Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 20/09/2010, a pag. 31, l'articolo di Fabio Scuto dal titolo " Il 'mercoledì da leoni' dei ragazzi del Surf Club ".
Un articolo che, pur contenendo diverse critiche e inesattezze su Israele e il blocco navale imposto a Gaza, descrive la situazione della popolazione della Striscia. A rendere impossibile la vita quotidiana della gente con mille divieti assurdi è Hamas, non Israele.
Ecco l'articolo:
Sono le cinque del pomeriggio di un giorno assolato e bruciante, una leggera brezza spira da nord ovest. Il gruppetto di ragazzi arriva alla spicciolata sulla Sheik Khazadzien Beach, un paio di chilometri a sud della città di Gaza, alle spalle sono ben visibili le rovine di due condomini sbriciolati dalle bombe dell´operazione "Piombo fuso" del 2009. Oggi per loro è un "mercoledì da leoni". Arrivano in spiaggia dopo aver lavorato un´intera giornata - chi fa il muratore e oggi è disoccupato, chi lavora in un forno, chi fa il facchino al mercato, chi va ancora a scuola - perché questi i ragazzi, i ragazzi del Surf Club di Gaza, potranno finalmente provare le nuove tavole da surf rimaste bloccate per due anni al check point di Erez. Bloccate perché le tavole non erano né nella lista delle merci autorizzate a passare - la Striscia è sempre sotto embargo israeliano - né nella black list di quelle vietate delle autorità militari. Insomma uno stallo che sembrava senza soluzione. «Ne sono arrivate 22 ed eccole qui nelle mani dei nostri ragazzi», spiega Al Hindi Mansour fondatore del Club nel capanno sulla spiaggia bianca che è il punto di raccolta dei surfisti della zona.
Certo la spiaggia di Gaza non è quella di Malibu, né sul mare si alzano barre da due-tre metri come davanti Big Sur in California, ma la voglia di cavalcare le onde la si vede negli occhi di Mahmud, Omar, Yussef, i ragazzi più grandi e più bravi del Surf Club. L´acqua non sembra troppo sporca, anche se ogni giorno vengono scaricati sessanta milioni di litri di liquami non filtrati perché i depuratori non funzionano, ma non importa se l´acqua è piena di colibatteri perché surfare non è uno sport, surfare è una fede. Nei quasi 365 chilometri quadrati di Gaza vivono un milione e seicentomila palestinesi, i tre quarti per mettere assieme il pranzo con la cena dipendono dagli aiuti alimentari internazionali, c´è l´assedio, le infrastrutture sono distrutte, la disoccupazione supera il 50% e Hamas è qui a imporre con manganello e kalashnikov la sua visione del mondo in stile iraniano. «Quelle onde che vede sono la nostra via di fuga», spiega Osama Al-Ryashi, vent´anni, «le cavalchi e almeno in quel momento ti senti davvero libero, scompaiono le paure, non c´è più l´assedio, ti liberi dall´oppressione e si respira a pieni polmoni».
Fra gli osservatori un po´ interdetti sul bagnasciuga c´è spesso qualcuno di Hamas. Il surf non sembra visto di buon occhio, ma per quanto abbiamo cercato nelle sure del Corano le "teste d´uovo" del movimento integralista ancora non hanno trovato nulla contro il surf, ma non si può mai dire. Il Corano non vieta alle donne di fumare il narghilè, ma anche su questo Hamas ha trovato da ridire e la shisha è finita nella ormai lunga lista di cose proibite a Gaza. Perché l´importante è spegnere la gioia e la voglia di vita, non si legano col martirio a cui gli integralisti stanno sottoponendo tutta la Striscia. Non ci sono solo ragazzi nel Surf Club di Gaza. Ci sono anche quattro giovani promesse: si chiamano Rawan, Shourok, Sabah e Khoulad. Sono ragazzine di 14 anni sveglie e intraprendenti sulle onde. Certo la loro "mise" in acqua - calzoni, maglietta e cappellino - non è proprio delle più pratiche, ma già quelli di Hamas alzano il sopracciglio: ragazze che surfano....
«A noi la politica non interessa, amiamo il mare; ci interessano il surf e il nuoto, e mi creda vorremmo praticarli in santa pace», spiega diplomatico Al Hindi il fondatore e direttore del Club. Al Hindi ha iniziato a surfare all´inizio degli anni Novanta quando con un pezzaccio di legno si accontentava di cavalcare le onde a pancia in sotto. Prima di diventare surfista, Al Hindi è stato un nuotatore, il migliore di tutta la Striscia, ha vinto diverse medaglie all´estero e per altre che forse avrebbe potuto conquistare non ha potuto gareggiare, perché gli è stato impedito uscire da Gaza; per un motivo e per un altro il permesso delle autorità israeliane per partecipare alle gare non arrivava mai.
Quando Hindi iniziò a cavalcare le onde i palestinesi lo guardavano come se fosse matto, il surf era roba per i coloni israeliani che stavano una ventina di chilometri più a nord, chiusi nei loro settlements e nelle spiagge a loro riservate. Poi da Tel Aviv nel 1995 iniziarono ad arrivare le prime vere tavole, quelle da principianti lunghe quattro metri, ma bastarono per cominciare. «Non conoscevamo davvero il surf, ma lo guardavamo in tv, fu lì che vedemmo come si surfava veramente alzandosi in piedi sulla tavola. Ci provammo anche noi e fu meraviglioso, allora la Striscia non era sotto assedio come adesso e comprammo qualcosa a Tel Aviv e iniziammo con tavole più corte, quindi più veloci e maneggevoli».
Certo senza l´impegno e la testardaggine di due americani queste tavole che oggi cavalcano le onde non sarebbero mai arrivate. Matt Olsen dell´Explore Corps, un´associazione umanitaria che si occupa di progetti sportivi in Palestina e quello di Dorian "Doc" Paskowitz, mito vivente del surf californiano - 89 anni - e pioniere della tavola in Israele nel 1956. Le prime vere tavole a Gaza le portò proprio "Doc" nella convinzione che «chi cavalca le onde insieme può certamente vivere insieme». Dice Arthur Rashkovan, co-fondatore di "Sufing 4 Peace" che ha sostenuto l´iniziativa: «La nostra prossima missione sarà quella di poter surfare insieme, magari in Israele, magari a Gaza e chissà anche in California».
Per inviare la propria opinione a Repubblica, cliccare sull'e-mail sottostante