Sul SOLE24ORE di oggi, 02/10/2010, a pag.9, Ugo Tramballi intervista Sergio Della Pergola, con il titolo "Israele sopravvive se resta piccolo ". Potremmo definire questo articolo il primo che Tramballi scrive 'non' contro Israele. Sarà dovuto al fatto che cita le parole di un altro, ma anche questo è una sorpresa inaspettata, il miracolo di Sukkot ha fatto rinsavire Tramballi ?. In compenso un titolo sgradevole, che ci abbia messo il nostro ?
Sergio Della Pergola è nato a Trieste nel 1942 e si è trasferito in Israele nel 1966. È professore all' Avraham Harman Institute of Contemporary Jewry, dell'Università ebraica di Gersusalemme
Della Pergola è riconosciuto in tutto il mondo come un'autorità indiscussa nello studio della demografia e della statistica applicate alla popolazione ebraica. Ha introdotto il tema della demografia nell'analisi del conflitto israelo-palestinese
È autore, tra l'altro, di «Israele e Palestina, la forza dei numeri» edito da Il Mulino
Sergio Della Pergola
La paura più grande per un demografo è di non essere ascoltato quando legge le sue carte e indica il destino di un popolo. Quella di Sergio Della Pergola, demografo israeliano di fama mondiale, è che Israele ignori di essere al suo bivio esistenziale: dal Mediterraneo al Giordano gli arabi crescono più degli ebrei. Più si occupano territori meno si afferma il carattere ebraico di Israele: la ragione per cui è nato lo stato.
Terra e demografia sono i pilastri del conflitto. Un sondaggio del giornale Ma'ariv rivela che per gli israeliani il problema demografico è "la minaccia": più del programma nucleare iraniano, del terrorismo e di Hezbollah. Rinunciando a fermare gli insediamenti, la negazione di uno stato palestinese è evidente e l'annessione della Cisgiordania la conseguenza implicita. Della Pergola trae il risultato, precisando di non partire «dalle mie convinzioni politiche ma dall'analisi. Già il 15% della popolazione israeliana è araba», spiega. «Con i palestinesi di Cisgiordania salirebbe al 35% circa. Se diamo loro tutti i diritti civili e si organizzano in un partito, avranno il gruppo parlamentare più grande della Knesset. In un governo di coalizione Abu Mazen potrebbe chiedere gli Esteri, Salam Fayyad il Tesoro. Non riconoscere diritti a una sezione così importante della popolazione è insostenibile, farlo porterebbe a questo risultato».
La paura di Della Pergola di non essere ascoltato da Bibi Netanyahu, è evidente. Più di cinque anni fa Ariel Sharon invece lo aveva fatto: tolse le colonie dalla Striscia di Gaza dove novemila ebrei vivevano insieme a un milione e mezzo di arabi. È una calda serata di Sukkot, la festa che celebra l'epoca in cui, lasciato l'Egitto gli ebrei vivevano nel deserto sotto le capanne. Per tradizione, sul balcone, in giardino, nel cortile dei condomini o nella residenza del capo dello Stato, ogni famiglia erige una tenda. Anche Della Pergola accoglie gli ospiti sotto la sua sukkah. Crede fortemente nelle tradizioni e nella necessità di uno stato per gli ebrei. È per questo che emigrò da Milano più di 40 anni fa, decidendo di condividere gli oneri che l'israelianità comporta, guerre comprese. Anche se preferisce non definirsi fuori dai suoi notevoli titoli accademici, è un nazionalista ma non a prescindere da ciò che la demografia gli dice. Tre settimane fa ha pubblicato le ultime statistiche sul popolo ebraico. Sono 13 milioni e mezzo gli ebrei nel mondo; 5,7 in Israele; 5,3 negli Stati Uniti. Della Pergola sottolinea che la popolazione ebraica d'Israele cresce poco ma costantemente: 80mila l'anno. Tuttavia non basta per sostenere la demografia degli arabi.
«La situazione è questa», spiega. «Più di due milioni di palestinesi in Cisgiordania, 270mila a Gerusalemme Est, un milione e mezzo a Gaza; 1,2 milioni gli arabi cittadini d'Israele. Senza Gaza siamo già al 61% di ebrei e 39 di arabi. Ma è illusorio escluderla perché quando i palestinesi partecipano alla trattativa di pace contano anche Gaza. Nell'analisi dei dati dobbiamo includere i 200mila lavoratori stranieri in Israele e i 300mila del milione d'immigrati dalla Russia che non sono ebrei. Se contiamo tutto questo, dal Mediterraneo al fiume Giordano siamo già al 50% di ebrei e 50% non ebrei».
Non potendo sostituire l'ideologia alla matematica, il movimento dei coloni sostenuto da una parte della destra di governo e da alcuni milionari americani, ha tentato di confutare la demografia ufficiale con altri dati: in Cisgiordania vivono un milione e mezzo di palestinesi, meno di quanto dica Della Pergola. «La questione fondamentale non è la demografia, ma la natura dello stato», ribatte. «Anche se avessero ragione, fra circa un ventennio saremmo 54 a 46. Può il 54% pretendere che un inno e una bandiera siano l'inno e la bandiera di quello stato?».
In questo vuoto d'ingegneria nazionale democratica, l'illusione della formula di uno stato per due popoli guadagna sempre più terreno sull'obiettivo del processo di pace: due stati per due popoli. Finora la prima era sostenuta dall'estrema sinistra israeliana e dai molti palestinesi convinti di vincere con la demografia il conflitto politico. Ora ci crede anche la destra di governo, il sionismo revisionista. «Con le sue incertezze riguardo alla moratoria sulle colonie, Bibi Netanyahu è diventato la sinistra del suo governo», dice Della Pergola. «Rinunciando alla Cisgiordania ha l'occasione storica di essere un grande leader. Viene da una famiglia nazionalista, ha combattuto, ha girato il mondo. Ha tutti gli elementi per prendere la decisione». Sergio Della Pergola non è un intellettuale di sinistra: crede che il processo di pace debba concludersi col riconoscimento della natura ebraica di Israele. «Uno stato ebraico nazionale, non religioso: è un concetto civile. La Norvegia si definisce luterana e protestante».
È ancora la demografia che secondo Della Pergola offre una soluzione politica. Rinunciare alla Cisgiordania e a Gerusalemme Est come si è fatto con Gaza; annettere i blocchi di colonie concedendo alla Palestina quell'area in Galilea, il Triangolo, dove vivono 250mila arabi israeliani. «Trasferendo i confini, non la popolazione». È un'ipotesi illiberale se quella popolazione vuole restare in Israele: ma potrebbe essere un male minore per un bene superiore. Rifacendo i calcoli demografici su queste premesse, gli ebrei d'Israele sarebbero il 90%. «E questo definirebbe i caratteri dello stato nazionale», conclude Della Pergola.
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