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La Stampa Rassegna Stampa
29.08.2010 Rula Jebreal, giornalista specializzata nell'odio per Israele
L'intervista di Alain Elkann

Testata: La Stampa
Data: 29 agosto 2010
Pagina: 31
Autore: Alain Elkann
Titolo: «Non c'è pace se non c'è diplomazia»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 29/08/2010, a pag. 31, l'intervista di Alain Elkann a Rula Jebreal dal titolo " Non c'è pace se non c'è diplomazia ".


Rula Jebreal

Rula Jebreal è nata e cresciuta a Haifa, dove viveva e dove ha studiato. Poi si è scoperta palestinese e ha svolto in Italia la professione di giornalista specializzandosi nella propaganda contro Israele. Adesso vive a New York. bisognerebbe dirle che se Bibi a Abu Mazen si mettono d'accordo, nascerà lo stato palestinese, quale occasione migliore per lei, ci ritorni e faccia lì, nel nuovo stato di Palestina, la giornalista. Basta con l'Italia o con New York, sarà Ramallah il suo futuro. Si accettano scommesse. 
Per saperne di più su di lei, scrivere il suo nome in HP a destra in altro cerca nel sito.
Ecco l'articolo:

Rula, qualche anno fa ha pubblicato il suo libro «Miral», editore Rizzoli. L’artista newyorkese Julian Schnabel ne ha tratto un film che verrà presentato a Venezia. Che storia racconta, la sua vita?
«No, la vita di quattro donne diverse, con destini intrecciati. È ambientato a Gerusalemme in un periodo storico particolare che va dal 1948 al 1993, e viene raccontato un Paese in stato permanente di conflitto, che ha influenzato la vita di quattro generazioni diverse. Il libro comincia con la nascita dello stato di Israele e finisce con gli accordi di pace di Oslo, quindi l’inizio e la fine del film sono positivi, i passaggi intermedi travagliati».
Secondo lei è stato difficile per un artista ebreo come Schnabel entrare in una storia vista dall’occhio di una donna palestinese?
«Una cosa che accomuna tanti artisti, e tra questi Julian, è la grande umanità che li porta a guardare gli altri come uguali. Quello che considera giusto per se stesso lo considera anche per gli altri».
Ma i palestinesi come li guarda?
«Guarda ai fatti al di là delle piccole storie che racconta. C’è un dramma tra due popoli ma alla fine del film descrive la pace. Si parla della sofferenza umana, ma lui non punta mai il dito contro qualcuno in particolare».
Questo film andrà in concorso nei prossimi giorni a Venezia. Siete emozionati, ansiosi?
«Io sono molto felice perché l’Italia è il mio Paese, un luogo simbolico anche se oggi vivo a New York. Mia figlia, Miral, è nata in Italia, il mio libro è stato pubblicato nel 2003 in Italia, sono onorata che il mio film sia stato accettato a Venezia».
Come si trova Rula a New York?
«Bene, anche se viaggio moltissimo. È una città cosmopolita dove le diversità sono ricchezza culturale e artistica, non ti senti straniero. New York ti accoglie per quello che sei».
Segue ancora la politica italiana?
«Molto. Vado on-line, leggo tutti i giornali e guardo anche il tg su RaiUno. Ormai sono italo-palestinese, non più palestinese, seguo tutto con passione e mi arrabbio quando mi capita di sentire commenti disdicevoli sull’immagine dell’Italia».
Come vedono la nostra politica negli Stati Uniti?
«Gli americani sanno poco di politica estera. La mia idea è che non sono veramente interessati al resto del mondo se non a quei Paesi dove hanno i loro militari, come Afghanistan e Iraq. Gli americani sono più interessati ai fatti interni del loro Paese e alle questioni economiche».
Cosa ne pensa della moschea a Ground Zero?
«Ovvio che ci sia paura verso la comunità musulmana, soprattutto negli Stati Uniti. Ground Zero forse è un luogo troppo simbolico, ma se non si dà la possibilità di culto esplode l’intolleranza. Meglio la moschea alla luce del sole che in un garage».
Suo padre, così si capisce dal film, era anche un imam?
«Sì, era un uomo umile, guardiano della moschea, giardiniere e piccolo imam: mi ha insegnato una regola unica: che il rischio e il pericolo non è mai nei libri sacri ma nella testa di chi li interpreta».
Cosa pensa di quanto accade oggi in Medio Oriente, 19 anni circa dopo la fine della storia del suo film?
«Dopo gli accordi di Oslo con cui finisce il film le cose non sono migliorate. Quello che succede oggi è la conseguenza di una sola ottica: quella militare, non quella diplomatica e politica. La politica è marginale oggi, l’attore principale è la violenza».
Ahmadinejad secondo lei non fa politica?
«Non ha nessun pensiero politico, prevale l’ottica militare in ogni caso. L’atomica e non lo sviluppo culturale ed economico».
E anche l’odio verso Israele?
«Ogni violenza arriva, lo ripeto, dal fatto che la politica è fallita, l’ascesa di molti movimenti islamici è dovuta alla violenza. Violenza porta violenza e non tolleranza, e in questo caso parlo di tutti gli attori della regione».
E quindi che cosa succederà?
«Io ho fiducia negli esseri umani. Siamo riusciti a rigenerarci molte volte, la Germania dopo la Seconda guerra mondiale è stata distrutta e ricostruita. Bisogna che la politica torni ad essere protagonista in Medio Oriente».
E Obama?
«È un’opportunità, una possibilità,ma non può fare tutto. Non può avere tutte le responsabilità. Può suggerire come ha sempre fatto ma bisogna che chi ascolta, e cioè gli attori locali, non siano sordi».
Rula è soddisfatta del film, gli attori sono bravi?
«Sono soddisfattissima, gli attori sono straordinari tutti, ma soprattutto la mia soddisfazione è di vedere arabi ed ebrei che lavorano per un progetto comune di pace».
Ha dei nuovi progetti?
«Sto scrivendo il sequel di “Miral” che finirò tra circa un anno».
Scrive sempre in italiano?
«Sì, è diventata la mia lingua. Vivo a New York ma sogno in italiano».

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