Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 01/09/2010, a pag. 41, la risposta di Sergio Romano ad un lettore dal titolo " Le prediche antisemite del cardinale Mindszenty ".
Il lettore si riferisce a una lettera precedente pubblicata sul Corriere della Sera del 29/07/2010. Per leggerla, cliccare sul link sottostante:
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=110&id=35787
E' da notare come, anche in questo caso, Romano perseveri nell'assolvere il cardinale Mindszenty dalle accuse di antisemitismo, minimizzandone la portata : " Viveva allora in Ungheria una forte comunità ebraica e Budapest era spesso chiamata ironicamente Judapest. Vi era certamente nel Paese, come in Austria, parecchio antisemitismo, ma questo non aveva impedito agli ebrei di raggiungere posizioni eminenti nel mondo accademico e nelle libere professioni. ". Questa frase ha dell'incredibile...sì, c'era antisemitismo, ma nonostante tutto gli ebrei erano riusciti a raggiungere delle posizioni importanti. Che cos'altro potevano desiderare? Un po' di potere val bene l'odio antisemita della società. Questa la tesi di Romano, che continua scrivendo : "L’antisemitismo fu una brutta pagina di storia europea, ma non mi sembrerebbe giusto scaricare le responsabilità del genocidio su chiunque abbia criticato gli ebrei, anche ingiustamente, negli anni precedenti.". Se la Shoah c'è stata, non è stato solo per l'odio antisemita dei regimi nazifascisti. Quello antisemita era un clima diffuso in Europa. E' riduttivo descrivere la Shoah come un evento legato alla follia di pochi individui.
Romano scrive : "Quando parliamo di un personaggio storico e descriviamo i suoi errori abbiamo l’obbligo di completare il quadro con le altre fasi della sua vita e, nel caso di Mindsenty, con il caparbio coraggio di cui dette prova in difesa della sua Chiesa contro il regime comunista nell’Ungheria del secondo dopoguerra.". Il fatto che Mindszenty abbia compiuto una vasta parabola politica nella sua vita non può assolverlo dal suo antisemitismo.
L'antisemitismo non è una fase della sua vita, come l'anticomunismo.
Ecco lettera e risposta di Sergio Romano:
Sergio Romano, cardinale Mindszenty
La sua pubblicazione della lettera del dr. Casarini (Corriere del 29 luglio), pecca, almeno, per due gravi colpe: 1) Lei ha tagliato la lettera (come forse era necessità), ma lo ha fatto in un modo che ne ha stravolto completamente il senso. Forse lei non era in grado di rispondere al quesito del lettore, ma allora sarebbe stato più corretto, da parte sua, non pubblicarla. Il lettore bnon le aveva affatto esposto il quesito che lei ha esposto ai lettori. 2) Lei, nella sua conclusione, in quelle ultime parole di assoluzione del cardinale, si erge a giudice. Mi permetta di chiederle in grazia di che cosa lei si concede tale ruolo.
Emanuel Segre Amar
segreamar@fastwebnet.it
Caro Segre Amar,
La lettera a cui lei si riferisce ricordava anzitutto uno scambio epistolare che l’autore ha avuto su questa pagina, a proposito del cardinale Mindszenty, con Indro Montanelli. La lettera era molto lunga e conteneva un simpatico giudizio di Montanelli su di me che mi sembrò poco elegante pubblicare. Mi sono limitato quindi ai due temi della lettera: il cambiamento del nome, da Pehm a Mindszenty, e il tono anti-ebraico delle sue prediche nel primo dopoguerra. Con un richiamo all’autobiografia di uno scrittore franco-ungherese, François Fejtö, ho confermato che Mindszenty è nato Josef Pehm e ha cambiato il suo nome dopo la Grande Guerra. Una lettrice, Alice Esherhazy Malfatti di Montetretto, mi ha scritto che Mindszenty significa Ognissanti e che il cambiamento del nome tedesco sarebbe avvenuto nel 1941 quando il prelato, non ancora cardinale e dichiaratamente anti-nazista, volle così ripudiare la componente austro-germanica della sua famiglia.
Sulle prediche anti-ebraiche non ho molto da aggiungere. Viveva allora in Ungheria una forte comunità ebraica e Budapest era spesso chiamata ironicamente Judapest. Vi era certamente nel Paese, come in Austria, parecchio antisemitismo, ma questo non aveva impedito agli ebrei di raggiungere posizioni eminenti nel mondo accademico e nelle libere professioni. La situazione peggiorò dopo la rivoluzione bolscevica quando tutti (e fra i primi gli stessi membri della borghesia ebraica) furono sorpresi e sconcertati dallo sproporzionato numero di ebrei presenti ai vertici del partito comunista: 32 commissari del popolo su 45. Non conosco il testo delle prediche di don Pehm, ma so che era stato messo in prigione dai rivoluzionari e suppongo che le sue parole riflettessero il clima del Paese in quel momento. L’antisemitismo fu una brutta pagina di storia europea, ma non mi sembrerebbe giusto scaricare le responsabilità del genocidio su chiunque abbia criticato gli ebrei, anche ingiustamente, negli anni precedenti.
Non mi sembrerebbe giusto, inoltre, inchiodare Mindszenty al ricordo delle sue prediche anti-ebraiche del primo dopoguerra. Quando parliamo di un personaggio storico e descriviamo i suoi errori abbiamo l’obbligo di completare il quadro con le altre fasi della sua vita e, nel caso di Mindsenty, con il caparbio coraggio di cui dette prova in difesa della sua Chiesa contro il regime comunista nell’Ungheria del secondo dopoguerra. Quando litigò con gli amici della Voce e lasciò il giornale di Giuseppe Prezzolini, Gaetano Salvemini disse: «Se ho da dirvi due verità e voi mi costringete a dirne soltanto una, mi obbligate a mentire».
Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante