Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 11/09/2010, l'analisi di James Van de Velde, dal titolo " Il flagello di Allah ", una lettura illuminante sulla guerra in Iraq.
Pubblichiamo in questa pagina ampi stralci del saggio di James Van de Velde dal titolo “‘Bring it on’ worked”, “Il ‘fatti sotto’ ha funzionato”, apparso il 1° settembre 2010 sulla rivista Small Wars Journal. Van de Velde ha lavorato nella sezione d’intelligence della marina americana ed è passato all’insegnamento presso la facoltà di Scienze politiche di Yale. Oggi lavora come esperto di antiterrorismo nella società di consulenze Booz Allen Hamilton.
Adispetto delle continue dichiarazioni contro l’occidente – “l’occidente sta aggredendo l’islam” – sono gli attacchi di al Qaida a uccidere il maggior numero di musulmani. Dopo avere dichiarato guerra all’occidente nel 1998, al Qaida ha finito per dichiararla al mondo intero e soprattutto ai musulmani. Prima agli sciiti iracheni, nel 2005, poi ai musulmani considerati apostati nel 2006 e ai sunniti che collaboravano con il nuovo governo iracheno nel 2007. Degli 85 mila iracheni uccisi a partire dal 2003, le morti imputabili ad al Qaida – che per anni ha ispirato, alimentato e appoggiato la guerriglia di sunniti e baathisti – superano di gran lunga quelle di cui è responsabile la Coalizione. In paesi chiave come Afghanistan, Pakistan, Arabia Saudita e Iraq, il sostegno dei musulmani agli attacchi dei terroristi contro i civili è crollato rispetto al 2002 Oggi, l’appoggio iracheno ad al Qaida è vicino allo zero e questa non è una sorpresa. Gli estremisti sono diventati i peggiori nemici di loro stessi. Gli iracheni vedono che il destino è nelle loro mani e non vogliono che al Qaida dica loro che cosa fare. Anche la fiducia nei confronti di Osama bin Laden e nell’idea che un terrorista possa fare “la cosa giusta nelle questioni internazionali” è crollata tra il 2002 e il 2007. L’ex presidente americano George W. Bush ha offerto ai seguaci di Bin Laden un teatro lontano dai nostri confini, l’Iraq, per mostrare ai musulmani che cos’è davvero al Qaida. La guerra in Iraq, trasformata nella “priorità globale” di al Qaida, potrà aver risvegliato un certo numero di estremisti che altrimenti sarebbero rimasti passivi, ma ha anche sottratto personale, risorse, trasporti, armi e leadership ad altre zone, indebolendo le reti terroristiche a livello mondiale. L’Amministrazione americana non era pronta alle rivolte del dopo Saddam. Questo potrebbe aver contribuito all’espansione di al Qaida in Iraq, ma la rete terroristica ha esagerato con le menzogne e ha meritato la sconfitta fisica. Chi sostiene che il conflitto sia servito da strumento di reclutamento per al Qaida – cosa innegabile – deve ammettere che gli islamisti, in Iraq, hanno mostrato di essere una banda di assassini di civili musulmani. Se sono stati sconfitti, è anche per l’ondata di proteste degli iracheni disgustati dai loro metodi. La leadership di al Qaida ha sbagliato le valutazioni sugli elettori americani e ha fallito il calcolo dei propri sostenitori nel mondo, in particolare fra i musulmani. Gli americani hanno sempre disapprovato il caos in Iraq, ma la cosa peggiore era l’ipotesi di una sconfitta. Nel 2004 hanno rieletto Bush, che ha trovato i comandanti militari con la soluzione giusta per risolvere il conflitto: fare fuori gli affiliati di al Qaida. Ce l’hanno fatta, uccidendone oltre quattromila, secondo le stime di Abu Ayyub al Masri, il leader dell’organizzazione terroristica in Iraq. I militari americani hanno catalogato impronte digitali, tratti somatici e scansioni dell’iride di migliaia di sospetti, limitando la loro possibilità di raggiungere in futuro l’occidente. Non ci sarebbero mai riusciti se non fossero entrati in guerra. L’Iraq è diventato il paese più indulgente al mondo nei confronti dei servizi segreti americani. In molti casi, per l’intelligence è più facile raccogliere informazioni e monitorare terroristi in Iraq che negli Stati Uniti. Negli ultimi cinque anni, la Cia ha avuto meno problemi a stanare gli uomini di al Qaida a Baghdad che in qualunque altro posto al mondo. Il successo nella lotta ad al Qaida ha permesso agli iracheni di cambiare fronte e collaborare con le forze internazionali per cacciare i guerriglieri stranieri: in un primo tempo erano tollerati, poi sono stati osteggiati. La reazione degli Stati Uniti alle sfide di al Qaida ha portato allo scoperto le debolezze dell’estremismo islamico. Ha mostrato al mondo la reale crudeltà di al Qaida. Le autobombe e gli ordigni nei mercati ripugnano nel profondo: la sola immagine di un musulmano sofferente può, come effettivamente è avvenuto, far cambiare idea a molti potenziali terroristi. A meno che non si condivida l’idea malsana che gli apostati possano essere uccisi a piacere. Non bisogna dimenticare che uno dei problemi della lotta per il potere è che, di tanto in tanto, si riesce a ottenerlo. Al Qaida l’ha raggiunto brevemente in alcuni paesi. Una volta al comando, la visione romantica di al Qaida come gruppo di opposizione è svanita rapidamente. E’ complicato ingannare un popolo: chi prende il potere deve essere capace di governare e al Qaida non lo sa fare, come ha dimostrato la fallimentare esperienza nell’amministrazione di Fallujah. I terroristi non hanno un programma che permetta loro di tenere il comando. In pratica hanno lottato per sostituire un presunto oppressore con l’anarchia: non è stato uno scambio vantaggioso. L’ideologia che domina dentro al Qaida rifiuta l’esistenza stessa di un’autorità governativa. La strategia del contrattacco ha funzionato, ma questo non significa che l’invasione dell’Iraq ha avuto, come unico risultato, una diversa interpretazione della natura di al Qaida, oppure che l’Iraq è stato il punto di svolta nella lotta al terrorismo, causando l’inevitabile indebolimento della rete islamica a livello mondiale. La violenza di al Qaida in Iraq si è ridotta e la sua presenza sul territorio è diminuita. Le sue azioni sono un po’ più ponderate ed è quindi probabile che riesca a riabilitare la sua immagine in Iraq.La verità è che, per “vincere” in Iraq, al Qaida dovrà destituire il governo iracheno a maggioranza sciita, un’operazione che richiederebbe la morte di molti musulmani. Più al Qaida cercherà di colpire il governo iracheno, più l’Iran tenterà di interferire per sopprimere la minaccia; per non parlare dell’incremento nelle ostilità che queste mosse potrebbero generare fra gli stessi iracheni. E’ difficile immaginare come al Qaida, oggi, possa “vincere” in Iraq. Certo è che le azioni di al Qaida in Iraq sono state incredibilmente brutali e hanno svelato più di ogni altro evento, inclusa la tragedia dell’11 settembre, l’immensa disumanità di un movimento che non guarda in faccia nessuno. Le decapitazioni di occidentali prima e di iracheni poi ordinate da Zarqawi rimarranno come un segno della strategia di al Qaida. La speranza è che la sua immagine rimanga macchiata a lungo. Il governo egiziano era riuscito con successo a mettere tutti gli arabi contro il gruppo del Jihad islamico egiziano (Eij) quando aveva ucciso una ragazza con un attentato. Il governo del Cairo aveva mobilitato buona parte della regione, dell’Africa del nord e del medio oriente contro l’Eij, bollato come gruppo perverso e malefico. Aveva usato fotografie e filmati del funerale della ragazza ammazzata per rendere l’Eij così odiato da far temere ai terroristi più l’opinione pubblica che i militari egiziani. L’Eij era così fuggito a Peshawar, per diventare parte di al Qaida con Bin Laden. Se il governo egiziano è riuscito a raggiungere questo successo di marketing con una sola vittima, anche il mondo occidentale sarebbe riuscito a fare una cosa del genere? Possibile, anche se gli Stati Uniti non se la cavano molto bene con questo tipo di “marketing strategico”. Nonostante la logica del “fatevi sotto” abbia svelato il nichilismo di al Qaida, alcuni sostengono che la nostra presenza in Iraq e in Afghanistan sia più influente della reputazione negativa dei terroristi. Ci sono prove, almeno a livello aneddotico, che mostrano come la presenza di truppe americane in Iraq abbia portato molti musulmani disinteressati e moderati a sostenere la violenza. Ma c’è un dato di fatto imprescindibile: se al Qaida vuole vincere, deve “sconfiggere” i musulmani in Iraq, visto che ha dichiarato – e continua a farlo – che l’Iraq è il centro della lotta all’occidente. In altre parole, il campo di battaglia di al Qaida non è più New York, ma l’Iraq, dove al Qaida deve uccidere ancora molti musulmani. L’Iraq dà energia ad al Qaida, che ha deviato la sua lotta contro uno stato musulmano spazzando via la convizione islamica che i mezzi dei terroristi sono sì estremi, ma comunque necessari: dopotutto, sono diretti contro l’occidente perché l’occidente se lo merita. Finché al Qaida non vincerà in Iraq e in Afghanistan, non avrà nessuna possibilità di vincere contro l’occidente. Per vincere in Iraq e in Afghanistan fanno saltare in aria migliaia di musulmani. Proprio questo gli impedirà di vincere. La strategia del “fatevi sotto” potrebbe essere stata accidentalmente intelligente. Noman Benotman, l’ex leader del Gruppo combattente islamico libico, è un ex jihadista che ha combattuto al fianco di Osama bin Laden in Afghanistan nei primi anni Novanta. Scontento dei piani di Bin Laden di attaccare gli Stati Uniti, Benotman aveva detto a una conferenza di al Qaida nel 2000 che la priorità sarebbe stata combattere il “nemico vicino”, cioè gli stati islamici corrotti, piuttosto che il “nemico lontano”, l’occidente. Negli anni a seguire, Benotman è stato sempre più deluso dagli attacchi di al Qaida contro i civili. Ha formalmente criticato l’organizzazione terroristica nel 2007 con una lettera pubblica ad al Zawahiri. L’abiura di Benotman è stato un evento notevole per i media arabi, ma non ha avuto molta risonanza nel mondo occidentale. Il dibattito sulla scelta fra il “nemico vicino” e quello “lontano” all’interno di al Qaida va al di là di questo singolo caso. Fin dai primi tempi, i salafiti avevano discusso sull’obiettivo di attaccare per primi. Bin Laden aveva messo fine alle discussioni interne preparando l’attentato alle Torri gemelle. Ma il presidente Bush ha fatto in modo che le attenzioni di al Qaida si rivolgessero di nuovo al “nemico vicino”, l’Iraq. Due anni e mezzo dopo l’11 settembre, è lì che al Qaida si è impantanata. Ironicamente, l’invito a “farsi avanti” ha deviato la guerra all’occidente sul terreno del “nemico vicino”, lo stato islamico dell’Iraq, apostata e corrotto. Dichiarando che il fronte comune della guerra all’occidente era Baghdad, i terroristi hanno involontariamente assunto il “nemico vicino” come priorità strategica. E’ probabile che la leadership di al Qaida non si sia nemmeno accorta di ciò che le sue decisioni comportavano. Benotman ha affrontato di nuovo i vertici di al Qaida nel novembre 2009, quando il Gruppo combattente islamico libico ha scritto un nuovo codice di condotta per il jihad, un documento di 417 pagine, a carattere religioso, intitolato “Studi correttivi”. Le norme sfidano apertamente al Qaida, replicando alla sua strategia irachena: “Il jihad ha un’etica e una morale perché è fatto per Dio. Questo significa che è proibito uccidere donne, bambini, anziani, preti, messaggeri, commercianti e simili. Il tradimento è proibito ed è di importanza vitale mantenere le promesse e trattare bene i prigionieri di guerra. Il rispetto di questa etica è ciò che distingue il jihad musulmano dalle guerre delle altre nazioni”. L’esperienza di al Qaida in Iraq potrebbe essere soltanto l’inizio: una dimostrazione clamorosa del nichilismo di al Qaida, delle sue pulsioni autodistruttive e del fallimento della sua grammatica. L’Iraq insegna una lezione su ognuno dei sei punti per contrastare al Qaida. Molti membri di al Qaida hanno abbandonato al Qaida in Iraq (Aqi) e molti seguaci sunniti l’hanno criticata; non c’è alcun bisogno di inventare storie sugli abusi dei jihadisti in Iraq: all’occidente basta metterli in evidenza, ricordando a tutti i musulmani che tali crimini sono emblematici di al Qaida, tanto da esserne una parte fondante; stare dalla parte di al Qaida significa essere a favore della morte dilagante. Non solo ci sono state numerose fatwa contro l’11 settembre e gli attentati suicidi, ma il Gran Muftì dell’Arabia Saudita ha denunciato gli abusi di al Qaida, in particolare in Iraq. Molte voci influenti che prima difendevano al Qaida si sono scagliate contro l’organizzazione terroristica, soprattutto per le violenze in Iraq; i movimenti islamici ora non possono non legare al Qaida alle sue violenze in Iraq e perciò devono decidere se è questo il tipo di azione che vogliono sostenere; i vertici intellettuali di al Qaida ora sono sulla difensiva, dati i disastri e i numerosi abusi gratuiti perpetrati in Iraq; il dissenso ideologico fra i leader di al Qaida è manifestato dagli stessi musulmani e dai dibattiti sui loro blog militanti. Al Qaida rischia di perdere buona parte della propria credibilità ideologica a causa del fallimento in Iraq. La strategia del “fatevi sotto” è riuscita a portare al Qaida in Iraq, dove ha dimostrato la sua vera natura, il che ha minato la legittimità dell’organizzazione più velocemente che non se avesse bombardato centri commerciali in tutto il mondo per dieci anni. In Iraq si è combattuta la guerra contro l’occidente, ma in modalità accelerata. Il conflitto ha anche smentito Bin Laden, che diceva ai suoi seguaci che gli Stati Uniti erano una tigre di carta. Al Qaida ha avuto il teatro che desiderava e il mondo – specialmente il mondo musulmano – si è capovolto. L’ostilità contro al Qaida è cresciuta a tal punto che nell’aprile 2008 il numero due, Ayman al Zawahiri, ha dovuto giustificare l’uccisione di musulmani dicendo che i soldati occidentali li usavano come scudi umani. Durante un forum su Internet è stato sommerso di domande sulla legittimità di uccidere musulmani per il jihad. Lui ha risposto che nessun musulmano innocente era stato ucciso – era tutta “propaganda dei crociati e degli ebrei” – e anche nel caso fosse capitato, la colpa era certamente dell’occidente. La liberazione dell’Iraq ha portato alla radicalizzazione di migliaia di persone che non si sarebbero altrimenti avvicinate alla violenza? Sì. La guerra e il surge hanno causato la morte di migliaia di questi estremisti radicalizzati? Sì. La guerra ha fatto convergere questi nuovi estremisti – insieme con quelli vecchi – in Iraq, portandoli via dai loro paesi sparsi per il mondo? Molto probabile. Quindi l’Iraq ha complessivamente danneggiato al Qaida più di quanto l’abbia aiutata? E’ difficile adottare un metodo sicuro per una valutazione globale, ma la carenza di attacchi di al Qaida negli Stati Uniti, in Europa e in Asia suggerisce che la risposta è sì: ha danneggiato al Qaida più di quanto l’abbia favorita. Di certo si può fare un’osservazione: l’Iraq è stata una notevole sconfitta fisica e ideologica per il terrorismo islamico. Al Qaida continua a rappresentare in tutto il mondo una minaccia per gli Stati Uniti e i suoi alleati. Continua a pianificare attacchi terroristici nel mondo occidentale e aspira ad acquisire armi di distruzione di massa, che sarebbero molto probabilmente usate contro l’occidente senza esitazioni. Il “centro di gravità” della nostra guerra contro al Qaida – un gruppo di frange estremiste, senza supporto statale, che porta un messaggio nichilista – è la nostra lotta globale alla sua legittimità e alla percezione dell’occidente nel mondo musulmano. Questo resta il “fronte” del conflitto, con l’obiettivo di fare cessare le adesioni ad al Qaida, perché la resistenza è vinta quando nessuno sceglie di arruolarsi nelle sue fila. Al Qaida esiste e cresce se può usare il pretesto che l’occidente è in guerra contro di lei. Gli Stati Uniti devono combattere al Qaida globalmente: con la forza, dove necessario, e con azioni che smantellino la narrativa di al Qaida secondo cui siamo in guerra con tutti gli islamici. Se al Qaida aiuta a minare la sua stessa legittimità, tanto meglio. Non c’è uno scontro di civiltà, perché al Qaida avanza sull’assenza di civiltà. Giusto per essere chiari: al Qaida non è morta. Le aree tribali del Pakistan sono un paradiso per i vertici di al Qaida e per chi prepara attacchi terroristici su scala internazionale. Ma Bin Laden ha fallito in Iraq. Lo scontro degli Stati Uniti con gli estremisti violenti in Iraq è servito a rivelare al Qaida in una prospettiva che può essere cruciale per arrivare al suo decesso globale. Se questo meccanismo darà prova di essere vero, il sacrificio americano non sarà stato vano: sarà anche storicamente decisivo.
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