La Svezia anti islamista vota per Jimmie Akesson Non è razzismo, nè islamofobia, ma il desiderio di fermare Eurabia
Testata: Il Foglio Data: 21 settembre 2010 Pagina: 3 Autore: La redazione del Foglio Titolo: «Sarrazini e saraceni - Così la ricca e multiculti Svezia ha perso la propria innocenza»
I quotidiani italiani di oggi, 21/09/2010, continuano a commentare il risultato elettorale svedese. Tutti vedono in Akesson un leader della destra populista xenofobo o razzista. Pur essendo state pubblicate analisi interessanti sul fallimento del modello socialdemocratico svedese, il pregiudizio politicamente corretto impedisce ai quotidiani italiani di descrivere in altri termini Akesson in Svezia, Wilders in Olanda, Sarrazin in Germania. Akesson, WIlders, Sarrazin, sono accomunati da un elemento: l'anti islamismo. Non sono islamofobi, non sono razzisti. Semplicemente desiderano che le democrazie occidentali rimangano tali. La minaccia maggiore proviene dall'islam. Moschee fuori controllo, imam che istigano a compiere attentati, terrorismo islamico, manifestazioni violente contro l'Occidente. I quotidiani italiani etichettano (a torto) i loro partiti come xenofobi accomunandoli, con una confusione incredibile, a Jobbik, partito ungherese neonazista e antisemita. ******************** Per avere maggiori informazioni su Jobbik e sul suo leader, Gabor Vona, cliccare sui due link sottostanti. Si tratta di una cronaca del Corriere della Sera e un'analisi di Karl Pfeifer. Leggendoli risulterà evidente la differenza che corre tra Akesson, Wilders, Sarrazin e Vona. I primi tre si battono perchè le democrazie nelle quali vivono restino tali, Vona è un filo nazista antisemita:
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 21/09/2010, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " Sarrazini e saraceni ", l'articolo dal titolo " Così la ricca e multiculti Svezia ha perso la propria innocenza ". Ecco i due pezzi:
" Sarrazini e saraceni "
Jimmie Akessom
Con le elezioni di domenica, la Svezia ha completato il percorso di “europeizzazione”. A Stoccolma hanno vinto il premier di centrodestra, Fredrik Reinfeldt, e la voglia di liberalismo, ma il dato che più avvicina il paese al resto del continente passa per un partito anti immigrazione. Grazie ai 20 seggi conquistati alle urne, i Democratici svedesi fanno un ingresso molto rumoroso al Riksdag, privando Reinfeldt della maggioranza assoluta. Come altrove, un movimento della destra populista è diventato decisivo per la vita di un governo. In Olanda, Geert Wilders negozia l’appoggio esterno all’esecutivo. In Danimarca, la stabilità è garantita dai partiti anti islam. L’Austria è condannata a grandi coalizioni per tenere lontano dal potere l’estrema destra, che continua a crescere. Comunque andranno le trattative, anche a Stoccolma ci sarà una coalizione inedita. Gli establishment europei, accecati dall’ideologia del politicamente corretto, prima fingono di non vedere, poi si dicono scioccati da questa avanzata. E’ accaduto con i Democratici svedesi, che hanno trasmesso in televisione uno spot nel quale un anziano è superato da un gruppo di donne in burqa nella corsa ai sussidi statali. E’ capitato con l’espulsione di Thilo Sarrazin dal board della Bundesbank per aver scritto un libro in cui preconizza una Germania a maggioranza musulmana, con arabi e turchi che “producono in continuazione ragazze con il foulard in testa”. E’ successo di nuovo con le procedure di infrazione della Commissione europea contro la Francia e la politica di Nicolas Sarkozy sui rom. Due questioni problematiche come islam e immigrazione non si risolvono escludendo chi le affronta, ma riformando le politiche inefficaci. Molti leader europei dovrebbero chiedersi se il modo migliore per combattere l’estrema destra sia demonizzare i suoi leader, o fare sì che una parte crescente della popolazione debba integrarsi secondo leggi e regole.
" Così la ricca e multiculti Svezia ha perso la propria innocenza "
Roma. “La mia visione della Svezia è quella di una società tollerante, umana, che rispetta le diversità e le libertà individuali”. Così parla il ministro per l’Integrazione di Stoccolma, Nyamko Sabuni. Musulmana di colore, nemica dei fondamentalisti islamici, con un padre dissidente congolese “adottato” a Stoccolma da Amnesty International, Sabuni è famosa nel suo paese per aver proposto di proibire per legge alle ragazzine che hanno meno di quindici anni di indossare il velo a scuola. Ha persino cancellato l’orwelliana Authority sull’integrazione, considerandola una semplice “espressione burocratica”. La battaglia del ministro Sabuni è emblematica del destino della Svezia, definita un tempo come “il porto dell’Europa” e che oggi vede il proprio modello di accoglienza trasformarsi in un dramma da gestire. Se esiste un posto al mondo dove il multiculturalismo avrebbe dovuto funzionare alla perfezione, quello è la Svezia: ultrasecolarizzata, iperliberal, culturalmente omogenea, antinazionalista (i danesi sono detestati in quanto “sciovinisti”), orgogliosa della propria mancanza di pregiudizi, generosa economicamente con gli immigrati e con le scuole migliori d’Europa. Siamo nel paese che il Guardian, un po’ di anni fa, ebbe a definire “il più grande successo che il mondo abbia conosciuto”. Si chiama “folkhemmet”, che in svedese significa “la casa di tutto il popolo”, l’ideologia socialdemocratica e multiculturale su cui da decenni Stoccolma ha costruito il proprio modello di integrazione (un paese che amava definirsi una “superpotenza morale” e dove il welfare state paga persino un pene artificiale a tutte le donne che decidono di cambiare sesso). Che questo modello sia in crisi ce lo dicono i risultati elettorali, con un clamoroso cinque per cento ai Democratici di Jimmi Akesson, formazione di destra dal programma antimmigrazione. Nel folkhemmet le tasse sono “skat”, cioè tesoro comune, al servizio della società. Si aveva l’illusione che una società prospera, indifferente alla religione, ideologicamente accogliente e tollerante, avrebbe sanato ogni trauma da integrazione. La realtà dice il contrario. Nessuno, appena dieci anni fa, avrebbe soltanto immaginato che un vignettista svedese di fama come Lars Vilks, autore di caricature su Maometto, sarebbe finito sotto scorta, minacciato di morte da altri cittadini svedesi e picchiato persino in un’aula universitaria statale (è successo a maggio a Stoccolma). Nelle periferie delle grandi città si parla anche di “Intifade contro la polizia”, sassaiole contro le auto di pattuglia che tornano in rimessa ammaccate. Malmö, terza città della Svezia, capoluogo della prospera provincia Scania, ha 270 mila abitanti, centomila dei quali sono stranieri. Un residente su tre è musulmano. Un record europeo. E’ a Malmö, ma anche a Stoccolma e Göteborg, che le comunità ebraiche sono costrette a spendere gran parte del budget in misure di sicurezza. Ai primi di marzo è bastato l’arrivo della nazionale israeliana di tennis, impegnata in Coppa Davis contro la Svezia, proprio a Malmö, a far insorgere la comunità islamica, in quell’occasione alleata dei centri sociali svedesi. Nel Baltic Hall di Malmö, Svezia e Israele hanno giocato per tre lunghi giorni, ma a porte chiuse. Anche la Nazionale israeliana di taekwondo è stata costretta ad annullare la trasferta scandinava, “per ragioni di sicurezza”. Il Jerusalem Post, in un suo recente articolo, ha scritto che “Malmö è uno dei posti più pericolosi in Europa per gli ebrei”. Centinaia di ebrei hanno deciso di traslocare negli ultimi sei mesi. Eppure la Svezia era stata nel Novecento uno dei luoghi più accoglienti per gli ebrei, che sono circa ventimila in tutto il paese. Molti di loro si rifugiarono nello stato scandinavo in fuga dal Terzo Reich e durante la guerra la quasi totalità degli ebrei danesi trovarono un porto sicuro in Svezia insieme con migliaia di correligionari provenienti da altri paesi. In seguito arrivarono altri gruppi dall’Europa dell’est. Tutto è cambiato. Il grande quotidiano svedese Aftonbladet ha persino insinuato il sospetto che gli israeliani espiantassero organi ai palestinesi morti. Poi c’è stata l’operazione Piombo fuso nella Striscia di Gaza. Nel 2009 la polizia ha registrato 79 atti antisemiti, il doppio rispetto all’anno precedente. Profanazioni di cimiteri, bombe molotov, oltre al fatto che per strada non è più una rarità essere apostrofati con un “jävla jude”, “maledetto ebreo”. Il sindaco socialdemocratico di Malmö, Ilmar Reepalu, ha detto che, con la sua mancata presa di distanze da Israele, la comunità ebraica se l’era un po’ andata a cercare. C’è anche un problema demografico per il famoso welfare svedese. Dei nove milioni di svedesi, 1.080.000 sono stranieri. La più alta percentuale in Europa. Ci sono fra 800 e 900 mila figli di immigrati. La ricetta “solidarietà più prosperità” è dunque destinata al tramonto. Accanto ai successi squillanti di Ikea e dei giornali della compagnia Metro, oggi si registra un boom di “delitti d’onore”, omicidi di donne musulmane assassinate in casa a causa di un vestito “all’occidentale”, del rifiuto dei matrimoni combinati o dei diktat della sharia, la legge coranica. Sia Stoccolma che Malmö hanno già organizzato numerose “case sicure”, residenze dove le donne islamiche possono rifugiarsi per non essere uccise in famiglia. E’ nata anche un’associazione, “Mai dimenticare Pela e Fadime”, da due giovani immigrate in Svezia uccise dai padri perché volevano integrarsi nel paese. Secondo il National Council for Crime Prevention, il trenta per cento dei detenuti in carcere è di nazionalità straniera. Ci sono intere aree delle città svedesi considerate “segregate”, perse all’integrazione, ghetti multiculturali dove gli assistenti sociali non mettono piede. Intanto, il più celebre scrittore svedese, Henning Mankell, è salpato per Gaza a bordo della nave di islamisti turchi.
Per inviare la propria opinione al Foglio, cliccare sull'e-mail sottostante