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I problemi che abbiamo con l’Islam non sono a causa della povertà, della repressione o del passato coloniale, come afferma la sinistra. Ma sono frutto di una strategia studiata a tavolino fin dal tempo della crisi petrolifera del 1973. In quell’epoca, a seguito della guerra del Kippur scatenata dai Paesi del cartello arabo-musulmano contro Israele, i rappresentanti dell'Opec riuniti a Kwait City, per ritorsione verso le democrazie occidentali, che moralmente stavano sostenendo lo stato ebraico, decidono di utilizzare il petrolio come arma di pressione. I meno giovani ricorderanno che in quel periodo furono ridotte le forniture e quadruplicato il prezzo, costringendoci ad abbandonare le automobili e spostarci a piedi. Un ricatto inaudito in cui, per la prima volta, un paese vincitore soccombe alla coercizione dei vinti. Sono stralci di un’intervista inquietante che la maggiore divulgatrice anti-islamista europea, Bat Ye’or, pseudonimo della scrittrice ebraica Giselle Littman, ha rilasciato su Tempi dal titolo “Saremo tutti velati?” il 29 maggio 2009 e ripresa da pochi quotidiani della carta stampata. Questa signora egiziana di nazionalità inglese, nota per aver adottato il termine Eurabia, fatto proprio da Oriana Fallaci, ci rivela che ha utilizzato questa espressione da un preciso progetto politico promosso da una rivista fondata a Parigi nel 1975, a seguito della guerra del Kippur scatenata dai Paesi del cartello arabo-musulmano contro Israele. L'ideatore del “Piano Eurabia” è Lucien Bitterlin, presidente dell'Associazione per la solidarietà franco-araba, nonché esecutore e finanziatore del Comitato Europeo di Coordinamento delle Associazioni per l'amicizia con il Mondo Arabo, una organizzazione a latere della Comunità Europea, oggi UE”. Ad un mese da quell'intollerabile gesto, Georges Pompidou e Willy Brandt, ritenuto insostenibile per i bilanci dell’Europa, pensarono che fosse necessario ed utile promuovere una solida amicizia con quei Paesi, proponendo “petrolio in cambio di braccia da lavoro” (leggi immigrazione): una ghiotta occasione offerta agli arabi per estendere il mai sopito desiderio del ‘califfato’ sul territorio europeo (con tutte le conseguenze che ne sono scaturite, non ultime le informazioni riservate fornite a quei regimi totalitari). A quest'incontro ne seguirono altre decine con i rappresentanti della Lega Araba a Copenhagen, a Bonn, a Parigi, a Damasco, a Rabat, tutte manovre tese a sancire la «svendita» dell'Europa al Cartello musulmano ed ampiamente documentate nella citata rivista di Betterlin, Eurabia. Secondo la Bat Ye'or: “L'obiettivo era quello di creare un’ identità mediterranea pan arabo-europea che permettesse la libera circolazione di persone e merci e determinasse in modo pesante la politica verso l'immigrazione in Europa”. Forse di questo l’America e non solo stenta a prendere coscienza. Dalia Mogahed, la prima donna col velo salita repentinamente agli altari della Casa Bianca come consigliere del presidente Obama per i rapporti con il mondo musulmano e autrice di "Who speaks for Islam?" (un libro che sta per uscire anche in Italia), rifiuta il termine Eurabia. Ella sostiene che “l’idea di Eurabia non riflette l' evidenza empirica”. Si appella al bisogno di forza di lavoro giovane “le cui origini sono in Paesi musulmani per spingere l'economia occidentale ed europea in particolare”. Secondo questa signora dovremmo “pensarci bene prima di contrastare l’immigrazione…”(Repubblica 9.12.2009). Francesco Pugliarello |
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