Chi grida " il Re è nudo " corre da sempre il rischio di essere attaccato da quelli che ne magnificano le vesti. E' successo a Thilo Sarrazin, che nel suo libro ha soltanto detto delle semplici verità sulla prossima islamizzazione dell'Europa. Lo dicono, lo scrivono, le menti più libere, che dispongono ancora di canali sui quali esprimersi, libri, giornali, internet. Un futuro che però viene taciuto dalla quasi totalità dei media europei. Ma, grazie anche a Sarrazin, qualche ostacolo comincia ad essere rimosso.
Due pagine sulla STAMPA di oggi, 06/09/2010, con il titolo decisamente sbagliato " Ora il muro divide i turchi dai tedesci ", Alessandro Alviani affronta almeno il problema. Nelle stesse pagine, anche un'intervista al sociologo Ruud Koopmans, che, a denti stretti, non può fare a meno di riconoscere che uno dei fattori che si oppongono all'integrazione dei musulmani è la religione.
Ecco l'articolo:
Thilo Sarrazin alla presentazione del libro
Un tedesco su cinque, il 18% second il sondaggio pubblicato ieri dalla «Bild am Sonntag», voterebbe per un ipotetico partito di Thilo Sarrazin, il cui libro anti-Islam «La Germania si distrugge da sola» ha scatenato la reazione del mondo politico, ma sta ottenendo un larghissimo consenso dei lettori. Secondo il sondaggio, la denuncia di Sarrazin - gli immigrati musulmani in Germania non riescono a integrarsi e hanno scarsi risultati scolastici - è apprezzata soprattutto fra i sostenitori del partito di estrema sinistra della LinkeIl Muro non c'è più da oltre vent'anni, eppure la Bernauer Straße, la strada simbolo della divisione di Berlino, continua a separare la città. Solo che oggi la linea di demarcazione s'è fatta trasparente, impalpabile. A Sud della Bernauer Straße inizia il quartiere di Mitte: supermercati biologici, bar alla moda, palazzi restaurati da poco per la borghesia tedesca dei creativi. A Nord si aprono invece Wedding e il Brunnenviertel, una delle aree più povere di Berlino: disoccupazione record e palazzoni grigi abitati per lo più da famiglie turche e arabe.
Due mondi opposti
La Bernauer Straße divide due mondi: piuttosto che mandare i loro figli nelle scuole della parte Nord, dove a volte si conta un solo bambino tedesco per classe, i genitori tedeschi che risiedono a Sud preferiscono traslocare in un altro quartiere. È così che in pochi anni la Gustav-Falke-Grundschule, un'elementare di Wedding frequentata al 90% da ragazzini di origini straniere, ha perso la metà degli iscritti. Ed è corsa ai ripari: da quest'anno una classe è riservata ai bambini che dimostrano di saper parlare bene tedesco, superando un apposito test di lingua. Una dimostrazione, forse, che quel «multikulti» di cui Berlino va tanto fiera è fallito? Una conferma che, dopo aver mostrato al mondo una nazionale ricca di talenti di origini turche, tunisine o ghanesi, la Germania si trova ora a dar ragione nei fatti a Thilo Sarrazin e alle sue tesi sulla scarsa integrazione degli immigrati?
«Attenzione: non si può fare di tutta l'erba un fascio - ribatte dal suo ufficio Karin Müller, la preside della Gustav-Falke-Grundschule -. Persino alcuni ragazzini con genitori tedeschi non sono riusciti a superare il nostro test di lingua e tra chi lascia il quartiere non ci sono solo i genitori tedeschi, ma anche quelli turchi più attenti all'istruzione dei loro bambini». Il quadro è insomma molto più sfumato di quanto non facciano pensare le tesi di Sarrazin, che pure stanno riscuotendo grande successo tra i tedeschi. Non è vero, ad esempio, che il Paese rischia di essere invaso dagli immigrati musulmani, come avverte Sarrazin: nel 2000 i turchi emigrati in Germania erano 10.130 in più rispetto a quelli che l'hanno abbandonata; oggi invece i turchi che se ne vanno sono più di quelli che arrivano.
La seconda generazione
Altre statistiche sembrano invece dare ragione al banchiere che la Bundesbank vorrebbe cacciare. La percentuale di cittadini di origini turche che ricevono i sussidi di disoccupazione è doppia rispetto a quella dei tedeschi. E circa un quarto dei tre milioni di turchi che vivono in Germania non ha un titolo di studio, mentre i tedeschi non superano il 2%. È anche sulla base di indicatori come questi che l'anno scorso l'Istituto berlinese per la popolazione e lo sviluppo è arrivato a una conclusione netta: confrontando il grado di integrazione di vari gruppi di immigrati, i turchi «sono quelli che se la cavano di gran lunga peggio».
«La seconda generazione di turchi se la cava sì meglio della prima, ma peggio, ad esempio, della seconda generazione degli immigrati italiani», spiega l'autrice dello studio, Franziska Woellert. Ma non ci sono solo le difficoltà degli immigrati, dice. Ci sono anche gli errori - non pochi - della Germania: «Non siamo riusciti ad attirare i turchi meglio qualificati, che vanno invece negli Stati Uniti, in Canada, in Australia». Per decenni la Repubblica federale si è rifiutata di riconoscersi come un «Paese di immigrazione» ed è rimasta prigioniera della convinzione che prima o poi i «Gastarbeiter» reclutati nelle zone più povere della Turchia sarebbero tornati a casa. Un'idea che ha portato a investire poco o nulla nell'istruzione e nell'integrazione dei nuovi arrivati.
Un altro errore, nota la preside Karin Müller, è «aver consentire in passato agli immigrati di andare a vivere solo in determinati quartieri, come Kreuzberg o Neukölln». Col risultato che oggi le Neukölln, zone in cui si può fare la spesa o andare dal medico senza conoscere una sola parola di tedesco, si sono moltiplicate: si chiamano Veddel ad Amburgo, Marxloh a Duisburg, Westend a Monaco.
Una vita discriminati
Poi ci sono i problemi di discriminazione sul mercato del lavoro: ancora oggi, quando fanno domanda d'assunzione, gli Özcan o Ahmet partono svantaggiati per il solo fatto di avere un nome turco. La Germania è costretta ora a correre per recuperare il tempo perduto. «Ci vorrà almeno un'altra generazione» per giungere a una piena integrazione dei cittadini di origini turche, prevede la Woellert.
Nel frattempo i tedeschi continueranno a risolvere la situazione a modo loro. Thomas Schumann siede nell'ufficio della scuola di cui è preside da tre anni, la Herbert-Hoover-Schule a Wedding, 350 iscritti, di cui 14 tedeschi. «Il 90% dei nostri studenti sono nati a Berlino, ma molti di loro hanno grosse carenze e necessitano di ore supplementari di lingua tedesca», racconta. Anche per questo a inizio anno i ragazzi devono firmare un breve contratto: «Durante le lezioni e l'orario scolastico, anche nelle pause, parlo esclusivamente tedesco», si legge al punto 6; «mi presento alle lezioni regolarmente e puntualmente», spiega il punto 3.
Manderebbe suo figlio nella scuola che dirige? Schumann non esita un istante: «No, non lo prenderei. Mio figlio è grande, ha lui stesso un bambino. E lo manderà probabilmente in una scuola privata».
Per inviare alla Stampa la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante.