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Corriere della Sera Rassegna Stampa
25.09.2010 Sergio Romano: un'idea, se si smettesse di scrivergli ?
Tanto la musica è sempre la stessa

Testata: Corriere della Sera
Data: 25 settembre 2010
Pagina: 57
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Gli Stati Uniti e al-Qaeda, problemi di costi e benefici»

Nella risposta di Sergio Romano sul CORRIERE della SERA di oggi, 25/09/2010, con il titolo " Gli Stati Uniti e al-Qaeda, problemi di costi e 
benefici " ci sono tutte le componenti che conosciamo ormai a memoria, da essere quasi tentati dall'ignorarla.  Ancora una volta Romano elenca le sue critiche all'America, e ai neocon, responsabili di tutte le disgrazie che colpiscono l'Occidente, tutto era servito per giustificare la guerra in Iraq. Anche la guerra in Afghanistan, secondo Romano, è perduta, per cui conviene mettersi d'accordo con il nemico. Lo scrive in modo garbato, come si conviene ad un ex ambasciatore, ma la musica è sempre la stessa.
Un'idea, e se si smettesse di scrivere a Romano per sapere come la pensa ?


Sergio Romano

Ecco lettera e risposta

Ho letto la sua analisi sull’Afghanistan. Mi piacerebbe poter esprimere un mio personale e parziale dissenso. Pur condividendo in gran misura la sua analisi, ritengo infatti che l’intervento «alleato», seppur non risolutivo sul piano del successo sul territorio, contribuisca a consolidare un importantissimo interesse strategico: quello di impegnare fortemente i Talebani e gli accoliti di Al Qaeda costringendoli spesso sulla difensiva e obbligandoli ad accantonare, se non a rinunciare del tutto, ai preparativi di letali attentati in Occidente. Non crede?

Franco Cohen novafodera@libero.it

Quando gli Stati Uniti invasero l ’ Afghanistan nell’ottobre del 2001, molti (io fra questi) pensarono che la guerra fosse giustificata. Il Paese ospitava da tempo Osama bin Laden e i campi di addestramento di Al Qaeda: era quindi complice dell’operazione contro le Torri gemelle. Quando rifiutò di estradare Osama, gli americani non avevano altra soluzione fuor che quella di ricorrere alla forza. Ma dopo avere liquidato il regime del mullah Omar, si disinteressarono delle sorti dell’Afghanistan e concentrarono le forze rimaste sul solo obiettivo giudicato importante: la ricerca di Osama nella vasta zona montuosa che divide il Paese dal Pakistan. Fu chiaro allora che la guerra afgana, nella strategia di Washington, era soltanto il prologo di quella che gli Stati Uniti volevano fare all’Iraq e, nelle intenzioni dei neoconservatori, all’Iran. Oggi l’America paga il prezzo di un disegno che si è rivelato doppiamente fallimentare.

Non credo che questa nuova guerra afgana, dovuta alla frettolosa conclusione della prima, abbia avuto l’effetto d’impedire ad Al Qaeda l’organizzazione di altri attentati in Occidente. Se gli Stati Uniti e l’Europa godono di una maggiore sicurezza, questa si deve soprattutto al modo in cui le nostre forze di polizia e i nostri servizi d’intelligence si sono attrezzati per combattere la minaccia. I tentativi sono stati numerosi e in massima parte sventati. La guerra, del resto, non ha impedito ad Al Qaeda e alle organizzazioni affiliate di agire altrove, soprattutto nei Paesi musulmani. Osama colpirebbe l’America, se potesse, perché niente servirebbe a ingigantire la sua immagine e la sua reputazione quanto un’operazione riuscita contro la maggiore potenza mondiale. Ma i suoi veri nemici sono i regimi laici o non sufficientemente religio sidel Grande Medio Oriente, dal Marocco alla Turchia, dall’Algeria all’Indonesia.

Vi è un altro elemento, caro Cohen, di cui occorre tenere conto. Gli attentati sono utili alla strategia di un’organizzazione terroristica soprattutto perché fungono da bandi di reclutamento. Un colpo andato a segno dimostra la vulnerabilità del nemico, infiamma gli animi delle fasce più radicali delle società islamiche e attira nuovi volontari. Questa funzione, oggi, è svolta soprattutto dalla guerra degli americani in Afghanistan. Lo spettacolo di una grande potenza che non riesce a battere un esercito di guerriglieri e si lascia alle spalle un inevitabile strascico di vittime collaterali è il fattore che maggiormente concorre a ingrossare le file dell’estremismo islamico. Gli americani ne sono consapevoli e sperano di aprire al più presto un tavolo di trattative. Ma vorrebbero sedersi al tavolo dopo avere inflitto al nemico qualche duro colpo. E, intanto, la guerra continua.

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lettere@corriere.it

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