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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
22.09.2010 Addio a Jean Samuel, sopravvissuto ad Auschwitz
Era il 'Pikolo' di Primo Levi

Testata: Corriere della Sera
Data: 22 settembre 2010
Pagina: 41
Autore: Frediano Sessi
Titolo: «Addio a 'Pikolo', amico di Levi ad Auschwitz»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 22/09/2010, a pag. 41, l'articolo di Frediano Sessi dal titolo " Addio a «Pikolo», amico di Levi ad Auschwitz ".


Primo Levi, Jean Samuel, la copertina del suo libro Mi chiamava Pikolo (Frassinelli 2008)

Jean Samuel è scomparso all’inizio di settembre. Era nato nel 1922. Sul sito del Centro Primo Levi (www.primolevi.it) è disponibile online una sua intervista

«Sono diventato Pikolo nell’estate del 1944. Ero ad Auschwitz, nel campo di Monowitz, da tre mesi quando Primo Levi mi ha dato questo nome». Inizia così la memoria di Jean Samuel ( Mi chiamava Pikolo, Frassinelli 2008) che dopo un lungo silenzio, e probabilmente proprio per rinnovare il ricordo dell’amico e compagno di deportazione scomparso tragicamente, si decide a scrivere della sua esperienza nel lager e a rendere pubblica la loro corrispondenza del dopoguerra. Per tutti noi, Jean Samuel è il simbolo della resistenza alla disumanizzazione del lager: la memoria della poesia sublime di Dante che si conserva e riappare nelle avversità; tanto che l’episodio del canto di Ulisse, in Se questo è un uomo, resta centrale per comprendere appieno lo slancio vitale quando tutto intorno era morte e violenza. Ulisse era stato la vittima di un dio impietoso e barbaro, come la civiltà ebraica lo è stata del nazismo.

Pikolo e Primo Levi si perdono di vista, proprio mentre il campo di Auschwitz è vicino al giorno della liberazione. Levi viene abbandonato al suo destino, infermo e affamato, in una baracca di Monowitz, tra i morti e i morenti; Jean Samuel vive la terribile esperienza delle marce forzate della morte e termina la sua prigionia nel lager di Buchenwald. Qualche tempo dopo, il 13 marzo del 1946, i due amici si ritrovano ed è proprio Jean Samuel a scrivere una lunga lettera a Primo Levi: «Sarai senz’altro stupito di ricevere mie notizie e, in tutta onestà, possiamo ben dire che è un miracolo». Passano dieci giorni e Primo risponde all’amico con una lettera di sei pagine di racconti ed emozioni, incredula e al tempo piena di promesse, propositi e desideri: «Spero che mi scriverai ancora». E poi di seguito «ti invio una mia foto da uomo normale, sperando di ricevere presto la tua». È il ritrovarsi vivi e insieme il primo tentativo, difficile e doloroso di ricostruirsi una vita normale, ma anche di non perdersi per ricordare.

Le due lettere sono un esercizio di memoria e di volontà di vita, perché l’amicizia che lega Primo e Jean è fin da subito «qualcosa di eccezionale e unico». Scrive Levi: «Ci siamo conosciuti in circostanze particolari, la condizione credo più infima in cui possa essere gettato un essere umano, e ci siamo ritrovati uniti nella lotta allo Sterminio, non solo fisico, quanto spirituale, operata dal lager». Eppure, continua Levi, non sappiamo nulla l’uno dell’altro. E questo «rende il nostro reciproco leggere e scrivere particolarmente divertente e toccante». Ecco, forse sta qui in queste parole semplici, unite all’episodio del canto di Ulisse il nodo di una così profonda e intensa amicizia. E Jean Samuel che al ritorno aveva scelto una strada diversa per continuare a vivere, riprendendo a occuparsi della farmacia di famiglia a Wasselonne, in Belgio, dove era nato nel 1922, rompe il silenzio solo per dare il suo addio a Primo con una testimonianza che lo consegna alla storia.

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