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La Repubblica Rassegna Stampa
27.09.2010 I jeans attillati sono uguali al burqa
La tesi assurda di Martha Nussbaum

Testata: La Repubblica
Data: 27 settembre 2010
Pagina: 29
Autore: Martha Nussbaum
Titolo: «Perchè difendo l'uso del burqa»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 27/09/2010, a pag. 29, l'articolo di Martha Nussbaum dal titolo " Perchè difendo l'uso del burqa ".


Martha Nussbaum, (New York, 6 maggio 1947), è una filosofa statunitense,  studiosa di filosofia greca e romana, filosofia politica ed etica. Attualmente è Ernst Freund Distinguished Service Professor di Diritto ed Etica presso l'Università di Chicago, cattedra che include impieghi al Philosophy Department, alla Law School e alla Divinity School. Tiene inoltre corsi sui classici e sulle scienze politiche, è membro del Committee on Southern Asian Studies, ed è membro esterno del Human Right Program. Ha precedentemente insegnato all'Università di Harvard e alla Brown University, dove ha ottenuto il titolo di professore universitario.

Nussbaum cerca, senza successo, di convincere il lettore che portare il burqa sia una libertà dell'individuo e che, per questo, sia sbagliato vietarlo.
Nel suo articolo, Nussbaum elenca cinque motivazioni addotte da chi desidera che il burqa venga vietato e cerca di confutarle. Per quanto riguarda le prime due, entrambe legate a problemi di sicurezza, Nussbaum non scrive una confutazione.
La terza motivazione è legata al burqa come simbolo di discriminazione e segregazione della donna. Nussbaum risponde: "
Ma la pecca più lampante consiste nel fatto che la nostra società è piena di simboli della supremazia maschile che trattano la donna come un oggetto. Riviste erotiche, foto di nudo, jeans attillati: tutti questi prodotti possono essere tacciati di ridurre la donna a un oggetto, così come la stessa accusa può essere rivolta a molteplici aspetti della nostra cultura mediatica. Che dire della «degradante prigione» della chirurgia plastica?". Nussbaum ritiene che jeans attillati e burqa siano la stessa cosa, discrimininino la donna. Non entriamo nel merito della sua affermazione, facciamo solo notare che, in Occidente, i jeans attillati li mettono solo le donne che desiderano farlo, non sono obbligate a farlo. Non è possibile sostenere lo stesso per chi indossa il burqa. Lo stesso discorso vale per la chirurgia plastica. Nessuno è sottoposto a interventi chirurgici del genere contro la propria volontà, per questo è impossibile paragonarli al burqa.
Nussbaum continua : "
Una quarta argomentazione è quella secondo cui le donne indosserebbero il burqa solo perché costrette. È una tesi abbastanza non plausibile da generalizzare.". Il burqa come imposizione, secondo Nussbaum, è una tesi non plausibile, ma non specifica in base a quali elementi possa sostenere il contrario.
Nussbaum scrive, nel suo articolo : " 
Partiamo da una considerazione ampiamente condivisa: tutti gli esseri umani sono uguali e hanno la medesima dignità ". Una tesi giusta e condivisa. Vietare il burqa significa essere coerenti con questa tesi. Il burqa non è un abito folkloristico, ha a che vedere con la discriminazione della donna e con l'integralismo religioso.
Stupisce che a sostenere la tesi maschilista secondo la quale portare il burqa sarebbe una libertà sia proprio una donna, anche se, ormai, registriamo che, visti i suoi silenzi, il movimento femminista è defunto, appartiene al passato.
Ecco l'articolo:

Ai primi di luglio, in Spagna, il parlamento catalano ha respinto per pochissimi voti una proposta di legge che avrebbe vietato il burqa musulmano in tutti gli spazi pubblici, capovolgendo l´esito del voto espresso una settimana prima dal Senato a favore del divieto. Proposte analoghe potrebbero diventare presto legge in Francia e in Belgio. Perfino il foulard è spesso fonte di problemi. In Francia, le ragazze non possono indossarlo a scuola. In Germania (così come in alcune zone del Belgio e dell´Olanda) in diverse regioni alle insegnanti di scuola pubblica è proibito portarlo in classe, malgrado a preti e suore sia consentito insegnare con l´abito talare. (...)
Partiamo da una considerazione ampiamente condivisa: tutti gli esseri umani sono uguali e hanno la medesima dignità. Pressoché ovunque si concorderà sul fatto che i governi devono rapportarsi a tale dignità con immutato rispetto. Ma cosa vuol dire trattare la gente con lo stesso rispetto in ambiti che hanno a che fare con le credenze e l´osservanza religiosa? Aggiungiamoci allora un´ulteriore premessa: la facoltà attraverso cui l´uomo ricerca il significato ultimo dell´esistenza - facoltà comunemente denominata "coscienza" - è una componente fondamentale della persona, strettamente legata alla sua dignità. E a questo punto possiamo puntualizzare con un´altra premessa ancora, che potremmo chiamare la "premessa della vulnerabilità": tale facoltà, infatti, può essere gravemente compromessa da condizioni ambientali globali ostili. (...).
Generalmente a favore delle proposte di legge che presuppongono il divieto vengono sostenute cinque argomentazioni. Vediamo se esse trattano tutti i cittadini con uguale rispetto. La prima riguarda il fatto che per esigenze di sicurezza gli individui devono mostrare il volto quando frequentano luoghi pubblici. La seconda, strettamente correlata alla prima, sostiene che la trasparenza e reciprocità proprie dei rapporti tra concittadini verrebbe minata dall´abitudine di coprirsi parte della faccia. (...) Il terzo punto, di gran rilievo attualmente, è che il burqa sia un simbolo di dominazione maschile che rappresenta l´oggettivazione della donna (vista non più come persona, ma come mero oggetto). Un legislatore catalano di recente l´ha definito una «prigione degradante». La prima cosa da dire riguardo a tale tesi è che coloro che generalmente la sostengono non sanno molto dell´islam e sicuramente non sono in grado di affermare cosa simboleggi cosa in tale religione. Ma la pecca più lampante consiste nel fatto che la nostra società è piena di simboli della supremazia maschile che trattano la donna come un oggetto. Riviste erotiche, foto di nudo, jeans attillati: tutti questi prodotti possono essere tacciati di ridurre la donna a un oggetto, così come la stessa accusa può essere rivolta a molteplici aspetti della nostra cultura mediatica. Che dire della «degradante prigione» della chirurgia plastica? (...)
Una quarta argomentazione è quella secondo cui le donne indosserebbero il burqa solo perché costrette. È una tesi abbastanza non plausibile da generalizzare. (...) In ultimo, ho sentito anche l´argomentazione secondo cui il burqa sarebbe di per sé non salutare, perché caldo e scomodo (non sorprende che tale tesi sia stata avanzata in Spagna). Mi sembra forse la più stupida di tutte. (...) Tutte e cinque le argomentazioni che ho riassunto sono discriminatorie. Non dobbiamo neanche scomodarci a toccare la delicata questione del compromesso su basi religiose per renderci conto che sono profondamente inaccettabili in una società dedita alla libertà e all´uguaglianza. Il pari rispetto di tutte le coscienze ci impone di rifiutarle.

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