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La Stampa Rassegna Stampa
23.09.2010 Dare ai lettori una versione incompleta o distorta degli avvenimenti
Testate a confronto sugli scontri di ieri a Gerusalemme

Testata: La Stampa
Data: 23 settembre 2010
Pagina: 16
Autore: Aldo Baquis - Giordano Stabile - Paola Caridi
Titolo: «Colono uccide palestinese. Paura a Gerusalemme est - Una gioventù fra web e Nike. Non si faranno saltare per aria»

I fatti, scarni, sono questi:
Venerdì scorso una guardia giurata in servizio presso la "Città di Davide" a Gerusalemme è stato attaccato da alcuni arabi. Essendo la sua vita in pericolo, è stato costretto a sparare, e ne ha ucciso uno. Ieri, ai funerali, è scoppiata una manifestazione violenta contro Israele.
La notizia è stata trattata da tutti i quotidiani questa mattina.
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L'UNITA' e IL SOLE 24 ORE hanno diffuso la notizia con una breve identica, probabilmente ripresa dallo stesso lancio di agenzia. Una breve che non fa chiarezza sull'accaduto, lasciando al lettore il dubbio che l'arabo sia rimasto ucciso negli scontri di ieri.
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Anche Il GIORNALE ha trattato la notizia in una breve, sostanzialmente corretta.
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Il CORRIERE della SERA ha diffuso la notizia in un riassunto della breve pubblicata da Unità e Sole 24 Ore. Un po' poco. Da un lato La STAMPA ha dato una copertura eccessiva (con tanto di immagine e richiamo in prima pagina) della notizia, dall'altro il CORRIERE della SERA solo quattro righe.
Articoli più misurati sono stati pubblicata da LIBERO ( Angelo Pezzana,  in altra pagina della rassegna), La REPUBBLICA e Il MANIFESTO. Gli ultimi due hanno trattato la notizia con una cronaca fortemente ostile a Israele.
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In generale i quotidiani italiani hanno glissato su un particolare fondamentale per comprendere come si sono svolti i fatti: la guardia giurata ha ucciso l'aggressore armato di coltello, è vero, ma per legittima difesa e dopo essere stato attaccato.
Ma è meglio impietosire il lettore definendo l'israeliano colono (anche se non è) e l'arabo 'padre di cinque figli' (anche se era soprattutto un terrorista).

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 23/09/2010, a pag. 16, l'articolo di Aldo Baquis dal titolo " Colono uccide palestinese. Paura a Gerusalemme est  ", a pag. 17, l'intervista di Giordano Stabile a Gabriele Vacis dal titolo " Una gioventù fra web  e Nike. Non si faranno saltare per aria ", l'articolo di Paola Caridi dal titolo " La tregua quotidiana in fila al supermercato  ". Ecco gli articoli, preceduti dai nostri commenti:

Aldo Baquis : " Colono uccide palestinese. Paura a Gerusalemme est "


Gerusalemme

Il titolo del pezzo è scorretto. Per due motivi: 1) Baquis non ha definito 'colono' la guardia israeliana attaccata dal palestinese, 2) Baquis non ha definito 'colono' la guardia  perchè non lo è. E' un semplice abitante di Gerusalemme.
Contrariamente a quanto sostiene la propaganda anti israeliana, Gerusalemme non è una colonia e i suoi abitanti non sono coloni.
Ecco l'articolo:

Un palestinese ucciso, decine di feriti (ebrei ed arabi), un ingresso massiccio di agenti israeliani nella Spianata delle Moschee e significativi rinforzi di militari della Guardia di frontiera dislocati nelle vie di Gerusalemme per contenere nuovi subbugli. Questo il bilancio di una spirale di violenze innescata nell’esplosivo rione palestinese di Silwan (alle pendici della Spianata delle Moschee) da un agguato teso a un guardiano ebreo preposto alla protezione di Ir David, la Città di David: un recente nucleo di insediamento nazionalistico ebraico, arroccato in quel rione attorno all’importante parco archeologico.
In serata i dirigenti palestinesi hanno accusato il premier Benyamin Netanyahu di essere responsabile degli incidenti, in quanto fautore della sempre più tangibile presenza ebraica in un rione palestinese di Gerusalemme Est. Hamas, da parte sua, ha tenuto a ribadire che le violenze di ieri e l'ingresso della polizia nella Spianata delle Moschee confermano l’«inutilità» di qualsiasi trattativa con Israele. Accuse al governo israeliano sono giunte anche da Peace Now, secondo cui esso «tollera la costituzione a Silwan di una milizia ebraica» composta da guardiani privati.
A differenza di altri rioni palestinesi di Gerusalemme Est dove la presenza ebraica resta sporadica, a Silwan essa è di alto profilo per la presenza del parco archeologico che ricostruisce tremila anni di storia ebraica, da quando re David entrò con un sotterfugio nella cittadella fortificata dei gebusei e la espugnò. Lo stesso ripido sperone roccioso dove il monarca israelita eresse il proprio palazzo è quello dove oggi si stende Silwan.
Ogni giorno carovane di escursionisti, israeliani e stranieri, visitano le rovine guidati da uno staff scelto dalla associazione nazionalista Elad. Assieme con loro è possibile attraversare il complesso sistema di canalizzazione sotterranea vecchio di 2.700 anni e soffermarsi nella «Stanza delle Bolle» dove sono stati trovati i resti carbonizzati di timbri utilizzati da dignitari dei re di Israele menzionati dalla Bibbia. Agli occhi dei palestinesi queste attività significano soltanto che Israele cerca di «colonizzare» il loro quartiere.
In questo clima di tensione latente un guardiano ebreo è ieri caduto in una imboscata tesagli da alcuni giovani di Silwan, armati di coltelli. Sentendosi sul punto di essere rapito ha aperto il fuoco uccidendo un uomo di 35 anni, Samer Sarhan, padre di cinque figli. I suoi funerali, svoltisi alcune ore dopo, si sono trasformati in una accesa manifestazione di proteste. Gli incidenti si sono estesi a macchia d’olio da Silwan al rione di Wadi Joz, al Monte Scopus e poi alla Spianata delle Moschee.
Ancora la volta il clima fra israeliani e palestinesi si è avvelenato, mentre la moratoria sulle nuove colonie sta per concludersi e i palestinesi ripetono che la ripresa dei lavori della ruspe significherà la fine dei negoziati intrapresi appena tre settimane fa. E Israele deve subire le critiche dell’Onu sull’assalto alla nave pacifista Mavi Marmara del 31 maggio scorso, in cui morirono nove attivisti. Per il Consiglio dei Diritti Umani l’assalto dell’esercito fu «sproporzionato» e «di una violenza incredibile e inutile».La Città di David è il nucleo originario di Gerusalemme, che era posto sul monte Sion, fondato dai Gebusei e conquistato dal re Davide all’incirca nel 1000 a.C. Era già una città fortificata nell’Età del Bronzo, ma il re la trasformò in una vera capitale, con importanti edifici pubblici. Posta accanto al Monte del Tempio la zona della Città di David è un sito archeologico tra i più importanti di Gerusalemme. Sono state portate alla luce, tra l’altro, le mura costruite da David.

Giordano Stabile : " Una gioventù fra web  e Nike. Non si faranno saltare per aria "


Gabriele Vacis

Le dichiarazioni di Vacis sono gravissime. Oltre a definire in maniera quasi poetica ciò che poetico non è (i terroristi arabi), ignora i rischi connessi all'odio verso Israele. Vacis descrive i terroristi come semplici ragazzi vessati dallo Stato ebraico oppressore, vittime del colonialismo israeliano, dei suoi checkpoint, della barriera di protezione. Non è così. Gli arabi israeliani  godono degli stessi diritti degli altri cittadini.
Ecco l'intervista:

«Un’altra Intifada, non ci credo. Basta vedere come sono vestiti questi ragazzi. Non li distingueresti da un italiano. Non penso che abbiano voglia di farsi saltare in aria». Gabriele Vacis, autore e regista di teatro, impegnato nella cooperazione tra Italia e Palestina, li conosce bene. Da tre anni guida la scuola di teatro del Palestinian National Theatre e, quando è di ritorno a casa, trema alle notizie di scontri e incidenti: «Vado subito a vedere su Al Jazeera se c’è qualcuno dei miei».
Guerriglieri imborghesiti?
«Imborghesiti no, portano scarpe della Nike, i pantaloni a vita bassa, ma credo che siano entrati nel pieno della globalizzazione guidata da Internet. All’ultimo corso ne ho avuti 36, metà donne. Tutti avevano il loro indirizzo e-mail, chattavano, parlavano inglese. I muri fisici ci sono ancora, altissimi, ma nel modo di pensare, come nelle mode, assomigliano sempre più ai nostri ragazzi».
Però sono ancora pronti alla battaglia.
«Sì, magari scelgono nickname da guerrieri, ne ricordo uno: “Soldier of Paradise”. Ma è più che altro un bisogno di incanalare la loro straordinaria energia, che nasce dal senso di costrizione, dall’impossibilità di muoversi liberamente: una sofferenza che sul palcoscenico diventa grazia perfetta».
Che cosa li fa soffrire?
«I limiti alla libertà, i check point. Li vivono come violenza. Ho allievi di Hebron, non autorizzati a entrare a Gerusalemme. Passano dalle fogne, a rischio della vita».
E le ragazze?
«Nessuna col velo. Anche loro lacerate tra la voglia di scappare, di vivere una vita normale in Europa, e la volontà di restare nella loro terra».
Come cambia Gerusalemme?
«A parte i ragazzi con gli slip in vista, il vero cambiamento è la Rete. Ci sono più punti con wi-fi libero a Gerusalemme, anche nei quartieri arabi, che a Torino».

Paola Caridi : " La tregua quotidiana in fila al supermercato "


Paola Caridi

La copertura eccessiva che la Stampa ha dato agli avvenimenti di Gerusalemme si conclude con un pezzo di Cesare Martinetti (che non riportiamo) e con l'articolo di Paola Caridi. Un articolo il cui nocciolo si può identificare nella frase " La via della pace passa per il mercato? Troppo bello, e troppo semplice, per essere vero, in un posto in cui identità e terra vanno a braccetto.". Impossibile sostenerlo. Terra e identità andrebbero a braccetto segli arabi israeliani non continuassero a delegittimare Israele, il loro scopo è far credere che gli ebrei abbiano rubato la terra alla popolazione araba locale. Non è così.
Ecco il pezzo:

Il supermercato sta per chiudere. Siete pregati di affrettarvi alle casse». Primo pomeriggio di ieri. Vigilia di Sukkot, lontano dai lacrimogeni e dalle pietre di Silwan. Il Mega, il più famoso supermercato-mall del quartiere commerciale di Talpyot sta per chiudere i battenti. La parte ebraica di Gerusalemme è piena di capanne per ricordare l’esodo dopo la fuga dall’Egitto, montate su balconi, giardinetti, marciapiedi e parcheggi. Al Mega va in onda la spesa dell’ultimo minuto, nel supermercato più laico e popolare di Gerusalemme ovest. Dove tutti, israeliani e palestinesi, condividono scaffali e file alla cassa. I prezzi sono concorrenziali, le offerte paghi 2 e prendi 3 allettanti (pasta Barilla compresa), la scelta abbondante. E poi a Talpyot c’è tutto, dal Brico formato israeliano ai mobilifici, dalle concessionarie sino all’ufficio per la revisione dei veicoli.
Benvenuti nel vero quartiere misto di Gerusalemme, dove israeliani e palestinesi passano un po’ di tempo gli uni accanto agli altri, si sfiorano, si guardano. Non perché a Talpyot si convive. Ma perché a Talpyot si compra. E bene. Una mall a cielo aperto, che parte dalla periferia ricca di Gerusalemme ovest e arriva alle propaggini meridionali della città, tra la grande colonia di Har Homa e il muro che la separa da Betlemme. Niente cambia, dunque. Il mercato è il luogo della mescolanza, anche nel pieno del conflitto.
Al Mega, l’atmosfera è rilassata. C’è popolino e piccola borghesia, il macellaio è palestinese, la cassiera ha il cappello delle donne ebree moderatamente ortodosse. «Qui i prezzi sono i migliori della città», dice Iman, mezza età, palestinese cristiana. Per lei Mega è una tappa obbligata. «E poi, l’ambiente non è ostile». Tradotto: non c’è frizione tra israeliani e palestinesi. Così come, paradossalmente, non c’è tanta frizione a Jaffa Road, testimone di alcuni tra i più sanguinosi attentati terroristici che hanno scosso la città dalla metà degli anni 90 alla seconda Intifada. Lì, cuore del commercio di Gerusalemme ovest a due passi dalla Città Vecchia, palestinesi poveri e israeliani ortodossi sono uniti da un obiettivo comune: comprare vestiti e scarpe. Soprattutto quando bisogna prendere i regali per le feste comandate. Come l’Eid al Fitr, che conclude il Ramadan. O, appunto, prima di Sukkot.
La via della pace passa per il mercato? Troppo bello, e troppo semplice, per essere vero, in un posto in cui identità e terra vanno a braccetto. Una ricerca appena pubblicata dall’istituto Floersheimer dell’università ebraica di Gerusalemme, firmata da Marik Shtern, dice invece che molti israeliani sono infastiditi dalla presenza dei palestinesi nelle zone commerciali miste. Disagio, paura, distanza, sono i sentimenti espressi dagli intervistati, quando si trovano in spazi comuni. Anche al Malha Mall, dice la ricerca della Shtern, specialista di dinamiche multiculturali. Malha Mall, o meglio Canyon, come tutti gli abitanti di Gerusalemme chiamano il re dei mall.
Al Canyon, è vero, uno strano e affollatissimo melting pot è all’ordine del giorno. Di fronte allo stadio, tre piani, ospita marche medio-alte e grandi negozi di fai-da-te, materiale per ufficio, cinema, supermercato, casalinghi di design, giocattoli e bar. Quanto basta per attirare la periferia della città. Tutta, a est e a ovest della Linea Verde. A rendere il Canyon speciale, è che ci vanno veramente tutti, dai laici agli ortodossi, dai bulletti tutti gel e jeans, sino alle famigliole più pie e piene di figli, musulmane o ebree che siano.
Per i commercianti, il plebiscito che unisce le comunità attorno al consumismo è tutto oro che luccica. Gli affari vanno bene, i clienti non si rifiutano. E poi una buona fetta del personale dei supermercati è palestinese. Questo, però, con la politica non c’entra nulla. Le questioni serie vanno oltre lo shopping. La terra è la terra. Alla mall si stipula solo una tregua non scritta. Appena fuori, a pochi chilometri di distanza dal Canyon, è tutta un’altra storia. Le pietre volano, e i lacrimogeni anche.

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