Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 15/09/2010, a pag. 40, l'articolo di Franco Frattini dal titolo " Islam e Occidente, le condizioni per una strategia europea ".


Franco Frattini, una manifestazione contro l'Europa : "L'Europa è il cancro, l'islam è la risposta "
Frattini risponde all'editoriale di Angelo Panebianco pubblicato sul Corriere della Sera e riportato nella rassegna quotidiana di IC di ieri.
Secondo Frattini : "Una strategia europea per risolvere positivamente il rapporto tra le nostre democrazie e il mondo islamico dovrebbe far perno su quattro elementi: il primato e l’universalizzazione dei diritti, una politica dell’immigrazione condivisa, la continuazione della lotta al terrorismo e l’apertura alla Turchia. ". Condividiamo i primi tre punti, ma non riusciamo a comprendere il quarto, l'ingresso della Turchia in Europa.
La Turchia ha appena approvato, con un referendum, delle modifiche alla Costituzione che limitano i poteri dei militari, garanti dello Stato laico. La Turchia laica di Ataturk non è altro che un pallido ricordo, favorire il suo ingresso non significa risolvere positivamente il rapporto fra le nostre democrazie occidentali e il mondo islamico.
Che cos'hanno in comune Turchia e Unione Europea ? La Turchia, ormai, ha molto più in comune con l'Iran, col quale, per altro, ha infittito scambi commerciali e rapporti diplomatici. La Turchia è schierata contro le sanzioni per bloccare il nucleare iraniano. Questa sua posizione è compatibile con l'Europa ?
Ecco il pezzo:
Caro direttore, il rapporto tra democrazie europee e mondo islamico, nel mondo globale, è al cuore delle nostre preoccupazioni e fortemente presente nell’azione del governo italiano. Un problema la cui soluzione — concordo con Angelo Panebianco — l’Europa dovrebbe assumere oggi come sua primaria responsabilità. Da come riusciremo a regolare il rapporto tra le nostre democrazie e l’universo islamico incluse le comunità musulmane sempre più presenti nelle nostre società, dipenderà non solo la nostra sicurezza, ma il nostro complessivo modo di vivere negli anni a venire. La questione di fondo è la seguente: come conservare e difendere la nostra identità occidentale e le nostre radici cristiane creando e aggiornando allo stesso tempo i parametri di convivenza con l’Islam. In altre parole: come accogliere l’identità degli altri senza tradire la nostra.
È una sfida complessa che per poter essere affrontata sul piano delle politiche deve partire da un presupposto che è la necessità di una più forte riaffermazione identitaria dell’Europa. È difficile convivere con gli altri se prima non sappiamo bene chi siamo. Ammettiamolo: su questo punto l’Europa ha dato negli ultimi anni preoccupanti segnali di incertezza. Penso, in particolare, alla scelta di alcuni leader europei di non riconoscere le radici giudaico-cristiane della nostra cultura, rifiutando — a suo tempo — di farne riferimento nel Trattato costituzionale. Penso ai segnali diffusi di un multiculturalismo relativista, di una laicità negativa che nel difendere il diritto di tutti di professare la propria verità, rischia spesso di negare diritto di esistenza alla religione, al cristianesimo in particolare, come dimostrano le campagne contro i nostri simboli religiosi, contro il crocefisso, o i tentativi di discreditare la Chiesa. Quanto più riconosceremo le nostre radici — che esprimono valori come la tolleranza e la reciprocità — tanto più disegneremo la nostra identità e saremo in grado di gestire con self-confidence i nuovi fenomeni, inclusa la convivenza con il mondo islamico. L’idea che i mondi della religiosità debbano appartenere alla sfera privata ci restituisce l’immagine paradossale e smarrita di un’Europa dove la costruzione della moschea divide pubbliche opinioni diffidenti di fronte a un mondo del tutto separato e i centri commerciali rifiutano (per paura) di esporre le statuine del presepe per non ferire la «religiosità» dell’altro. Dobbiamo, difendendo con forza la laicità dello Stato, saper meglio convivere con questi mondi, incoraggiarne la reciprocità contribuire a far sbocciare un Islam europeo.
Una strategia europea per risolvere positivamente il rapporto tra le nostre democrazie e il mondo islamico dovrebbe far perno su quattro elementi: il primato e l’universalizzazione dei diritti, una politica dell’immigrazione condivisa, la continuazione della lotta al terrorismo e l’apertura alla Turchia. La difesa dei diritti dell’individuo, la sua dignità, la protezione delle sue libertà, inclusa la libertà di religione, deve essere al centro dell’azione europea. Europa e Occidente hanno il dovere storico e morale di continuare a difendere l’integrità di questi valori universali ogni qualvolta essi sono messi in discussione. L’Italia si è attivata nell’Unione europea per rafforzarne le capacità di azione a difesa delle libertà religiose nel mondo. Siamo in prima linea nella difesa dei diritti delle donne, a qualsiasi religione appartengano, come dimostra il caso Shakineh.
Ma c’è bisogno, al di là dei casi singoli, che l’Europa nel suo insieme assegni con maggiore sistematicità un alto profilo politico alla difesa dei diritti dell’individuo, al dialogo interreligioso e interculturale. Dal pieno rispetto dei diritti individuali deriva anche il rispetto delle minoranze, che siano islamiche in Europa o cristiane nel mondo. L’unico limite all’esercizio di tali diritti è il rispetto da parte degli individui della legge del Paese che li ospita.
Il secondo elemento della strategia europea riguarda la politica dell’immigrazione, una politica che deve conciliare la fermezza nei principi e la solidarietà, per favorire i flussi regolari e contenere quelli irregolari che, oltre all’impatto negativo sulla nostra sicurezza, alimentano i pregiudizi su base etnica e religiosa, alzano muri artificiali tra le opinioni pubbliche europee e islamiche. La gestione di questa politica richiede un’assunzione e divisione di responsabilità tra Paesi di origine, Paesi di transito e Paesi di destinazione. Serve un Patto tra Paesi dell’Unione europea e Paesi di origine dei flussi basato da un lato sull’aiuto europeo allo sviluppo e alla formazione; dall’altro sulla responsabilizzazione di questi Paesi nel controllo dei flussi. Però serve anche una solidarietà tra i Paesi europei che è finora purtroppo mancata, malgrado le sollecitazioni dell’Italia tanto nel contrasto degli irregolari, quanto nelle politiche di integrazione che hanno conosciuto storie e fallimenti e che non dobbiamo assolutamente trascurare. Non c’è immigrazione senza integrazione.
Il terzo elemento è il mantenimento di una guardia alta nella lotta al terrorismo, che si serve pretestuosamente dell’argomento religioso per imporre le proprie leggi disumane, le leggi di una minoranza di estremisti che, contro le stesse parole del Corano, vorrebbero imporre la loro violenza e intolleranza sulla maggioranza dell’umanità, inclusa la maggioranza dei musulmani stessi. Le nostre missioni in Afghanistan, l’ impegno in Medio Oriente e in Somalia, al di là delle loro specificità, hanno in comune e devono continuare ad avere lo scopo principale di fronteggiare e isolare la minaccia globale del radicalismo islamico.
Il quarto elemento della strategia europea non può non riguardare la Turchia. La Turchia è un esempio, unico, di islamismo moderato e di vocazione europea come confermato anche dal recente referendum costituzionale. Se manteniamo aperte le porte della sua integrazione in Europa, come l’Italia ha sempre sostenuto, potremo favorire in senso più ampio la conciliazione tra Islam e democrazia, tra Islam e Occidente, con ripercussioni positive sulle nostre società, sul nostro modo di vivere. Questi quattro aspetti andrebbero armonizzati nel quadro di una strategia complessiva, forte e consapevole, una strategia per l’Europa e l’Occidente in questo secolo che si annuncia tormentato e che dobbiamo saper governare.
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