Gli abitanti delle città israeliane non sono coloni Un'analisi del Foglio che spiega quale sia la realtà
Testata: Il Foglio Data: 23 settembre 2010 Pagina: 3 Autore: La redazione del Foglio Titolo: «Perché ci chiamate coloni?, chiedono nei sobborghi d’Israele»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 23/09/2010, a pag. 3, l'articolo dal titolo "Perché ci chiamate coloni?, chiedono nei sobborghi d’Israele ".
Ariel, una città di 17.000 abitanti, non una colonia, della quale è già prevista l'annessione ufficiale dopo lo scambio dei territori.
Gerusalemme. Quando si parla di insediamenti israeliani, una delle immagini che vengono alla mente è quella dei coloni che vivono circondati dai palestinesi. Le fotografie degli scontri tra i membri della comunità ebraica di Hebron, i musulmani e le forze dell’ordine dimostrano quanto sia problematica la loro esistenza. Di coloni si discute ora che è ripreso il processo di pace fra il governo di Gerusalemme e i rappresentanti dell’Autorità nazionale palestinese. L’Anp chiede che le nuove costruzioni siano fermate, così come l’Amministrazione americana attraverso il segretario di stato, Hillary Clinton. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, cerca una soluzione di compromesso per portare avanti le trattative senza perdere il sostegno dei suoi ministri. Dei 300 mila coloni presenti sul territorio conquistato durante la guerra del 1967, un terzo si trova in cinque insediamenti principali che sono spesso sul lato israeliano della barriera difensiva voluta dal governo di Israele quando il premier era Ariel Sharon. Molti di loro non si considerano coloni veri e propri; quasi nessuno crede che le loro case potrebbero essere sgomberate come avvenuto a Gaza. Neppure se al governo ci fosse una coalizione di estrema sinistra. L’insediamento più grande è Modiin Illit, quasi 42 mila abitanti, costruito nel ’96 a metà strada fra Gerusalemme e Tel Aviv. E’ sul lato israeliano della barriera difensiva, in una zona reclamata dai palestinesi. Di fatto è il sobborgo di un’altra città, Modiin, 62 mila anime, prevalentemente giovani famiglie di pendolari che lavorano nelle grandi città ma non possono permettersi gli affitti salati di Gerusalemme e Tel Aviv. La municipalità è interamente al di qua della linea verde che separa Israele dai Territori palestinesi. Dal ’97 è gemellata con Hagen, un centro reagatedesco del Nord Reno-Westfalia. I problemi cominciano quando si arriva a Modiin Illit, o Modiin Alta, che è costruita a circa due chilometri da quella linea. “E’ soltanto una parte di Modiin, noi vi sembriamo dei coloni?”, dice una coppia di immigrati francesi dall’abbigliamento moderno e laico. La popolazione di Modiin Alta tende a essere più religiosa rispetto a quella del centro. Sono quasi tutti ortodossi della tradizione lituana e passano il tempo a studiare i testi sacri. Da queste parti c’è anche una prestigiosa scuola rabbinica, ma chi vive nel distretto ha poco a che vedere con il movimento nazional religioso che sostiene l’espansione delle colonie. Quanto ad abitanti, 34 mila, un altro grande insediamento è Maale Adumim, fondato nel ’75 alla periferia della capitale. La legge israeliana lo considera a pieno titolo parte del territorio nazionale, tanto che il congelamento degli insediamenti annunciato da Benjamin Netanyahu non si estende ai “sobborghi di Gerusalemme”. Ovviamente, Maale Adumim si trova dal lato israeliano della barriera. Poi c’è Beitar Illit con i suoi 35 mila abitanti, a ovest di Betlemme, il più grande insediamento israeliano che si trova oltre la barriera difensiva: è formato prevalentemente da una comunità ultra ortodossa in rapida crescita demografica, alcuni lo considerano parte di Gush Etzion, ma date le dimensioni è una realtà a sé. “Noi siamo qui per restare” La stessa Gush Etzion è un insieme di quattordici insediamenti che superano i ventimila abitanti, in gran parte vicini alla corrente del sionismo religioso e al partito dei coloni. Infine c’è Ariel, diciassette mila abitanti, che si trova a quindici chilometri dalla linea verde. Fondato nel ’78, è sede del Centro Universitario della Samaria e di due parchi industriali che danno lavoro a un discreto numero di palestinesi. Ad Ariel sono certi che nessuno proverà a sgomberarli: “Non possiamo parlare per gli altri insediamenti, ma non c’è alcun dubbio che Ariel è qui per restare,” racconta al Foglio Avi Zimmerman, presidente dell’associazione Friends of Ariel. “Questo è un posto strategico per l’industria israeliana e anche per la sicurezza: il 99 per cento degli israeliani sanno che Ariel è necessario per ostacolare un attacco dai paesi arabi confinanti. Certo, qui il congelamento delle costruzioni rende difficile la vita alle nuove famiglie”. Ma, secondo Zimmerman, la linea israeliana, indipendentemente dal governo in carica, consiste nel fare il possibile per mantenere almeno tre insediamenti strategici: Ariel, Maale Adumim e Gush Etzion. “Persino quando c’era Ehud Barak al governo, che offrì ai palestinesi il 97 per cento della Cisgiordania più alcuni territori israeliani, cedere Ariel era fuori discussione”.
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