Risse di regime nei palazzi di Teheran, Khamenei sempre più scontento di Ahmadinejad Commenti di Redazione del Foglio, Farian Sabahi
Testata:Il Foglio - Il Sole 24 Ore Autore: La redazione del Foglio - Farian Sabahi Titolo: «Risse di regime nei palazzi di Teheran - Chi Sakineh ferisce di Carlà perisce»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 25/08/2010, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Risse di regime nei palazzi di Teheran ". Dal SOLE 24 ORE,a pag. 12, l'articolo di Farian Sabahi dal titolo " Chi Sakineh ferisce di Carlà perisce ", preceduto dal nostro commento. Ecco gli articoli:
Il FOGLIO - " Risse di regime nei palazzi di Teheran "
Ali Khamenei
Roma. “Kheili asabani”, ossia molto arrabbiato. Così lo descrivono le cronache iraniane delle ultime settimane. L’ayatollah Khamenei è stanco di giocare il ruolo di paciere nelle continue faide tra conservatori pragmatici e falchi. “Ho lanciato un serio monito ai nostri funzionari affinché non rendano pubbliche le loro divergenze di opinione”, ha annunciato a favore di telecamera. Come se, un anno fa, non avesse rinunciato alla sua sbandierata equidistanza tra fucili e turbanti. Ora Khamenei prova a riconquistare l’aplomb del pater familias costringendo i suoi riottosi eredi a siglare la pace. Pochi giorni dopo il richiamo alla solidarietà nazionale, avrebbe riunito il presidente, Mahmoud Ahmadinejad, e il capo del Parlamento, Ali Larijani. E’ seguita una conferenza stampa tutta sorrisi, buoni propositi e pacche sulle spalle. Ma pochi sono pronti a scommettere sulla riconciliazione. Larijani contesta ad Ahmadinejad di bloccare il lavoro del Parlamento e i suoi alleati irridono le politiche economiche del governo. Il presidente non perde occasione per rimarcare le abitudini decadenti delle grandi famiglie clericali. Lui li accusa di ipocrisia e di corruzione, i nemici ribattono punto su punto schernendo l’inesperienza sua e dei suoi collaboratori. Il 9 agosto, nel corso di una visita in Siria, Ali Akbar Velayati, importante consigliere di Khamenei (da sempre critico nei confronti di Ahmadinejad) ha dichiarato che l’Iran è disposto a trattare con gli Stati Uniti sul programma nucleare. La settimana seguente, un portavoce del ministero degli Esteri ha detto che Teheran non ha alcuna intenzione di imbarcarsi in negoziati. Il doppio linguaggio della diplomazia iraniana non è certo una novità, ma ora la cacofonia è un sintomo di confusione che nuoce all’immagine della Repubblica islamica. L’irritazione di Khamenei riguarda anche la volontà di ripresentarsi come arbitro irrinunciabile di fronte a un establishment che non lo ama ed è pronto a scaricarlo. Ecco allora che si rincorrono nuovamente le voci: “Ahmadinejad potrebbe presto cadere”. Riecco Zahra Rahnavard, moglie di Mir Hossein Moussavi, che annuncia: “Il governo è vicino al collasso”. Dopo aver legato il proprio destino a quello dei suoi pretoriani, per Khamenei sarebbe difficile disfarsi del suo presidente. Ma l’ayatollah ha buoni motivi per non fidarsi del suo principale alleato e Larijani, Velayati, Ghalibaf non perdono occasione per ricordarglielo. Sui missili dei pasdaran compaiono due scritte. Da una parte “Rivoluzione”, dall’altra “Mahdi”. Il giornale Kayhan, specchio piuttosto fedele degli umori di Khamenei, ha denunciato “un nuovo movimento che pretende di essere più rivoluzionario del leader supremo”. Ahmadinejad ha deciso uno spericolato rilancio della propria immagine. Il presidente punta a riconquistare il credito perduto nell’estate di sangue del 2009 con il nazionalismo. Mira a sedurre la gioventù e la classe media sposando esoterismo anticlericale e orgoglio nazionale, e per farlo si discosta dal suo mentore, il poco popolare ayatollah Mesbah Yazdi. Ahmadinejad rifiuta sempre più spesso di rispettare le sensibilità del clero, invita donne a far parte del suo governo e organizza banchetti per gli iraniani all’estero, da sempre sospettati di essere poco revolutionary correct. Manda avanti i suoi collaboratori più fidati, uomini come il controverso Esfandiar Rahim Mashaei. Amico e consuocero di Ahmadinejad, Mashaei è il capo di gabinetto del presidente e ha accumulato potere e benessere negli ultimi due anni. Imprevedibile, a volte descritto come un moderato, a volte come l’ideologo dietro il nuovo volto di Ahmadinejad, Mashaei ha destato sensazione suggerendo di diffondere nel mondo “l’islam iraniano” e insistendo sul valore dell’identità iraniana, contrapposta a quella islamica. Frasi seducenti e pericolose – dicono i conservatori – frasi che strizzano l’occhio alla diaspora e ai verdi delusi e che, ovviamente, non sono affatto piaciute a Khamenei.
Il SOLE 24 ORE - Farian Sabahi : " Chi Sakineh ferisce di Carlà perisce "
Farian Sabahi scrive : " il presidente iraniano Ahmadinejad che in questi anni ha fatto di tutto per finire sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, lanciando invettive e pronunciandosi persino sull'Olocausto.". Sostenere che il negazionismo e l'odio antisemita di Ahmadinejad non siano altro che pretesti per finire sulle pagine dei quotidiani è assurdo. Significa sottovalutare la pericolosità del regime degli ayatollah e del suo programma nucleare. Sottovalutare le mosse di Ahmadinejad è una politica che, purtroppo, continua a venire praticata da molti, in Occidente. Obama per primo, con la sua mano tesa, non ha fatto altro che regalare tempo prezioso ad Ahmadinejad. Ecco l'articolo:
Farian Sabahi
Chi di media ferisce di media perisce. E ora lo star system sta per rivelarsi un'arma a doppio taglio per il presidente iraniano Ahmadinejad che in questi anni ha fatto di tutto per finire sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, lanciando invettive e pronunciandosi persino sull'Olocausto. Prima di lui soltanto l'Ayatollah Khomeini aveva utilizzato i mezzi di comunicazione in modo tanto eclatante, poi i religiosi sciiti di diverso rango hanno messo in atto una serie di misure per apparire, ma sottotono. All'inizio della sua presidenza, per esempio, il riformatore Khatami aveva cambiato la montatura degli occhiali, scegliendone una più leggera e giovani-le, optato per un famoso sarto di Qum e lanciato lo slogan del dialogo tra civiltà. E nella campagna per le presidenziali del 2005 il candidato Rafsanjani aveva girato uno spot elettorale dal barbiere. Ma tutto questo è ben poco in confronto a quanto messo in scena da Ahmadinejad che, con le sue giacchette economiche di produzione cinese, ha approfittato dell'esposizione mediatica per farsi pubblicità in patria guadagnando consensi. Basti pensare all'accoglienza da eroe in Brasile grazie alla complicità del presidente Lula. Ora, l'esposizione mediatica rischia però di diventare un'arma a doppio taglio. A infliggere il colpo sono sia i nemici del presidente iraniano sia l'alleato brasiliano che con Ahmadinejad condivide la politica populista e antimperialista e, soprattutto, il comune nemico statunitense. Per il resto l'Iran e il Brasile sono molto diversi, basti pensare alla condizione femminile. E quindi - su pressione dell'opinione pubblica interna - nelle scorse settimane il presidente brasiliano ha offerto rifugio a Sakineh, l'iraniana condannata alla lapidazione perché accusata di adulterio e di complicità nell'omicidio del marito. La poveretta ha subìto 99 frustate ed è stata obbligata a confessare le proprie colpe in televisione, nella peggiore tradizione della monarchia Pahlavi che già usava queste misure come deterrente. Dopo l'intervento del presidente brasiliano e un appello dell'intellettuale francese Bernard-Henri Lévy, adesso a intervenire è Carla Bruni con una lettera in cui informa Sakineh che «mio marito difenderà la vostra causa senza sosta e la Francia non vi abbandonerà». Ahmadinejad si indignerà per questa (ennesima) intromissione ma forse a salvare Sakineh sarà proprio lo star system. È già successo a maggio quando per far uscire di galera il regista Jafar Panahi ci sono volute le lacrime di Juliette Binoche che, al festival di Cannes, ne chiedeva la scarcerazione.
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