Il testimone inascoltato Yannick Haenel
Traduzione di Francesco Bruno
Guanda Euro 15
In questi ultimi anni sta prendendo corpo un fatto storico inequivocabile: la memoria della Shoah vissuta come esperienza diretta è in via di estinzione per il semplice motivo che i testimoni vanno scomparendo. Da qui ogni nuova opera capace di trasmettere ai posteri l’immane tragedia vissuta dal popolo ebraico è un tassello prezioso e un privilegio per noi lettori.
In questo contesto si inserisce il volume dello scrittore francese Haenel, pubblicato in Francia nel 2009 da Gallimard e ora in Italia da Guanda nella pregevole traduzione di Francesco Bruno.
Il testimone inascoltato offre al pubblico italiano un ulteriore contributo storico: come nel saggio di Theodore Hamerow (Perché l’Olocausto non fu fermato – Feltrinelli) nella biografia di Jan Karski, ufficiale polacco diventato esponente della resistenza in Polonia, emergono le gravi responsabilità degli Stati in guerra con la Germania che, pur a conoscenza dello sterminio degli ebrei, non fecero quello che avrebbero potuto per fermare l’Olocausto.
Mentre alzavano la bandiera della democrazia, gli Alleati che si dovevano confrontare con il diffuso antisemitismo dei paesi democratici occidentali, scelsero altre azioni di guerra, lasciando libera la macchina di morte hitleriana di compiere il suo progetto criminale.
La storia di Jan Karski, riconosciuto da Israele Giusto fra le nazioni, è il fulcro di questa appassionante biografia – nella sua terza parte in forma di romanzo – di Yannick Haenel.
Se nel primo capitolo dominano le parole di Karski, tratte dalla sua intervista con Claude Lazmann nel film Shoah del 1985, nel secondo capitolo Haenel utilizza il memoir di Karski, “Story of a Secret State” (tradotto in francese nel 1948 e ristampato nel 2004) dedicato agli anni della resistenza in Polonia che rappresenta il nucleo narrativo più ampio.
L’ultima parte del libro, frutto di fantasia, si declina in una narrazione di forte impatto emotivo e si richiama ad alcuni elementi della vita dell’ufficiale polacco.
Si delineano gli incontri con politici di alto livello per denunciare gli orrori del ghetto di Varsavia e dei lager, nessuno dei quali volle ascoltare il suo grido d’aiuto mentre le pagine che narrano della profonda crisi depressiva vissuta nel suo nuovo paese, l’America, con gli incubi notturni risultano particolarmente intense grazie anche alla sensibilità dell’autore nel descrivere i tormenti che hanno accompagnato Jan Karski per tutta la vita.
Jan Kozielewski nasce a Lodz da genitori cattolici e ha solo 25 anni quando nel 1939 viene inviato come sottotenente di artiglieria in Alta Slesia per fronteggiare l’avanzata tedesca.
Tutto si rivelerà vano. Scampato miracolosamente all’eccidio di Katyn, Karski è scambiato con alcuni soldati tedeschi e arriva nel campo di Radom, una città dell’Ovest della Polonia, un luogo circondato da immensi reticolati che al giovane soldato appare spaventoso e dal quale capisce di potersi salvare solo fuggendo. Rientrato a Varsavia entra in contatto con uno dei suoi migliori amici, Dziepaltowski, che prima della guerra era un violinista solitario dedito solo alla sua arte. Da questo momento entra a far parte della Resistenza polacca con compiti sempre più pericolosi che lo portano in Francia, superando incredibili rischi e difficoltà, per fornire informazioni al governo polacco in esilio.
Tra il 1940 e il 1942 è un susseguirsi di missioni ad alto rischio fino a quando viene arrestato e torturato dalla Gestapo. Dopo aver tentato il suicidio, una volta trasportato in ospedale è grazie all’aiuto di alcuni compagni della Resistenza che riesce ad evadere e a salvarsi la vita.
Ma è solo nell’agosto del 1942 che assisterà a quell’orrore che segnerà profondamente il suo animo facendolo diventare un messaggero e il portavoce della tragedia del popolo ebraico.
Prima di partire per una nuova missione a Londra due rappresentanti della resistenza ebraica (“uno rappresenta l’organizzazione sionista, l’altro l’Unione socialista ebraica, che si chiama Bund….”) lo fanno entrare per due volte nel Ghetto di Varsavia , un luogo di violenze e soprusi, privazioni e dolore dove i cadaveri sono abbandonati per le strade e i nazisti si abbandonano ad ogni atto di ferocia nei confronti degli ebrei (“…Mentre ci aprivamo una strada nel fango e nelle macerie, delle ombre che una volta erano state uomini e donne si agitavano intorno a noi…dappertutto la fame, i pianti dei bambini, il fetore dei cadaveri”).
Poi i due leader ebrei riescono ad introdurlo in un lager, Izbica Lubelska, dove assiste ad una scena infernale: centinaia di ebrei vengono ammassati nei vagoni di un treno, sul cui pavimento è stata messa della calce viva. Un’altra memoria atroce e indelebile nella sua mente.
Il messaggio che i due ebrei gli affidano è semplice: informare il mondo che Hitler sta sterminando il popolo ebraico e chiedere agli Alleati non solo di definire la salvezza degli ebrei come scopo della guerra ma anche di far conoscere la terribile verità agli abitanti del Reich (“…Dica loro che la terra dev’essere scossa dalle fondamenta affinché il mondo infine si svegli”).
Arrivato a Londra Karski informa la stampa circa le condizioni disumane del ghetto di Varsavia, ottiene un colloquio con Anthony Eden il ministro degli affari esteri ( “era l’idolo della sua giovinezza”), infine come ultimo tentativo nel maggio 1943 giunge negli Stati Uniti per un incontro con il Presidente Roosevelt, con il compito affidatogli dal generale Sikorski (capo del governo polacco in esilio) di trasmettere il messaggio della Resistenza polacca e quello degli ebrei di Varsavia: “Dica loro la verità, nient’altro che la verità”.
Tutto si rivela inutile, nessuno ascolta il suo messaggio e nessuna parola scalfisce l’indifferenza del mondo rispetto allo sterminio che si sta perpetrando in Europa.
Nonostante la pubblicazione nel 1944 di un memoir che racconta la sua drammatica vicenda e ciò che ha visto nel corso di tre anni, il testimone non è riuscito a portare a termine la sua missione e rimane “inascoltato”. Diventato docente di storia alla Georgetown e alla Columbia University, trasmette ai suoi allievi il racconto di quell’ esperienza che così profondamente lo ha ossessionato per tutta la vita.
“Con il mio libro – scrive l’autore - ho voluto rompere un tabù, il mio Jan Karski denuncia la menzogna degli Alleati, smaschera la loro presunta innocenza” ma mette anche in luce l’antisemitismo diffuso e la colpevole indifferenza dinanzi alle tragiche notizie che arrivano.
Il libro di Yannick Haenel è un documento prezioso perché “è la letteratura che ha il compito di continuare la tradizione della memoria, anche dopo la scomparsa dell’ultimo testimone”.
Giorgia Greco