Addio a Tony Curtis, alias Bernard Schwartz, morto ieri a Los Angeles. Il suo nome non sarà ricordato soltanto dagli appassionati di cinema, perchè, a mantenere vivo il suo nome c'è un albero a Budapest, nel cortile della grande Sinagoga, dalle foglie d'argento, sulla quale sono scritti i nomi degli ebrei ungheresi sterminati nella Shoah, che Tony Curtis-Schwartz ha donato al paese d'origine della sua famiglia. Un albero d'argento, destinato a vivere in eterno.
Pubblichiamo, dal FOGLIO di oggi, 01/10/2010, l'articolo di Mariarosa Mancuso, a pag.2, dal titolo " Non si può parlare di Tony Curtis senza partire da una quinta di reggiseno".
Tony Curtis Il salice d'argento La sinagoga di Budapest
La lavorazione fu tormentata. Il risultato sublime. “Avrei preferito baciare Hitler”, disse l’ebreo ungherese Tony Curtis (nato Bernard Schwartz da genitori poverissimi, cresciuto nel Bronx fra la pubblica carità e le risse di quartiere, morto ieri a 85 anni) ricordando le scene con Marilyn Monroe in “A qualcuno piace caldo”. L’attrice arrivava sul set in ritardo, perlopiù ubriaca e sull’orlo di una crisi di nervi, le scene dovevano essere ripetute decine di volte. Disperato, Billy Wilder chiudeva le battute di Marilyn nei cassetti; lei apriva il cassetto sbagliato e non riusciva a ricordare la frase “dov’è il bourbon?”. Riccioli fissati con la brillantina, naso occhi e ciglia da sballo, Tony Curtis aveva un triplo ruolo. Era il jazzista che dopo aver assistito al massacro di san Valentino si traveste da Josephine, e assieme a Jack Lemmon-Daphne trova rifugio nell’orchestra “Susi e le sue dame del ritmo”. Poi il finto petroliere occhialuto che fa la corte a Zucchero Kandinsky, suonatrice di ukulele (Sugar Kane Kowalczyk nell’originale). Galeotta una conchiglia Shell raccolta in spiaggia, i due si danno appuntamento su uno yacht. Il miliardario usa il trucco più antico del mondo: “Le donne non mi interessano più. Qualcosa si è rotto qui dentro” (mano sul cuore, come ai tempi del muto). Lei lo bacia e lo ribacia (ha fatto allenamento vendendo baci per beneficenza al soccorso invernale), finché qualcosa succede. “Ancora niente?”. “Forse – dice lui, imitando la voce di Cary Grant – mi si sono appannati gli occhiali”. Accanto al vero Cary Grant, Tony Curtis recitò in “Operazione sottoveste” di Blake Edwards, altro film che mette di buon umore ogni volta che capita di rivederlo. Siamo nella Seconda guerra mondiale a bordo di un sottomarino dipinto di rosa (altri colori non ce n’erano, perfetto bersaglio per il fuoco amico). Salgono a bordo cinque ausiliarie, tutte con la quinta misura di reggipetto, quindi l’incrocio con il resto dell’equipaggio nei corridoi diventa assai difficoltoso. E Tony Curtis: formalmente tenente, in realtà ereditiero da cronache mondane, con più bagagli di quelli che Penelope Cruz (in “Nine”) riesce a stipare nella pensioncina di Anzio. Si porta dietro un aggeggino elettrico per massaggi, sfoggia bermuda con calzettoni e scarpe (facendo sfigurare Cary Grant che portava meglio il pantalone lungo), pronuncia l’unica frase che ci attraversò la mente quando si trattò di commentare il caso Polanski: “Sotto una certa età le donne sono protette dalla legge, sopra una certa età sono protette dalla natura, per il resto è caccia libera”. Fu il mago Houdini (ungherese come lui) nel film di George Marshall, accanto a Janet Leigh che diventò una delle sue sei mogli. Insieme ebbero una figlia, Jamie Lee Curtis: un grande ruolo da prostituta in “Una poltrona per due” di John Landis, un altro in “Un pesce di nome Wanda” di Terry Gilliam (il resto della carriera lo ha trascorso a farsi inseguire da maniaci assassini, in “Halloween” e “Non entrate in quella casa”). Fece l’allievo acrobata in “Trapezio” di Carol Reed: il suo maestro era Burt Lancaster, le calzamaglie colorate il trionfo del camp. Fu “Lo strangolatore di Boston” e “Lo strangolatore di Baltimora”, alternandoli con commedie romantiche intitolate “Sex and The Single Girl” (1964, accanto a Natalie Wood) e “Insieme a Parigi” (accanto a Audrey Hepburn). Fece coppia con Roger Moore nella serie tv “Attenti a quei due”. Non si fece mancare nulla. Né una tardiva carriera da pittore dilettante, né una rivelazione fuori tempo massimo sulla sua love story con Marilyn Monroe, prima odiata e poi amata come nelle commedie sofisticate con Cary Grant e Katharine Hepburn.
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