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La Stampa Rassegna Stampa
20.09.2010 Quanto valgono le smentite di Ahmadinejad ? Zero
Perchè la stampa occidentale ci casca ? Cronaca di Maurizio Molinari, intervista a Hillary Clinton di Christiane Amanpour

Testata: La Stampa
Data: 20 settembre 2010
Pagina: 5
Autore: Maurizio Molinari - Christiane Amanpour
Titolo: «Sakineh? Mai condannata alla lapidazione - A Teheran regime militare, ma siamo pronti al dialogo»

Ahmadinejad smentisce la condanna alla lapidazione di Sakineh e critica chi ha definito Carla Bruni prostituta. E' la solita propaganda del regime iraniano, impossibile prederla sul serio. Eppure i media occidentali ci cascano, descrivono Ahmadinejad come portabandiera contro i conservatori religiosi (Corriere della Sera), proprio lui che non è altro che un fantoccio manovrato da Ali Khamenei. Perchè ? E in base a quali elementi Hillary Clinton dichiara a Christiane Amanpour (nell'intervista che riportiamo in questa pagina) che le sanzioni all'Iran stanno funzionando ? L'esatto opposto, semmai. L'Iran non ha modificato una virgola del suo programma nucleare e Obama lancia messaggi contraddittori, da un lato lancia le sanzioni, dall'altro le rende inefficaci tenendo la mano tesa.

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 20/09/2010, a pag. 5, la cronaca di Maurizio Molinari dal titolo " Sakineh? Mai condannata alla lapidazione ", dove non prende per buone le scuse di Ahamdinejad, a pag. 6, l'intervista di Christiane Amanpour a Hillary Clinton dal titolo " A Teheran regime militare, ma siamo pronti al dialogo ".
Ecco gli articoli:

Maurizio Molinari : " Sakineh? Mai condannata alla lapidazione "


Mahmoud Ahmadinejad, Sakineh, Maurizio Molinari

Sakineh non è mai stata condannata alla lapidazione e gli insulti a Carla Bruni sono un crimine: Mahmud Ahmadinejad arriva a New York preceduto da una raffica di interviste che puntano ad accattivarsi l’opinione pubblica rompendo l’assedio di critiche.
Le dichiarazioni su Sakineh Mihammadi Ashtiani sono arrivate nel corso di una intervista a Christiane Amanpour sulla tv Abc. «Non capisco tutto questo interesse per una donna che vive in un villaggio iraniano», ha esordito il presidente, affermando che «la signora Mohammadi non è mai stata condannata alla lapidazione» e che se tale notizia si è diffusa è «per colpa dei mezzi di informazione americani che ne hanno dato una versione non corretta».
Amanpour ha ribattuto, durate un vivace scambio di battute, che «la lapidazione c’era come dimostra che è stato il governo iraniano a bloccarla» ma Ahmadinejad ha negato: «Dovrei essere al corrente di quanto afferma ma non ne so nulla, poiché non vi è mai stata la sentenza di lapidazione anche tutto il resto non ha fondamento, è frutto della propaganda degli stessi assassini che adesso fanno i difensori dei diritti umani».
Riguardo alla lapidazione, Ahmadinejad ha comunque ammesso che si tratta di «un metodo vecchio che necessita cambiamento». Quando la Amanpour ha ribattuto: «E delle esecuzioni capitali cosa dice?». La risposta è stata: «Tutte bugie, da parte di gruppi dei diritti umani che non sono mai venuti in Iran». L’intervento su Carla Bruni è arrivato invece dalle colonne del quotidiano «Iran Se Kayahn», il cui direttore è nominato da Ali Khamenei, la Guida Suprema della rivoluzione islamica, aveva definito la moglie del presidente francese «una prostituta», ora Ahmadinejad afferma: «Si tratta di attacchi paragonabili a crimini, si tratta di affermazioni che l’Islam non consente, contrarie alla regione».
La difesa di Carla Bruni da parte di Ahmadinejad appare collegata al caso-Sakineh, perché il «Kayhan» l’aveva definita «prostituta italiana» proprio a seguito delle critiche che la First Lady di Francia aveva rivolto alla lapidazione.
Ahmadinejad inoltre recapita alla Casa Bianca la richiesta di «liberare otto iraniani detenuti in America». Il passo del presidente della Repubblica Islamica coincide con il ritorno in America di Sarah Shourd, liberata da Teheran dopo essere stata accusata di «spionaggio» per essere entrata illegalmente dall’Iraq nel luglio del 2009 assieme a due suoi amici ancora imprigionati. «Rilasciarla è stato un gesto di grande umanità da parte nostra - dice Ahmadinejad parlando alla tv Abc - e dunque non sarebbe fuori luogo se gli Stati uniti rispondessero con un gesto umanitario liberando gli otto iraniani che detengono».
Il presidente iraniano non ha specificato di chi si tratti né da quanto tempo sarebbero in prigione in America ma aver messo sul piatto questo argomento lascia intendere la volontà di continuare gli scambi di persone. Nel 2009 fu Teheran a liberare l’americana Roxana Saberi dopo averla condannata ad otto anni di prigione per spionaggio, poi nel luglio scorso gli Stati Uniti hanno fatto partire Shahram Amiri, uno scienziato nucleare che ha accusato la Cia di averlo in precedenza rapito in Arabia Saudita. Fu proprio il ritorno di Amiri a Teheran a innescare l’ipotesi di un rilascio dei tre ragazzi californiani arrestati al confine con l’Iraq ma l’Iran ha poi deciso di lasciar andare solo Shourd.
Ad avvalorare l’ipotesi che Ahmadinejad punti a fare leva sullo scambio di prigionieri per stabilire un dialogo con gli Stati uniti su basi di parità ci sono le rivelazioni giunte ieri dall’agenzia Fars sull’avvenuta cattura in Beluchistan di «sette soldati americani e due guide iraniane» che avrebbero passato illegalmente i confini di Afghanistan e Pakistan.

Christiane Amanpour : " A Teheran regime militare, ma siamo pronti al dialogo"


Hillary Clinton, Christiane Amanpour

Il presidente Obama ha detto che per il bene dei negoziati coi palestinesi Israele dovrebbe prolungare la moratoria degli insediamenti. Lei crede che questo succederà?
«È quello che speriamo. Al premier israeliano Netanyahu accettare la moratoria è costato un notevole capitale politico. La moratoria è in vigore al momento della partenza dei negoziati. Stiamo lavorando perché l’atmosfera resti favorevole».
Secondo lei chi fa, con i negoziati, il salto psicologico più grande?
«Tutte e due le parti. Gli israeliani subiscono la tremenda pressione di sicurezza che si avverte all’orizzonte, con uno stato come l’Iran che dice “vi cancelleremo dalla faccia della terra”. E sul lato palestinese si dice “abbiamo preso questa strada, stiamo cercando di costruire il nostro nuovo stato”».
L’America farà pressione su Abu Mazen perché continui i negoziati anche qualora la costruzione degli insediamenti riprendesse?
«Non vogliamo che una delle parti lasci il negoziato né che faccia qualcosa che induca l’altra a lasciarlo».
Ci sono gli scettici. Per esempio il ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman. Lei gli ha parlato, è riuscita a convincerlo che la soluzione dei due stati è quella giusta?
«Non pretendo di convincere qualcuno le cui opinioni divergano radicalmente da questa visione. Credo che sia lui sia molti israeliani siano scettici, e così anche molti palestinesi. Ma io chiedo a costoro, “qual è l’alternativa?”».
Passiamo all’Iran. Qual è stata la sua reazione al rilascio di Sarah Shourd?
«Di grande sollievo. È stato così bello sapere che questa giovane donna sia tornata a casa. Io voglio che anche gli altri due americani, John e Shane».
Ci saranno altri negoziati in tempi brevi sulla questione nucleare? C’è un appuntamento fissato?
«Noi abbiamo manifestato disponibilità. Alla Nazioni Unite in settimana avrò dei colloqui in vista del Cinque più Uno per stabilire a che punto siamo, ma al momento in cui parliamo non sono al corrente di alcun incontro al quale gli iraniani abbiano già detto che parteciperanno».
Lei ha detto che l’Iran sta scivolando verso una dittatura militare. Può spiegare questo punto?
«Io sono in grave disaccordo con la Rivoluzione iraniana, ma i suoi primi sostenitori dicevano che sarebbe nata una repubblica. Sarebbe stata una repubblica islamica, ma una repubblica. Ma poi abbiamo visto elezioni gravemente deficitarie e gli eletti che si rivolgono ai militari per imporre il loro potere. E molti iraniani, anche fra coloro che all’inizio simpatizzavano con la Rivoluzione, ora cominciano a dire: “Non è quello che avevamo sottoscritto”. Io posso solo sperare che ci sia all’interno dell’Iran uno sforzo da parte dei leader religiosi e politici più responsabili, per mettere sotto controllo l’apparato dello stato».
Che cosa possono fare gli Stati Uniti per aiutare il popolo dell’Iran? Durante la guerra fredda gli accordi di Helsinki furono il quadro nel cui ambito gli Usa fecero pressione sull’Unione sovietica sui diritti umani mentre continuavano a negoziare sul disarmo. Invece sembra che oggi gli Stati Uniti non abbiano uno schema per spingere con decisione l’Iran al rispetto dei diritti umani mentre negoziamo sul nucleare. Coma mai? Forse perché i diplomatici non vogliono creare problemi in questo secondo dossier?
«No, non credo affatto che le cose stiano così. Noi abbiamo parlato di diritti umani, abbiamo fatto il possibile per sostenerli dall’interno, per esempio abbiamo premuto perché in Iran ci fosse più accesso alle telecomunicazioni. E non si dimentichi che non appena il presidente Obama si è insediato ha teso la mano all’Iran e ha detto alla sua leadership “noi desideriamo intraprendere un dialogo diplomatico con voi”. Credo che anche le sanzioni internazionali all’Iran vadano in questa direzione, perché non diciamo agli iraniani “ci sono due possibilità, possiamo seguire sia la strada delle pressioni sia quella dell’impegno diplomatico”. E noi restiamo aperti alla diplomazia, ma finora è stato chiaro che gli iraniani non vogliono impegnarsi su questo terreno. Sull’aiuto più efficace da dare agli iraniani ricevo consigli contrapposti. C’è chi dice: andate avanti senza esitazioni, dite agli iraniani tutto quello che avete da dire. Mentre altri mi suggeriscono: non fatelo, l’equilibrio è delicato, bisogna essere cauti».
Ahmadinejad ha definito le sanzioni «patetiche».
«Rispondo che le sanzioni hanno influenzato e continuano a influenzare il comportamento dell’Iran. L’ex presidente Rafsanjani ha detto che “sono serie e vanno prese seriamente”, e lo ha detto per criticare Ahmadinejad. Dalle informazioni che abbiamo, risulta che il governo iraniano sia molto preoccupato dall’impatto delle sanzioni sul suo sistema bancario e sulla crescita economica del Paese».

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