Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 30/09/2010, a pag. 13, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Sbagliato criminalizzare tutto il mondo islamico".
el Baradei
Un'intervista dove el Baradei espone la sua idea sull'Occidente e i suoi rapporti con l'islam.
A suo avviso, l'occidente ha sbagliato strategia: " Anziché lavorare con il 99% dei musulmani moderati, l'occidente ha sostenuto regimi autoritari guadagnandosi la fama di predicare bene la democrazia e razzolare male. Tranne i dittatori tutti gli altri sono presunti terroristi: basta avere un nome arabo per essere trattenuto ore all'aeroporto. Se Bin Laden denuncia la cospirazione contro l'islam ha buon gioco ". 99% di musulmani moderati...sarebbe interessante sentire la loro voce, ogni tanto. Dopo l'11 settembre nessuno Stato islamico ha mandato messaggi di solidarietà per gli Usa.
Per quanto riguarda i Fratelli Musulmani e il loro ruolo nella politica egiziana, el Baradei dichiara : " Ma credo che vadano inclusi perché criminalizzarli li rende più estremi. Basta guardare le simpatie raccolte tra i giovani mediorientali da Nasrallah e Ahmadinejad per capire che, continuando così, tra vent'anni la regione sarà interamente radicale ". Forse el Baradei era distratto quando, in Libano, Hariri ha formato un governo di unità nazionale con Hezbollah, concedendogli di riarmarsi contro Israele. Più incluso di così...Per quanto riguarda Ahmadinejad, non raccoglie simpatie fra i giovani 'mediorientali', tanto che dopo le elezioni in Iran ci sono state diverse manifestazioni contro il regime. Tutte soffocate nel sangue.
Ecco con quali parole el Baradei commenta i negoziati fra Israele e palestinesi : " Non ho fiducia nella nuova Road Map. Gli ultimi trent'anni provano che è una farsa. Tutti sanno come uscire dall'impasse, il ritorno ai confini del '67, Gerusalemme divisa, una legittima soluzione per i rifugiati palestinesi. Il resto sono chiacchiere e anche il mondo arabo che sta seduto lì aspettando l'intervento del grande fratello ne è responsabile ". Israele dovrebbe cedere territori, parte di Gerusalemme e permettere il diritto al ritorno dei profughi. Così la situazione si risolverebbe, certo, con la cancellazione di Israele.
Di sicuro el Baradei non è stato fermo, in questi anni. Da presidente dell'AIEA ha aiutato Ahmadinejad con il suo programma nucleare. Altro aspetto della figura di el baradei che Paci si è ben guardata dal citare.
Ecco l'intervista:
È assai improbabile che Mohamed Mustafa el Baradei, ex direttore dell'Aiea, Nobel per la Pace nonché illustre sfidante del presidente Mubarak, riesca a vincere le prossime elezioni egiziane non avendo alle spalle i requisiti tecnici per correre. Ma, spiega al telefono da Vienna, si accontenterebbe di persuadere l'occidente che tra sostenere governi illiberali in funzione antislamista e lasciare campo libero a partiti duri e puri come Hamas o i Fratelli musulmani c'è una terza via: «Gli estremisti di destra o di sinistra sono ovunque e da sempre, nessuna società ne è immune. Ma laddove esistono una costituzione e vere elezioni rimangono ai margini: l'antidoto è la democrazia».
L'intelligence occidentale ha appena scoperto un piano terroristico per attaccare l'Europa. Lo spettro dell'11 settembre 2001 continua a far paura. Come esorcizzarlo?
«La politica occidentale ha fallito. Non mai visto tanta simpatia per l'America quanto all'indomani delle Torri Gemelle, ma è svanita. La guerra ad Al Qaeda si è trasformata in una visione stereotipata del mondo arabo che ha prodotto rabbia, umiliazione. Anziché lavorare con il 99% dei musulmani moderati, l'occidente ha sostenuto regimi autoritari guadagnandosi la fama di predicare bene la democrazia e razzolare male. Tranne i dittatori tutti gli altri sono presunti terroristi: basta avere un nome arabo per essere trattenuto ore all'aeroporto. Se Bin Laden denuncia la cospirazione contro l'islam ha buon gioco».
E se con il voto i Fratelli musulmani conquistassero il potere?
«È un rischio da correre, la democrazia non si ordina à la carte. I Fratelli musulmani non sono fanatici quanto il regime egiziano li dipinge per giustificare il proprio dispotismo: sono conservatori tipo gli ebrei ortodossi. Cinquant'anni senza alternativa politica li hanno resi popolari: hanno il 20% dei consensi ma in un sistema di alternanza perderebbero potere».
Non la imbarazza il loro supporto?
«I Fratelli musulmani hanno sempre detto che appoggiano la mia richiesta di riforme ma non mi sosterrebbero come presidente. Sono in forte disaccordo con loro su molte cose, mi piacerebbe vedere il paese guidato da un copto o da una donna. Ma credo che vadano inclusi perché criminalizzarli li rende più estremi. Basta guardare le simpatie raccolte tra i giovani mediorientali da Nasrallah e Ahmadinejad per capire che, continuando così, tra vent'anni la regione sarà interamente radicale».
Lei si è proposto come alternativa a Mubarak, poi ha deciso di boicottare le elezioni. Perché? Altri partiti dell'opposizione come i Fratelli musulmani e il Wafd parteciperanno.
«Non è possibile partecipare a elezioni che mancano di garanzie, osservatori internazionali, giudici indipendenti. Il risultato è scritto. Mi sono candidato per mettere in imbarazzo il regime dimostrando che neppure uno come me, stimato in patria e fuori, può competere. Il boicottaggio è l'unica arma pacifica per dire no. Le divisioni indeboliscono l'opposizione: che senso ha gareggiare per 9 seggi su 450? Spero che il regime capisca la gravità della situazione, l'alternativa può essere violenta».
Cosa intende?
«L'Egitto è un buco nero, il domani è imperscrutabile. Il regime è nervoso, paranoico, ci sono arresti ogni giorno. È possibile che salti fuori qualcuno dell'esercito. Gli estremisti religiosi prosperano nell'incertezza. Ma il rischio vero è la ribellione per il pane anziché per la libertà o per la sharia. Visto quanti scioperi? L'esito può essere violento. Il mondo arabo non si regge sulla pace sociale ma sulla repressione e guarda all'Egitto come modello: la rivolta dei poveri dilagherebbe».
Eppure l'economia egiziana cresce. Come spiega che il 40% della popolazione vive ancora con meno di un dollaro al giorno?
«Il paese cresce del 5% l'anno e gli investimenti sono aumentati. Ma il benessere non è omogeneo, c'è un baratro tra ricchi e poveri. Al Cairo si comprano ville da 5 milioni di dollari ma lo stipendio medio è 5 dollari al mese. Lo sviluppo sostenibile comincia con la democrazia, l'economia viene dopo».
L'Egitto rivendica un ruolo chiave nei negoziati israelo-palestinesi. Se riuscissero Mubarak ne gioverebbe?
«Non ho fiducia nella nuova Road Map. Gli ultimi trent'anni provano che è una farsa. Tutti sanno come uscire dall'impasse, il ritorno ai confini del '67, Gerusalemme divisa, una legittima soluzione per i rifugiati palestinesi. Il resto sono chiacchiere e anche il mondo arabo che sta seduto lì aspettando l'intervento del grande fratello ne è responsabile. Obama ha grandi idee e mi piace, ma l'Europa dov'è? Mubarak però è alla fine, dopo 58 anni di regimi militari il paese vuole un governo civile. L'unica exit strategy per è concedere le riforme necessarie, l'Egitto non si vendicherà, non manderà nessuno in prigione, troverà soluzioni riconciliatorie come in Sudafrica».
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