lunedi` 25 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
26.08.2010 Essere contro la lettura politicamente corretta dell’islam significa essere razzisti ?
Ecco cos'è successo allo scrittore V. S. Naipaul. Commento di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 26 agosto 2010
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Così il 'razzista' Naipaul è diventato il Nobel più odiato dai liberal»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 26/08/2010, a pag. 2, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "  Così il 'razzista' Naipaul è diventato il Nobel più odiato dai liberal".


V. S. Naipaul

E’da quando V. S. Naipaul ha iniziato a martellare contro la lettura politicamente corretta dell’islam che le “chattering classes” lo accusano di razzismo, bigotteria, intolleranza. Così Naipaul è finito “al centro della più vischiosa guerra letteraria del decennio” (definizione del Daily Mail). Quando a Oslo gli venne assegnato il premio Nobel per la Letteratura, il quotidiano arabo al Hayat accusò il grande scrittore anglo-indiano di “ostilità cronica” verso l’islam. Un altro premio Nobel, l’egiziano Naguib Mahfuz, scrisse che Naipaul “umilia l’islam”. Recluso nella sua magione inglese nello Wiltshire, Naipaul è diventato il premio Nobel che più ha attirato gli strali dell’intellighenzia progressista. “Un paria per l’establishment accademico post coloniale”, come da definizione del New York Times. Adesso è sull’Africa che Naipaul è accusato di razzismo. “Naipaul descrive un continente primitivo e ossessionato dalla messa in pentola degli animali da compagnia”, ha scritto il Sunday Times sotto il titolo di “Il razzista V. S. colpisce ancora”. A firmare la stroncatura è Robert Harris, l’autore di “Fatherland” e del “Ghostwriter”, per il quale Naipaul addirittura “denigra” un continente abitato da un miliardo di persone. “The Masque of Africa” (uscirà per Adelphi in Italia) sarebbe “tossico, grossolano, inaccurato”. In una parola: “Repellente”. Naipaul è addirittura paragonato a Oswald Mosley, il fondatore del Partito fascista britannico. Evelyn Waugh definì Naipaul “quel negretto intelligente”, anche se lo apprezzava come scrittore. Prima di Harris ad accusare di razzismo Naipaul ci aveva pensato l’amico di una vita, Paul Theroux, che tracciò in un libro un ritratto al vetriolo di Naipaul. Lo scrittore sarebbe uno che odia il genere umano, convinto che la maggior parte delle persone siano stupide e banali. E che rifiutò di assegnare il primo premio, durante un concorso letterario a Kampala, perché nessuno era all’altezza, e “non è proprio il caso che gli africani si montino la testa”. I viaggi nel mondo islamico (gli ultimi sono in “Fedeli a oltranza”, Adelphi) hanno procurato a Naipaul nemici tra i musulmani. E poiché lo scrittore è nato a Trinidad da un padre bramino, la polemica ha subito preso i contorni dell’annosa lotta tra indù e musulmani. Lo scrittore è odiatissimo anche da Derek Walcott, altro poeta laureato dell’area caraibica, che in una poesia lo chiama “Mr Nightfall” (signor Crepuscolo) e lo considera alla stregua di un razzista, per alcune affermazioni poco felici sui neri. “La guerra religiosa è alla base dell’islam”, aveva scritto Naipaul dopo le Twin Towers. “Quella è gente (i musulmani, ndr) che non legge molto, è contro la civiltà. Vogliono portare ovunque il silenzio del deserto. In Afghanistan hanno distrutto i vecchi monumenti, hanno fatto tabula rasa della loro storia. Non c’è mai stato imperialismo come quello dell’islam. Cerca, come atto di fede, di cancellare il passato e alla fine i credenti non hanno nulla a cui tornare. Soltanto le sabbie dell’Arabia sono sacre. Nei paesi dove fanno regnare la loro fede sono riusciti a far regnare quel silenzio”. Ce n’è abbastanza per essere bandito dai salotti di Londra. A domanda se anche quello di Bush sia un conflitto religioso, Naipaul risponde: “No, lui vuole punire il fanatismo, che non si deve cercare di capire, al quale non ci si deve adattare. Non ci sono negoziati possibili con il fanatismo. Bisognerebbe far pagare per tutti i danni provocati. Bisognerebbe esigere dei risarcimenti dall’Arabia Saudita, che è alla testa del mondo islamico. Bisognerebbe far pagare tutti i paesi che sostentano il terrorismo o dicono che attaccare l’Afghanistan è come attaccare tutti i paesi musulmani. Bisognerebbe rigirargli l’argomentazione: se c’è un paese attaccato da terroristi islamici, tutti i paesi islamici sono responsabili e devono pagare. Devono pagare per tutti questi morti, per tutte queste vite spezzate, per tutti questi impieghi perduti, per tutti questi edifici distrutti. Non tocca alle vittime pagare: tocca agli aggressori. Purtroppo succede il contrario. Li si ricompensa. L’unica cosa che funziona in un paese come il Pakistan è il manganello”. Ecco spiegato perché, nell’agosto del 2001, un mese prima dell’attentato di New York, il quotidiano Independent dedicò a Naipaul un lungo ritratto dal titolo: “Il flagello dei liberal”. Dopo averlo definito “miglior scrittore inglese vivente”, l’Independent lo liquidava come un “musone reazionario”. Poco prima Naipaul aveva definito John Maynard Keynes “un sodomita” e “uno sfruttatore della povertà”, e il suo compagno, E. M. Forster, “un odioso truffatore”. Di Tony Blair, Naipaul ha detto che ha imposto una “cultura aggressivamente plebea che celebra se stessa per essere plebea”. Il celebre saggista palestinese Edward Said, icona della sinistra filoaraba, ha definito “una catastrofe intellettuale” il celebratissimo libro di Naipaul “Fedeli a oltranza”. Said ha detto di Naipaul che è “un informatore nativo”, “un testimone dell’oppressione occidentale”, un colonialista. Naipaul aveva da poco riversato parole durissime sul multiculturalismo inglese: “Non si può dire, ‘voglio questo paese, voglio leggi e protezione, ma voglio vivere a modo mio’. E’ una specie di racket, questo è il multiculturalismo”. Salman Rushdie lo ha addirittura accusato di essere una “cheerleader” del nazionalismo indù. Immortale resta la sua derisione dei parrucconi universitari: “Diffondono idee su cose che sono determinati a fare accettare. Pubblicano libri per i loro corsi, e questo dà l’illusione di una grande popolarità, sulle idee che travolgono il mondo. Ma non è vero. Le loro idee vivono solo nei sudici volumetti che gli studenti sono obbligati a mettere nelle loro borse”.

Per inviare la propria opinione al Foglio, cliccare sull'e-mail sottostante


lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT