Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 28/08/2010, a pag. 1-21, l'articolo di Vittorio Zucconi dal titolo " Carter, piccolo presidente diventato Grande da ex".
Vittorio Zucconi descrive in maniera ottimistica la figura dell'ex presidente americano Jimmy Carter. il titolo esatto doveva essere " Carter, piccolo presidente, diventato ancora più puccolo da ex".
Con la frase : "Jimmy Carter cerca, dall´anno della sua umiliante sconfitta contro Reagan, le vie del riscatto " gli attribuisce una consapevolezza (che non ha) del fatto che la sua presidenza sia stata per gli Usa un disastro.
Qualche mese fa IL SOLE 24 ORE pubblicò un suo articolo (riportato e criticato da IC). Leggendo le sue parole si comprende chiaramente quanto l'ex presidente sia soddisfatto delle sue azioni (per leggerlo cliccare su http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=11&sez=110&id=33552).
Zucconi scrive : "Si è adoperato invano, come tutti, per il Medio Oriente, la terra nella quale aveva ottenuto il suo più limpido e duraturo successo, con la pace definitiva fra Sadat e Begin, tra Egitto e Israele, che costò la via al raìs egiziano.
Cercò, per la collera degli israeliani e del governo di Washington, di parlare e ragionare con Hamas a Gaza, convinto che si tratti con i nemici, non con gli amici, per arrivare a una soluzione.". Trattare coi nemici è un conto, appoggiare Hamas, un altro. Jimmy Carter sostiene che Israele sia uno Stato di apartheid, non appoggia l'unica democrazia mediorientale e sostiene il riarmo di Hamas. In ogni caso la decisione di quali siano i suoi interlocutori per la pace spetta a Israele, non a Jimmy Carter.
All'inizio del pezzo, Zucconi scrive : " Da presidente fu mediocre e non riuscì a salvare l´America,(...) ma da grande ex presidente salva gli americani uno alla volta ". Non c'è nessuna differenza tra il periodo in cui Carter è stato presidente e quello successivo. Carter è sempre uguale, un disastro in politica estera, sempre pronto a schierarsi con Hamas e i nemici di Israele.
E una disgrazia per gli Usa, basta pensare al suo comportamento con l'Iran di Khomeini per tutto il tempo in cui il personale dell'ambasciata americana fu ostaggio dell'ayatollah.
Ecco l'articolo:
Vittorio Zucconi, Jimmy Carter
Da presidente fu mediocre e non riuscì a salvare l´America, Jimmy Carter il Pio che fabbricava seggiole per hobby come il suo Divino Maestro, ma da grande ex presidente salva gli americani uno alla volta, magari strappandoli alle grinfie dei nordcoreani. A quasi 86 anni, un´età nella quale potrebbe dignitosamente ritirarsi nella piccola chiesa Battista fra i noci della natia Plains, in Georgia, ha affrontato il lungo e sgradevole viaggio in Corea del Nord. Ha negoziato con gli altrettanto sgradevoli dirigenti comunisti di Pyongyang e ha riportato a casa ieri l´ennesima pecorella smarrita, un attivista evangelico americano di colore, dunque facilmente individuabile nella monotonia etnica di quel popolo. Era stato arrestato e condannato a otto anni di lavori forzati mentre osava predicare il Vangelo nella terra degli schiavi oppressi da Kim Jong Il.
Ancor più di una lodevole missione umanitaria, o di una testimonianza di pace nella terra degli infedeli negatori, quest´ultima avventura di James Earl Carter, il 39esimo presidente degli Stati Uniti, più noto alle folle come «Jimmy il Dentone» per la sensazionale dentatura equina, è la spia del suo inestinguibile bisogno di riscatto post-politico. È una dimostrazione di come, in una democrazia seria dove gli ex restano felicemente ex e non si aggirano come morti viventi nelle terra della politica attiva, un uomo possa continuare a contare e far parlare di sé senza invadere la terra dei vivi.
La missione in Corea di Carter non è la prima e, se la salute e la Provvidenza lo consentiranno, non sarà l´ultima di quelle iniziative che l´ex ingegnere nucleare arruolato sui sottomarini prenderà per soddisfare la sua bruciante ricerca del tempo perduto nei quattro anni amarissimi trascorsi, fra il 1977 e il 1981, alla Casa Bianca.
Unanimemente raccontato e ricordato come un disastro, senza sconti di pena per colpe non sue come la crisi del petrolio che allungò inaudite file di auto davanti ai distributori vuoti e culminò nel dramma umiliante degli ostaggi americani in Iran e della sciagurata missione di salvataggio, Jimmy Carter cerca, dall´anno della sua umiliante sconfitta contro Reagan, le vie del riscatto. Si spende generosamente come privato cittadino, come ex, molto ex, leader politico che il suo stesso partito, il Democratico, evita con cura di esibire nei congressi e di ricordare, essendo uno degli ex capi di stato meno rimpianti nei sondaggi.
Insignito del Nobel per la Pace, quel premio che i giurati tendono spesso ad attribuire un po´ frettolosamente, come provò l´assegnazione a Kissinger, al nord vietnamita Le Duc Tho, ad Arafat e a Barack Obama prima che avesse modo di meritarselo davvero, Carter, sempre fedele al divino imperativo della colomba e sempre affiancato dalla fedele parrucchiera di Plains, Rosalynn, sua coetanea e sposa (unica) dal 1946, non ha mai incontrato una missione impossibile che non lo abbia attratto.
Con gli attrezzi dei carpentiere, la preparazione dell´ingegnere (è laureato al Politecnico della Georgia, oltre che ufficiale di Marina) e l´ambizione implacabile del benefattore, organizzò «Habitat for Humanity», che costruiva gratuitamente abitazioni e mobilio per i senzatetto. Fondò il «Centro Carter» per l´assistenza ai bisognosi, ai lebbrosi, ai sofferenti in tutto il mondo povero, finanziando campagne contro malattie impronunciabili e micidiali che si andava diligentemente a cercare, come filiariasi linfatica, schistosomiasi, oncocerchiasi, dracunculiasi e la classica malaria, che imperversano nelle regioni subtropicali dell´Africa. Ma se neppure il più feroce anticarteriano di destra poteva rimproveragli l´attenzione a crudeli malattie tropicali, Carter è stato irriso e criticato per tutte le iniziative diplomatiche volontariamente intraprese, spesso con più di una codina polemica nei confronti dei successori nello Studio Ovale.
Si è adoperato invano, come tutti, per il Medio Oriente, la terra nella quale aveva ottenuto il suo più limpido e duraturo successo, con la pace definitiva fra Sadat e Begin, tra Egitto e Israele, che costò la via al raìs egiziano.
Cercò, per la collera degli israeliani e del governo di Washington, di parlare e ragionare con Hamas a Gaza, convinto che si tratti con i nemici, non con gli amici, per arrivare a una soluzione. E, come il suo successore portato a estasi meno mistiche, Clinton, ha sempre tentato di lavorare per disinnescare la bomba, metaforica e reale, della Corea del Nord, apertamente dissentendo dalla sterile strategia bushista dell´«Asse delle Canaglie». Erano cristiani militanti entrambi, Carter e Bush il Giovane, ma più sul versante del Dio delle Beatitudini, il georgiano, che sul fronte del Dio Vendicatore della Bibbia caro al texano.
Anche quest´ultima impresa in Corea, per ottenere la grazia dal dittatore Kim e strappare Angelo Mahili Gomes al gulag coreano e a 600 mila dollari di multa per la sua «attività antistato» di evangelizzatore entrato senza documenti, è un altro chiodino piantato nella ricostruzione della propria eredità umana e politica, un altro seme di senape gettato per cancellare il passato, e la letteratura del Presidente Fallito. Si dice a Washington, dove Carter fu sempre guardato come un estraneo paracadutato al potere dai postumi della catastrofe nixoniana e dove ancora oggi è considerato come un battitore libero a volte pericoloso nelle sue iniziative pro-Castro e pro-Chavez, che il miracolo della liberazione sia dovuto alla presenza contemporanea del ministro cinese Wu a Pyongyang. Che dunque sia stata la Cina, dalla quale la Corea dipende per non morire di fame, a intimare al "Caro Leader" di fare un gesto conciliatorio. Così suggerisce il cinismo politico. Ma Jimmy il Carpentiere sa che le vie del Signore, essendo notoriamente infinite, possono passare benissimo anche per la Pechino comunista.
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