Rinviata la condanna a morte per lapidazione di Sakineh. Riprendiamo l'editoriale del FOGLIO di oggi, 09/09/2010, a pag. 3, dal titolo " Oltre Sakineh "
La manifestazione a Roma
A volte le campagne sui diritti umani funzionano. Ieri le autorità iraniane hanno sospeso la sentenza di lapidazione per Sakineh, la donna condannata per “adulterio”. Dobbiamo rallegrarci quando le piazze europee, gli appelli sui giornali e le adunate umanitarie sortiscono simili effetti. Non è certo facile costruire una capacità di persuasione nei confronti del regime iraniano e della sua “giustizia”. Il ministro degli Esteri dei mullah, Manouchehr Mottaki, ha appena dichiarato al settimanale tedesco Der Spiegel che “nessuno in Iran viene immpiccato per ragioni politiche”. Allora sarebbe bello adesso che chi ha lottato per la vita di Sakineh non distogliesse lo sguardo dalla sorte di due dissidenti che ieri a Teheran sono stati condannati a morte. La deterrenza politica e ideologica mostrata in occidente per Sakineh deve ricordare al regime iraniano che non lasceremo soli i sette dissidenti che aspettano di essere impiccati a Teheran: Ja’far Kazemi, Javad Lari, Mohammad Ali Haj Aghaei, Ali Saremi, Abdolreza Ghanbari, Ahmad e Mohsen Daneshpour Moghaddam. I dissidenti che sfidano le Guardie della Rivoluzione e piangono morti, feriti, picchiati, rapiti, hanno bisogno della nostra solidarietà. Il nostro appoggio a quei giovani in catene, alla loro vitalità e contagiosa libertà, non piegherà certo l’estremismo degli ayatollah, ma darà il chiaro segnale all’opposizione iraniana che il mondo libero desidera un cambio di regime e che esige la fine della sfida atomica iraniana. Abbiamo un interesse morale e strategico perché rimanga in vita un movimento di dissidenza interno alla Rivoluzione islamica. Senza le fotografie e le denunce degli oppositori sarebbe infatti molto più difficile venire a conoscenza degli stessi reattori nucleari segreti. Secondo il gruppo “Iran Human Rights”, il regime usa le esecuzioni per ristabilire un clima di terrore. Un nostro abbandono sarebbe così grave da risultare fatale per i dissidenti.
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