Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 22/09/2010, a pag. 20, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Egitto, il nuovo faraone sarà ancora un Mubarak".
Gamal Mubarak
Mubarak cederà lo scettro al figlio Gamal, da cui s’è fatto accompagnare a Washington lasciando congetturare una presentazione ufficiale all’amico americano?
Con la fine del Ramadan gli egiziani hanno detto a malincuore addio alle musalsalat, le popolari soap opera che si moltiplicano durante il mese del digiuno musulmano. Ma la storia della successione al Faraone che da 29 anni guida il Paese ha preso il posto delle serie tv nelle vivaci discussioni dei caffè del Cairo dove gli uomini fumano il narghilè e giocano a taule, il backgammon arabo.
«Gamal ha studiato, è capo del comitato politico del partito di governo National Democratic Party, da due anni è molto vicino al padre ma la gente si chiede se abbia sufficiente esperienza politica: finora l’unico candidato è Hosni Mubarak» osserva Mona Makram Ebeid, ex parlamentare del liberale Wafd e docente di scienze politiche all’università americana del Cairo. Sebbene ridimensionate dagli analisti però, più propensi a ipotizzare una staffetta con il capo dell’Intelligence Omar Suleiman, le voci d’una possibile successione monarchica in stile siriano continuano a circolare. Di sicuro le prendono sul serio i duecento manifestanti che ieri sono scesi in piazza nel centro della capitale sfidando la polizia antisommossa e sventolando bandiere dell’opposizione per dire basta alla famiglia che dal 1981, data dell’insediamento di Mubarak al posto dell’assassinato Sadat, rappresenta la nazione.
«La questione della discendenza pesa» ammette il direttore del settimanale Watani, Youssef Sidhom. Ma Gamal, laureato in business e con una lunga esperienza in finanza, è seguito con interesse da chi spera che le riforme economiche trainino quelle politiche. Dal quarto piano della palazzina scalcinata che ospita il più antico giornale copto d’Egitto il manifesto che sponsorizza Mubarak junior all’angolo di Abd el Khalek Tharwat street non appare minaccioso: «Gamal è un liberal, ha lavorato molto, è nell’arena politica da più dei cinque anni necessari a presentarsi agli elettori e il fatto che non abbia il consenso unanime del partito lo dispone al pluralismo. In assenza di elezioni veramente competitive il primo presidente non militare dal 1952 sarebbe la migliore chance per la transizione del Paese in crescita che intervenendo sul sistema fiscale e sulle banche è già riuscito a portare gli investimenti stranieri dai 3,8 miliardi di dollari del 2004 ai 13,2 miliardi attuali».
Per capire l’entusiasmo che accompagna il nome del quarantasettenne delfino egiziano subentrato nel toto-nomine al riservato fratello maggiore Alaa, ritiratosi dalla gara nel 2000 mentre i nemici mormoravano di favoritismi da lui ricevuti durante il processo di privatizzazione avviato dal padre, bisogna partire dal lussuoso hotel Semiramis sulle rive del Nilo, dove il Comitato rapporti internazionali dei Giovani imprenditori di Confindustria, giunto apposta dall’Italia, incontra i partner egiziani e quelli di altre 255 aziende del Mediterraneo.
«Abbiamo resistito bene alla recessione e l’economia cresce» spiega Ashraf el Gazayerll, presidente della Egyptian Junior Business Association. Abito scuro, camicia bianca, occhiali alla moda dalla montatura spessa, si è laureato al Cairo come Gamal ed è fiero, dice, di riconoscersi in quelle promesse nazionali a cui la First Lady si è appena appellata dal palco. Suzanne Mubarak, tailleur antracite e filo di perle come gli orecchini, ripete in inglese perfetto che «questi giovani imprenditori sono il meglio dell’Egitto» e sorride alla platea di coetanei di Gamal, il figlio prediletto. Dalle loro file, tra cui s’intravede qualche volitiva fanciulla velata, proviene anche Mahmoud Mohleldin, lo stimato ministro degli investimenti appena arruolato dalla World Bank.
L’autista cinquantenne Ibrahim che, dribblando le auto incolonnate nei vialoni della capitale si lascia alle spalle il Semiramis e punta sulla città dei morti, il più grande e antico cimitero cittadino nelle cui tombe oltre 700 mila persone vivono arrabattandosi con le mance di chi porta a seppellire i morti, scuote la testa: «Il Paese reale è diverso dall’élite che circonda il presidente e che non può neanche immaginare come si arrivi a fine mese con sei figli da crescere e dieci dollari al giorno». Lo scrittore Khaled Alkhamissi, che nel romanzo «Taxi» ha raccontato l’epopea quotidiana della pancia del Cairo, concorda amaramente: «L’Egitto va sempre peggio. Il voto è una messinscena alla fine della quale vincerà Mubarak padre, ma non con il 99% come Sadat: si accontenterà di un po’ meno per dimostrare che si è trattato di consultazioni democratiche».
L’identità del Paese delle piramidi prossimo alle elezioni parlamentari di novembre e a quelle presidenziali del 2011 è nascosta tra le possibili alternative al grande capo che oggi arriva a Roma per l’inaugurazione della sede restaurata dell’Accademia delle Arti d’Egitto. In lista c’è Gamal ma anche Omar Suleiman o l’altro generalissimo, il ministro della Difesa Mohammed Hussein Tantawi. Sullo sfondo anche il nome del Nobel El Baradei che però al momento non associa alla popolarità le carte in regola per correre. Nessuno di loro comunque si sbilancia, quasi non sapesse d’essere in pista. Raccontano fonti all’epoca a lui vicine che neppure Hosni Mubarak si aspettasse la vicepresidenza quando Sadat lo nominò nel 1975. Era un uomo dell’aeronautica, tutto uniforme e manuali di guerra. Sembra che Suzanne rivelò poi d’aver pensato a un incarico diplomatico e essersi augurata una sede europea. Il marito invece salì molto più in alto e da lì dritto in vetta, uno stratega militare rapido ad apprendere la tattica politica e a resistere a quattro elezioni, l’ultima delle quali, nel 2005, aperta a candidati di altri partiti dopo la modifica della Costituzione.
«Anche se gli egiziani si appassionano il Paese è in mano all’establishment militare» chiosa Ahmed Abdallah, psichiatra ed editorialista di Islam Online. Ammira i blogger, alter ego del quasi coetaneo Mubarak junior, ma è scettico: «Tante energie, sì. Ma cosa possono cambiare? Otto abitanti su dieci sono depressi». Eppure, con la metà della popolazione sotto i 25 anni, l’Egitto è rivolto verso l’alba. Che si chiami o no Gamal.
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