Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 24/08/2010, a pag. 12, l'articolo di Alessandra Farkas dal titolo " Afghanistan, l’ottimismo di Petraeus: 'Fermata l’offensiva dei talebani' ", l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " La cattura del mullah: una 'vendetta' pachistana per fermare i negoziati ".
Ecco i due articoli:
Alessandra Farkas : " Afghanistan, l’ottimismo di Petraeus: 'Fermata l’offensiva dei talebani' "

Alessandra Farkas
NEW YORK — David Petraeus, il generale più amato dagli americani, non teme di fare la stessa fine del suo predecessore McChrystal, silurato due mesi fa per aver criticato l’operato dell'amministrazione Obama in un’intervista a Rolling Stone. «Quando fai un lavoro come il mio, sai bene che ogni giorno potrebbe essere l’ultimo», ha dichiarato ieri alla Bbc il comandante di tutte le forze internazionali in Afghanistan.
La provocatoria domanda del giornalista John Simpson («Non teme di essere licenziato?») è arrivata alla fine di un’intervista in cui il generale che ha pacificato l’Iraq è tornato a sfidare il presidente Obama sulla sua decisione di cominciare già nel luglio 2011 il ritiro dei centomila soldati americani oggi dislocati in Afghanistan.
«Quella è la data d’inizio di un processo, né più né meno», ha affermato Petraeus, precisando che «non è la data in cui le truppe Usa cominceranno il loro esodo, cercando l’uscita e l’interruttore per spegnere la luce dopo aver abbandonato la stanza». Il comandante di tutte le forze internazionali in Afghanistan ha poi affermato che le truppe della Nato hanno ripreso il sopravvento sui talebani in alcune regioni, e di attendersi «aspri combattimenti» per ottenere lo stesso risultato nelle altre: «I vantaggi registrati dai talebani in questi ultimi anni sono stati annullati in diverse regioni e lo saranno anche nelle altre. Ciò richiederà aspri combattimenti». Sfidando persino il segretario alla Difesa Usa Robert Gates, che la settimana scorsa ha ribadito come l’inizio del ritiro delle truppe Usa dal Paese asiatico resta fissato al luglio 2011, Petraeus ha quindi puntualizzato che «quella data segnerà solo l’inizio del processo di transizione di limitati incarichi ad alcune forze afghane», ma soltanto «in quelle aree dove le condizioni lo permettano» e «al ritmo consentito da tali condizioni».
Il generale si è rifiutato di chiarire se la data del ritiro debba essere riveduta. «Nel luglio del 2011 offrirò al presidente i miei migliori consigli professionali in merito», si è limitato a precisare, spiegando che «è prerogativa di Obama accettarli o rifiutarli».
Due mesi dopo essersi insediato al posto di McChrystal, il generale Petraeus ha lanciato un vero e proprio blitz mediatico per convincere l’America a fermare ciò che i repubblicani hanno ribattezzato «la corsa al ritiro». «Possiamo vincere questa guerra, ma solo se non abbiamo fretta di andarcene», ha detto. Ma la sua crociata appare tutta in salita. L’opinione pubblica americana non vede l’ora di porre fine alla presenza Usa nella regione. In vista delle elezioni di midterm ciò preoccupa soprattutto i democratici, intenti a placare l’ala liberal del partito irata dall’invio di altri 30 mila uomini in Afghanistan alla fine del 2009.
Se non vuole alienare ulteriormente queste «colombe», Obama dovrà mantenere ferma la data del ritiro, scontentando nel contempo l’establishment militare vicino ai repubblicani che da tempo corteggiano Petraeus per convincerlo a proseguire sulle orme dei generali Colin Powell e Wesley Clark. Candidandosi alle presidenziali del 2012, e proprio contro il suo attuale boss.
Guido Olimpio : " La cattura del mullah: una 'vendetta' pachistana per fermare i negoziati "

Pakistan
Se Washington e Kabul vogliono trattare con i talebani devono farlo con la mediazione del Pakistan. Guai a tenerlo fuori. Quello che tutti hanno sempre sospettato ha avuto una nuova conferma da un retroscena raccontato dal New York Times. In gennaio i pachistani hanno catturato l’importante mullah Baradar con l’obiettivo di far saltare un negoziato segreto tra il governo di Kabul e gli stessi talebani. Una trattativa che si stava svolgendo alle spalle di Islamabad e per questo doveva essere bloccata. E non è finita: l’arresto è stato reso possibile dall’intervento della Cia che, a sua volta, sarebbe stata ingannata dall’alleato.
Il primo atto dell’intrigo risale alla fine dello scorso anno. Il governo Karzai promuove contatti riservati con i talebani ed in particolare con Baradar, numero due del movimento e stretto collaboratore del mullah Omar. Il negoziato è affidato al fratello del presidente e collaboratore della Cia, Ahmed Wali, mentre a Dubai opera un alto funzionario dei servizi afghani. Quando i pachistani scoprono quello che sta accadendo temono di essere tagliati fuori e lanciano l’operazione sabotaggio.
In gennaio gli uomini dell’Isi — i servizi — ricevono una segnalazione sulla presenza di Baradar a Karachi, la città pachistana che è il letto caldo dell’estremismo islamista. Lo cercano ma non riescono a trovarlo. Il mullah è cauto, usa poco il telefono. Gli 007 chiedono allora aiuto alla Cia, senza però dire — sostiene la ricostruzione — chi è il bersaglio della caccia. L’intelligence statunitense invia un suo team di specialisti dotato di sofisticate apparecchiature di intercettazione. L’assistenza tecnica si rivela decisiva. E nella rete elettronica tesa dagli agenti cade Baradar. I pachistani lo arrestano e impediscono alla Cia di interrogarlo. Quindi colpiscono ancora fermando una ventina di dirigenti talebani.
Quando viene diffusa la notizia dell’arresto si enfatizza il «grande successo nella lotta al terrore», ma dopo pochi giorni trapelano le prime indiscrezioni su una possibile manovra dell’Isi. C’è chi parla di «autogol» e chi accusa direttamente Islamabad di aver voluto danneggiare un importante canale di dialogo con i ribelli.
Ora, dopo molti mesi, i pachistani dell’Isi lasciano trapelare la loro soddisfazione per il blitz e alcuni funzionari sono così sfrontati da prendere in giro i loro colleghi americani che, inconsapevolmente, hanno favorito il piano. Portata a casa la preda, l’Isi l’ha sistemata in una residenza sorvegliata. Baradar potrebbero tornare utile per futuri negoziati ma alle condizioni dettate da Islamabad. I pachistani non nascondono certo le loro intenzioni. Noi abbiamo fatto crescere e protetto i talebani — è il senso del discorso —. Non permetteremo ai mullah di stringere un patto con Karzai e gli indiani.
La storia di Baradar verrà vista a Washington come la prova dell’infedeltà dei pachistani. Ricevono montagne di dollari dagli Usa, affermano di essere partner ma poi badano ai loro interessi.
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