Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 29/09/2010, a pag. I, gli articoli di Dore Gold, Josè Maria Aznar, Giulio Meotti, Shmuel Trigano titolati " Se cade Israele, cadremo noi tutti ", " Per difendere lo stato ebraico serve una moral clarity che si è persa in Europa ", " Il veleno antisemita fermenta nei Parlamenti d’Europa. E’ la 'nuova sindrome di Vichy' " e " L’antisionismo è il nuovo antigiudaismo. Sugli ebrei pesa un’affabulazione mortifera ".
Ecco gli articoli:
Dore Gold - " Se cade Israele, cadremo noi tutti "
Dore Gold
Proprio in questo momento nei palazzi governativi di Israele si sta discutendo in merito alla crescente campagna di delegittimazione dello stato ebraico. Ma da dove proviene questo senso di “delegittimazione”? Relativamente al giudizio espresso dalla gente a livello mondiale, oggi Israele si trova a dover affrontare una doppia morale all’interno della comunità internazionale.
L’ex segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha avuto modo di sottolinearlo già nel novembre 2006, riferendosi al lavoro del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, da poco costituitosi: “Fin dall’inizio del loro lavoro hanno focalizzato l’attenzione quasi esclusivamente su Israele, mentre ci sono altre situazioni di crisi, come il Sudan, dove non sono stati in grado di dire una sola parola”.
Ed è stato infatti lo stesso Consiglio per i diritti umani dell’Onu, con sede a Ginevra, a dare avvio alla Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite, pubblicando l’infame rapporto Goldstone, che incolpava Israele dei civili morti nella guerra a Gaza, mentre non trovava colpe ad Hamas, la cui campagna a suon di razzi contro le città e i paesi israeliani, durata otto anni (2001-2009), è stata la causa principale dello scoppio della guerra.
Più di recente, molti paesi europei hanno condannato Israele per il blocco navale di Gaza, controllata appunto da Hamas. Per esempio, il 2 luglio il Parlamento federale tedesco ha approvato una risoluzione in cui si chiedeva l’immediata sospensione del blocco navale. Ma un blocco non rappresenta uno strumento di legittima difesa? Israele non ha forse il diritto di impedire che in futuro i missili a lunga gittata iraniani giungano a Gaza via nave, considerando il fatto che in passato erano proprio di fabbricazione iraniana i missili lanciati sulle città israeliane?
La stessa Nato, in realtà, impose un blocco alla Jugoslavia negli anni Novanta, quando le truppe volevano interrompere il rifornimento di armi alle milizie serbo-bosniache. Alcuni hanno sostenuto che il blocco israeliano stava causando una crisi umanitaria, ma esaminando le foto del mercato di Gaza scattate lo scorso anno, chiunque può vedere che vi era abbondanza di verdura e frutta fresca. Il Washington Post ha riferito che le farmacie della città di Gaza erano ben rifornite, esattamente come quelle della capitale statunitense. Perché il blocco della Nato poteva essere considerato legittimo, mentre quello israeliano no?
La questione è molto più profonda. Stiamo parlando di una doppia morale che nasce dalla delegittimazione. Uno stato di cui viene messa in discussione la legittimità non può sperare nell’imparzialità di quel tribunale che è l’opinione pubblica internazionale. Sarà giudicato colpevole ancor prima di aver presentato la realtà dei fatti. Nel 2009, il Consiglio per i diritti umani dell’Onu ha chiesto di indagare su “tutte le violazioni delle leggi internazionali sui diritti dell’uomo… commesse dallo stato occupante, Israele”.
Questa domanda era formulata in un modo tale da insinuare la colpevolezza di Israele prima ancora che Justice Richard Goldstone avviasse la sua indagine sulla guerra di Gaza. L’attacco a Israele suona perfino ironico se si pensa che il popolo ebraico, tra cui anche gli israeliani, è sempre stato in prima linea nella lotta per i diritti umani, fin dai tempi in cui vennero redatte la Dichiarazione internazionale dei diritti dell’uomo e la Convenzione sul genocidio in seguito all’Olocausto. Ciononostante ci sono persone che, in tutta coscienza, sperano che l’offensiva diplomatica, non importa quanto ingiusta, continui anche in futuro e indebolisca Israele a tal punto da metterne in dubbio l’esistenza stessa.
Quello che sta accadendo non riguarda solo i cambiamenti della politica di Israele, ma è anche il risultato dei mutamenti che stanno avvenendo in occidente. Novant’anni fa, nel 1920, terminata la Prima guerra mondiale, gli alleati vittoriosi si incontrarono nella città italiana di Sanremo e decisero che il popolo arabo degli ex territori dell’Impero ottomano in Asia sarebbe stato liberato e avrebbe potuto formare degli stati indipendenti, come la Siria e l’Iraq. Inoltre venne riconosciuto al popolo ebraico il diritto internazionale di “ricostituire la propria patria nazionale” in quello che sarebbe diventato il Mandato britannico della Palestina.
Questi diritti vennero approvati dalla Società delle Nazioni e definiti dalla Corte permanente di giustizia internazionale dell’Aia come “un atto legislativo internazionale”. Quindi i diritti del popolo ebraico sono stati riconosciuti sia dalla Società delle Nazioni sia dalle Nazioni Unite, facendo di Israele, ironia della sorte, un paese la cui legittimità è maggiore rispetto a gran parte del mondo. Il motivo del cambiamento drastico nei loro valori internazionali è da ricercare in quegli stati che oggi sono contro Israele, ma i cui padri e le cui madri, non più tardi di una generazione fa, non mettevano nemmeno in discussione l’appoggio alla causa. Israele ha sicuramente la sua parte di colpa per la situazione attuale: ha lasciato che le circostanze internazionali arrivassero fino a questo punto senza protestare con sufficiente forza. Forse pensava che se avesse fatto più concessioni ai palestinesi questo trattamento impari sarebbe scomparso.
Ma non è successo, perché l’ostilità da parte della scena internazionale non ha nulla a che vedere con i territori occupati nel 1967 durante la Guerra dei sei giorni: riguarda piuttosto il diritto stesso di esistere. Una cosa è certa: coloro che cercano di isolare Israele non stanno piegando la sua volontà. Al contrario, una nuova generazione sta nascendo, convinta che quella israeliana sia una causa giusta, una generazione che vuole difendere il proprio paese senza tradire i valori dei diritti umani che caratterizzano l’etica di Israele fin dai tempi della sua fondazione.
Dore Gold è Consulente del premier d’Israele Beniamin Netanyahu, ex ambasciatore all’Onu e direttore del Jerusalem Center for Public Affairs
Josè Maria Aznar - " Per difendere lo stato ebraico serve una moral clarity che si è persa in Europa "
Josè Maria Aznar
Israele può anche trovarsi in medio oriente, ma costituisce parte integrante dell’occidente. L’unico elemento che lo distingue dal resto è il suo status, ovvero il fatto di essere l’unica democrazia la cui esistenza sia stata messa in dubbio sin dalla nascita. E’ facile biasimare Israele per tutti i mali del mondo arabo; qualcuno addirittura sarebbe pronto a sacrificarne il futuro, se questo permettesse di giungere a una rinnovata comprensione con il mondo musulmano. Eppure indebolire Israele è un errore grave, perché Israele è la nostra prima linea di difesa in medio oriente. Se un giorno dovesse cadere nelle mani dei suoi nemici, l’occidente che conosciamo cesserebbe di esistere. Difendere il suo diritto di esistere in pace e all’interno di confini difendibili richiede una chiarezza morale che molto spesso in Europa si è persa; lo stesso spettro incombe ora anche sugli Stati Uniti. Inserire Israele tra gli elementi chiave del destino dell’occidente, come sarebbe giusto fare, significa riconoscere che i nemici non si scelgono secondo i propri gusti e che i nemici della libertà sono intorno a noi; dire che Israele, con le sue virtù e i suoi difetti, ha il diritto di essere trattato come qualsiasi altra democrazia liberale ci impone di riconoscere come nostri i valori e i simboli che ci hanno plasmato nei secoli. Mosso dalla necessità di ricostruire i valori occidentali che ci sono propri, nell’esprimere profondo timore di fronte all’attuale ondata di aggressioni perpetrate da altre ideologie e civiltà contro lo stato di Israele, e consapevole del fatto che la sua forza è la nostra forza, così come la sua debolezza è la nostra debolezza, ho lanciato l’iniziativa “Friends of Israel”. Israele, lo ripeto, è una parte fondamentale dell’occidente. L’occidente è quello che è in virtù delle sue radici giudaico-cristiane. Se la parte ebraica di quelle radici venisse stravolta e Israele andasse perso, lo saremmo anche noi. Oggi, difendere Israele significa difendere l’occidente.
Josè Maria Aznar è ex primo ministro spagnolo e promotore della “Friends of Israel Initiative”
Giulio Meotti - " Il veleno antisemita fermenta nei Parlamenti d’Europa. E’ la 'nuova sindrome di Vichy' "
Giulio Meotti
Pochi giorni fa l’eurocommissario al Commercio, Karel De Gucht, già ministro degli Esteri belga, ha potuto tranquillamente affermare senza generare scandalo che “non bisogna sottostimare la lobby ebraica al Parlamento americano” e “nemmeno l’opinione, al di fuori della lobby, dell’ebreo medio che non vive in Israele”, in quanto “nella maggior parte degli ebrei c’è una ‘fede’ nell’avere ragione, e la fede è qualcosa che si può difficilmente combattere con argomenti razionali”. Catherine Ashton, che guida la politica estera dell’Unione europea, ha candidamente fatto sapere che De Gucht “non intendeva offendere nessuno”. Le parole di De Gucht non contenevano oblique accuse al “sionismo”.
Il suo target erano direttamente gli ebrei. Il Wall Street Journal ha montato una dura campagna contro De Gucht, ma la risposta che ha avuto da tutte le cancellerie del vecchio continente è sempre stata la stessa: “No comment”. Il veleno antisemita è tornato a circolare anche nell’alta burocrazia di Bruxelles e nei parlamenti di tutta Europa. Ha fatto scuola la frase dell’allora ambasciatore francese a Londra, Daniel Bernard, noto per aver definito Israele “quel piccolo stato di merda”. Il diplomatico inglese Rowan Laxton è stato arrestato per aver gridato “fottuti israeliani, fottuti ebrei”.
Il parlamentare laburista inglese Tom Dalyell ha parlato di “cabala ebraica” e sempre a Londra il parlamentare Gerald Kaufman ha paragonato Israele alla Germania nazista. In Olanda il parlamentare socialista Harry von Bommel ha gridato per strada “Hamas Hamas, ebrei al gas”, durante un corteo pro Gaza. In Norvegia il ministro delle Finanze, Kristin Halvorsen, sponsorizza il boicottaggio del “made in Israel” e in Irlanda il parlamentare Aengus O’- Snodaigh ha paragonato Israele a Goebbels.
Questi e altri fatti hanno spinto il grande storico Robert Wistrich ad affermare che “c’è più antisemitismo nel 2010 che nel 1910”. Il presidente del Consiglio ebraico europeo, Moshe Kantor, ha appena fatto sapere che “la situazione degli ebrei europei è la peggiore dalla Seconda guerra mondiale: sinagoghe, scuole e asili ebraici hanno bisogno di filo spinato e protezione, gli ebrei hanno paura di girare per strada con i simboli ebraici”. Ovunque la stessa diagnosi pessimista, da Parigi a Londra. Il magazine belga Der Standaard rivela che gli ebrei stanno fuggendo da Anversa, un tempo nota come “la Gerusalemme del nord”. L’Università di Aix-en-Provence ha capitolato cancellando un convegno letterario al quale avrebbe dovuto partecipare anche la scrittrice israeliana Esther Orner. C’erano state troppe proteste di scrittori arabi. Intanto nelle aule del Consiglio dei diritti umani dell’Onu, nella magnifica cornice di Ginevra, il regime baathista di Damasco ha accusato Israele di insegnare ai bambini a “succhiare il sangue arabo”. La tendenza a mobilitarsi per gli ebrei defunti si accompagna alla miopia davanti alle manifestazioni di antisemitismo attuale e alla diffamazione collettiva degli ebrei dello stato di Israele. Ad Amsterdam l’estate si è chiusa con la caduta di un albero molto celebre. Durante una tempesta è caduto il vecchio ippocastano che Anne Frank vedeva dal nascondiglio dove era confinata con la famiglia. I giornali di tutto il mondo hanno lanciato la storia dell’albero e ne hanno mostrato le immagini. Ne sono stati addirittura prelevati dei germogli da piantare negli Stati Uniti affinché l’albero della tolleranza possa continuare a vivere. Mentre l’ippocastano crollava, Sarah, una quindicenne ebrea di Amsterdam della stessa età che aveva Anne Frank quando venne uccisa a Bergen Belsen, scriveva al quotidiano Het Parool che non sarebbe più uscita di casa con al collo la sua stella di David. Sarah era stata picchiata da tre giovani che l’avevano individuata come ebrea. La notizia non ha trovato molto spazio sui giornali, presi a piangere l’ippocastano di Anne Frank. La plurisecolare sinagoga olandese di Weesp è appena diventata la prima in Europa a essere chiusa durante shabbath per “motivi di sicurezza”. Sembra avverarsi la cupa premonizione dello psichiatra inglese Theodore Dalrymple, che in un suo nuovo libro parla per l’Europa di “nuova sindrome di Vichy”.
Shmuel Trigano - " L’antisionismo è il nuovo antigiudaismo. Sugli ebrei pesa un’affabulazione mortifera "
Shmuel Trigano
Che cosa si intende per “delegittimare” Israele? Si ha l’abitudine di tracciare un parallelo tra “legittimità” e “legalità”: “legale” è ciò che è conforme alle leggi, alla lettera dei trattati e dei contratti, mentre “legittimo” indica ciò che è conforme allo spirito delle leggi. Durante la Seconda guerra mondiale, il governo della Francia Libera del generale De Gaulle era illegale, poiché l’instaurazione del regime di Vichy era avvenuta mediante un voto libero del Parlamento. Tuttavia rivendicava la propria legittimità poiché si presentava come l’incarnazione dello spirito della Francia.
E’ sulla base di tale legittimità che successivamente il generale De Gaulle fondò un nuovo regime: la Quinta Repubblica. Allora, la legittimità ispirò una nuova legalità. Quando si “delegittima” Israele, si contesta l’essenza stessa della sua esistenza, che viene definita ingiusta e priva di fondamento sul piano morale (e non legale). E’ quello che i post sionisti israeliani hanno definito “il peccato originale di Israele” prendendo a prestito, proprio loro, gli iperlaici, la terminologia dalla teologia paolina. Contestare la giustezza d’Israele nel suo spirito è in realtà una vecchia storia – paolina, per l’appunto – che sta alla base dell’antigiudaismo. Attualmente ci troviamo di fronte a un simile caso emblematico, in cui il “nuovo Israele”, quello “secondo lo spirito”, è incarnato dai palestinesi, mentre il “vecchio Israele”, quello “secondo la carne”, l’Israele condannato, è il reale Israele, il popolo ebraico.
Questo giudizio è grave. Apre le porte alla distruzione degli ebrei ed è questo l’aspetto inquietante nell’attuale evoluzione. Delegittimando Israele, si comincia a giustificare un ulteriore passaggio, in cui sarà giusto e buono farlo scomparire. Si bestializza il nemico prima di assestargli il colpo mortale. Oggi il delirio su che cosa sia Israele e sulla condizione dei palestinesi ha raggiunto l’apice, senza che vi sia alcuna corrispondenza con la realtà. L’Europa e il mondo arabo affondano in un’affabulazione mortifera che prepara giorni bui per il popolo ebraico.
Perché contestare l’esistenza stessa dello stato d’Israele equivale a prendersela con tutto il popolo ebraico. Israele incarna infatti di per sé il destino degli ebrei in quanto popolo, collettività. Questa delegittimazione va d’altronde a braccetto con le teorie più fumose sull’inesistenza obiettiva di un popolo ebraico. La Shoah ha costituito la dimostrazione che gli ebrei, che lo vogliano o meno, hanno un destino collettivo. Benché si trattasse di singoli cittadini di diverse nazionalità europee, sono stati distrutti in massa come fossero un popolo straniero in seno all’Europa, privo di qualsiasi base di esistenza possibile nell’Europa democratica illuminata. Lo stesso è accaduto agli ebrei del mondo arabo, espulsi o esclusi in massa dagli stati arabi divenuti indipendenti. Rifiutare agli ebrei il diritto all’autodeterminazione e quindi a uno stato, delegittimandolo, vale a dire negare loro il diritto di appropriarsi in libertà del loro destino collettivo, rappresenta un’ingiustizia di base e una profonda amoralità.
E’ una prima tappa nel processo che si è innescato della sua distruzione e dell’annientamento di altri sei milioni di ebrei, cioè della popolazione israeliana. Il mondo deve sapere che gli ebrei non accetteranno mai questa eventualità e che sono pronti a sconvolgere l’ordine del mondo, se questo avvenisse. Sono stati raggiunti dei limiti, una soglia è stata oltrepassata. L’accusa di peccato originale si basa su una riscrittura menzognera della storia.
La creazione d’Israele non è avvenuta a spese di un popolo innocente. Si è prodotto uno scambio di popolazioni tra gli stati arabi che, non appena ottenuta l’indipendenza, hanno cacciato e spogliato dei propri averi 900.000 ebrei e i 600.000 rifugiati palestinesi colpevoli di appartenere alla coalizione che ha dichiarato guerra allo stato nascente d’Israele e di rifiutare qualsiasi spartizione del territorio del Mandato britannico dove, nel frattempo, era stato creato uno stato arabo, la Transgiordania, divenuta Giordania in seguito all’invasione della Giudea e Samaria. Il progetto di delegittimare Israele si ripercuoterà su tutti gli stati democratici, soprattutto gli stati europei. Potrebbe rivelarsi una tappa determinante sulla via della loro stessa delegittimazione, nella prospettiva di un’Europa sotto l’influenza arabo-islamica che qualsiasi persona democratica deve rifiutare.
Shmuel Trigano è Accademico dell’Università Ouest Nanterre La Défense di Parigi e direttore della rivista Controverses. Ha promosso in Francia l’appello pro Israele “Salviamo la ragione”
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