...si versa sangue su sangue (Osea, 4,2)
di Mordechai Kedar
(traduzione e adattamento di Antonella Donzelli e Avi Kretzo)
Mordechai Kedar
Questa settimana, nella notte tra martedì e mercoledì, presso la città di Hebron, in Israele, sono stati assassinati a sangue freddo, dalle armi di Hamas, i coniugi Isacco e Talia Ims, Cohava Even Haim e Avishai Schindler, che Dio vendichi il loro sangue. I killer hanno lasciato dietro di sé sette orfani e settantasette interrogativi sul prossimo futuro, se lo stato palestinese verrà fondato secondo le modalità di cui si è parlato a Washington in questi giorni.
La scena del terribile massacro è destinata a ripetersi con altre vittime innocenti lungo la Superstrada numero sei che in gran parte passa accanto a covi di terroristi. Intorno a Gerusalemme altri assassini tenderanno imboscate su ogni colle e dietro ogni albero per sparare sulle case e nelle vie delle città. La pianura costiera e Emek Israel saranno un obiettivo costante per mortai, razzi Qassam e fuoco di mitragliatrici. Chi può garantire che questo probabile scenario non si configurerà? C'è qualcuno che si assumerà la responsabilità di errori tanto prevedibili? Anche questa volta qualcuno oserà definire questi morti “vittime della pace”, come se la pace pretendesse vittime sacrificali.
Ogni soluzione che permetterà agli assassini di Giudea e Samaria di restare in contatto con i ‘colleghi’ di Gaza, ogni assetto territoriale che includerà Hebron e Jenin in un unico contesto terroristico saranno una ricetta sicura che consentirà ai nemici di Israele di tracciare una linea di sangue continua.
Dopo ogni attentato i terroristi danno a se stessi un nome diverso dichiarando al mondo: “non siamo stati noi, sono stati gli altri”, dividendosi tra loro, lontano dai riflettori, il ruolo di “buoni” e quello di “cattivi”. Pubblicamente, sui mass media essi si attaccano a vicenda, mentre in segreto si suddividono compiti e missioni: mentre una fazione dialoga con noi, un’altra ci spara addosso, accertandosi della nostra morte, come hanno fatto questa settimana con i feriti, finendoli.
I nostri nemici confidano nella nostra memoria corta e nella nostra ossessione di trovare partner per una convivenza pacifica. Da Abu Mazen a Ismail Haniyeh, da Salam Fayyad a Khaled Mashaal, essi non sono disposti a riconoscere Israele come la nazione del popolo ebraico, negano il suo diritto a uno stato e negano anche la sua storia nel paese dei suoi antenati.
I popoli Arabi sono figli di tribù nomadi che hanno conquistato questo territorio 1400 anni fa, imponendo la legge del deserto e depredando persino la storia d’Israele, con la patetica pretesa di discendere dai Gebusei.
Non è mai apparsa tanto azzeccata la promessa che Dio fece ad Agar riguardo suo figlio Ismaele "…Egli sarà come un onagro (selvaggio, n.d.t.) ; la sua mano sarà contro tutti e la mano di tutti contro di lui…" (Genesi, 16,12). Questi selvaggi diventeranno buoni vicini - tra loro e con noi – ‘soltanto quando l’Etiope (il nero, n.d.t.) cambierà la sua pelle e il leopardo la sua picchiettatura’ (vedi Geremia, 13,23).
Ogni volta che tra questi nostri vicini scoppierà una controversia per la cosa più banale, essi volgeranno il loro fuoco verso di noi mentre tra noi ci sarà sempre qualcuno che si batterà il petto recitando “Mea culpa”.
I palestinesi discutono tra loro se il loro sarà uno stato terrorista sotto la guida dell’OLP oppure di Hamas e ognuna di queste due parti vorrà mostrare la propria supremazia uccidendo ebrei. Questa è esattamente la situazione a Gaza, in Iraq, Somalia, Yemen, Afghanistan e Pakistan, paesi nei quali regna una "razza di uomini peccatori” (Numeri, 32,22), per i quali la vita umana non ha nessun valore. Chi s’illude che gli accordi con i Palestinesi faranno sì che “Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto… “ (Isaia, 11,6) non è altro che un delirante sognatore.
Le immagini terribili delle vittime del terrorismo si moltiplicheranno quanto più noi ci fideremo di accordi e intese con i Palestinesi e quanto più trasferiremo ad essi la responsabilità della nostra sicurezza e daremo ad essi il potere di imporre la legge e l’ordine nel loro territorio. L’orribile esecuzione di questa settimana era da prevedere. Ogni volta che ‘i buoni’ tra loro siedono con noi al tavolo delle trattative per estorcere pezzi di terra e brandelli di sovranità, ‘i cattivi’ ci uccidono per ottenere una fetta di torta del potere. Essi non si amano l’un l’altro, ma hanno lo stesso obiettivo strategico.
L’unico modo per assicurarci una vita dignitosa in quest’area è la creazione di uno stato-tribù separato e isolato in ciascuna delle sette città arabe in Giudea e Samaria (West Bank): Jenin, Nablus, Tulkarem, Qalqilya, Ramallah, Gerico e la parte araba di Hebron. E affinché queste non diventino teatro continuo di terrorismo, tutta la zona rurale tra queste città deve restare per sempre sotto il governo israeliano.
Soltanto il controllo israeliano dalle alture sulle basi terroristiche ci consentirà di vivere nel nostro Paese una vita normale, nonostante l’ambiente che ci circonda ci sia avverso. Qualsiasi altra soluzione ci condannerà a continuare a subire la jihad iniziata contro gli Ebrei novant’anni fa, il 1 maggio 1921, con i pogrom di Giaffa, e che continua ancor oggi.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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