come l’aveva definito l’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni. Riserve stimate in quattro miliardi di barili di greggio, ma verosimilmente più grandi, perché per colpa del regime di Saddam Hussein il potenziale è ancora inesplorato. Costi d’estrazione irrisori – quando si sorvola la zona è quasi possibile intuire la presenza del greggio a occhio nudo sotto la pellicola ultrapiatta del deserto iracheno – e pozzi vicini alla linea della costa, perché al Zubayr è poco più a sud del porto di Bassora, da dove è più semplice procedere per l’esportazione nel mondo. Ora Eni si prepara a compensare l’annunciato ritiro dall’Iran con gli affari – che promettono di essere più succosi – nel paese vicino. Che l’importanza della presenza italiana in Iraq stia per esplodere sul brevissimo termine è confermato anche dall’apertura in questi primi giorni d’ottobre di un ufficio di corrispondenza dell’agenzia giornalistica Agi nella capitale Baghdad. In realtà, quest’anno Agi ha scelto una strategia di espansione un po’ in tutto il mondo, nuovi uffici a Mosca, Pechino, Houston, Congo e Angola, ma “l’anno prossimo Eni avrà 15 mila persone in Iraq – dice Davide Sarsini, caporedattore degli Esteri di Agi – e sarà importante esserci. A guidare queste 15 mila persone ci saranno sicuramente 400 italiani”. Non c’è una data d’inizio lavori per Eni ma, “oggi hanno soltanto un presidio di 24 uomini, con il 2011 tutto comincia”. Il grande riposizionamento italiano dall’Iran all’Iraq – l’attraversamento della linea di confine tra il mondo persiano e quello arabo – non è soltanto un cambio di rotta commerciale, ma una dichiarazione di geopolitica. Eni si stacca dal fronte degli indifferenti, il gruppo delle imprese e dei paesi che continuano a fare affari con l’Iran a prescindere dalle preoccupazioni internazionali sul programma di armamento nucleare del regime di Mahmoud Ahmadinejad – e rendono meno efficaci le sanzioni – e si sposta verso quel grande asse dei regni sunniti del Golfo guidato dall’Arabia Saudita e sponsorizzato dagli Stati Uniti che al regime iraniano si oppone per ora con una versione ristretta e tutta mediorientale della Guerra fredda. L’impegno annunciato ieri da Eni a ritirare gli investimenti presenti dall’Iran – che facevano dell’Italia un partner commerciale forte – e a non realizzarne di altri in futuro è un fatto politico forte. L’Iraq nuovo teatro di business per gli italiani è diviso tra sciiti e sunniti, è senza governo da sei mesi e per ora non appartiene a nessuno dei due grandi schieramenti che si affrontano in medio oriente, anzi, è come se fosse tirato in direzioni contrarie dai due fronti – anche se c’è la forte probabilità che il futuro esecutivo di Baghdad alla fine sarà più obbediente a Teheran, troppo vicina e troppo potente. Quello di Eni è in realtà un ritorno all’Iraq. Fu, ovviamente, Enrico Mattei a cominciare a tessere rapporti con il paese petrolifero alla fine degli anni Cinquanta, con quel meccanismo di partnership locale (vi diamo la tecnologia, dividiamoci i profitti alla pari) che gli apriva le porte del medio oriente. I rapporti non si erano interrotti del tutto nemmeno al tempo di Saddam Hussein. La presenza non era mai stata però così importante come lo è adesso. Lo scorso gennaio, l’ad Scaroni è volato a Baghdad per stringere un nuovo accordo a lungo termine, venti miliardi di dollari di investimenti per un contratto di vent’anni di durata, prolungabile fino a venticinque. Martedì scorso è arrivata la notizia che Eni è tra le compagnie internazionali in gara per aggiudicarsi anche l’estrazione del gas iracheno, che si deciderà dopo il 20 ottobre.
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