Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 23/08/2010, a pag. 12, gli articoli di Alberto Simoni e Maurizio Molinari titolati " Teheran mostra il suo drone d’attacco " e " Odierno punta il dito sull’Iran: addestra i miliziani in Iraq ".
Ecco i due articoli:
Alberto Simoni - " Teheran mostra il suo drone d’attacco "
Ahmadinejad mostra il nuovo drone Karrar
All’indomani dell’accensione del reattore della prima centrale nucleare iraniana a Bushehr, Teheran segna un nuovo record nella corsa allo sviluppo di armamenti.
Ieri, in occasione della Giornata nazionale dell’industria della difesa, il presidente Mahmoud Ahmadinejad ha illustrato l’ultima creatura dell’apparato bellico del regime: il drone Karrar, il primo totalmente prodotto e costruito sul territorio iraniano. Questo velivolo senza pilota (Uav in gergo) rappresenta un salto di qualità. Oltre a unire le ormai classiche capacità di ricognizione e spionaggio ad alta quota, il Karrar assolve il compito di bombardiere, essendo dotato di 4 missili teleguidati e di due bombe da 115 kg (sostituibili con un ordigno ad alta precisione da 230 chili). Ha un raggio d’azione di mille chilometri e, sospinto da un motore turbo-jet, raggiunge i 900 chilometri orari. Può contemporaneamente «spiare» e colpire molteplici obiettivi.
«Oltre a essere un ambasciatore di morte per i nostri nemici, il Karrar è portatore di un messaggio di grandezza per l’umanità», ha detto un sorridente Ahmadinejad, che ha pizzicato Stati Uniti e Israele, definendoli «una banda di criminali che minacciano la sicurezza». «Dicono che tutte le opzioni sono sul tavolo. Bene, anche noi diciamo che tutte le opzioni sono sul tavolo», ha tuonato il leader conservatore che considera il Karrar uno strumento di deterrenza, ma ha lasciato intendere, nel suo linguaggio colorito, che consentirà all’Iran di «ricorrere ad attacchi preventivi nel caso di minacce imminenti». «Il nostro Ministero della Difesa ha raggiunto un livello tale da poter tagliare le mani all’aggressore prima che questo decida di aggredirci», la sintesi del leader iraniano sulla guerra preventiva offerta alla platea dell’Università di Malek-e Ashtar.
Ma al di là della retorica del Presidente, è il marchio totalmente «made in Iran» idealmente stampato sui droni a preoccupare. Dal 1992 l’Iran fabbrica carri armati, veicoli corazzati, missili e caccia. Ma mai si era spinto a produrre droni. Quelli in uso, come il Baz e il Sahahin, infatti hanno know-how e componenti straniere. Un test di un drone armato «invisibile» ai radar era stato effettuato nel giugno del 2009; tre mesi prima caccia Usa avevano abbattuto un velivolo spia senza pilota nei cieli iracheni, ma nessun dettaglio sul modello e sulla dinamica dell’incidente era trapelato, né da Teheran né da Baghdad.
Prima della presentazione del prototipo di Karrar, il ministro della Difesa, generale Ahmad Vahidi, aveva dichiarato che «la capacità difensiva dell’Iran ha raggiunto un livello tale da non aver più bisogno di aiuti dai Paesi stranieri». Non è chiaro se il Karrar rappresenti il culmine del processo tecnologico e militare della Repubblica islamica. L’Iran infatti deve ancora inaugurare due linee di produzione per i motoscafi Seraj e Zolfagar equipaggiati con lancia-missili.
Lo scorso febbraio era stata avviata la costruzione di due Uav (il Rad e il Nazir) capaci di condurre operazioni di ricognizione, sorveglianza e assalto con bombe ad alta precisione. Quasi sotto silenzio è invece passato, venerdì, il test (riuscito) del missile terra-terra Qiam che ha una gittata di 1.500 chilometri. A Teheran sono convinti che proprio il Qiam abbia un valore strategico fondamentale. Vahidi ha parlato di «un grande vantaggio tattico poiché il vettore è difficile da intercettare». Tutti segnali che l’Iran, consapevole che gli Usa tengono aperta l’opzione della forza, ha intensificato la corsa agli armamenti.
Maurizio Molinari - "Odierno punta il dito sull’Iran: addestra i miliziani in Iraq"
il comandante americano in Iraq Raymond Odierno
Con il ritiro delle truppe combattenti ormai ultimato, il comandante americano in Iraq Raymond Odierno mette in guardia Baghdad dai «rischi portati dall’Iran». L’occasione viene da una raffica di interviste concesse ai maggiori network in occasione dei talk show domenicali, durante le quali Odierno spiega che «l’Iran sta favorendo l’instabilità nel confinante Iraq finanziando e addestrando gruppi estremisti sciiti che a volte compiono attacchi».
Le parole del generale si sovrappongono alle notizie in arrivo da Bassora, principale centro del Sud sciita iracheno, dove in un agguato è caduto il primo soldato americano del dopoguerra. «L’intenzione di Teheran è di rendere l’Iraq debole, vulnerabile, precario e per riuscirci aiutano, addestrano e finanziano gruppi violenti che mettono a segno attentati, occasionalmente anche contro americani» sottolinea Odierno, senza fare esplicito riferimento a quanto avvenuto vicino a Bassora.
D’accordo con il generale è Zalmay Khalilzad, ex ambasciatore americano a Baghdad e Kabul, che aggiunge: «L’Iran vuole essere la potenza egemone nel Medio Oriente e dunque non ha interesse all’affermarsi in Iraq di una solida e prospera democrazia, per questo motivo cercherà di minarne le fondamenta in qualsiasi maniera». Le parole di Khalilzad evocano la perdurante assenza di un governo a Baghdad a causa delle divisioni fra i leader sciiti Al Maliki e Allawi. «Teheran ha un governo in mente e vuole favorirne la formazione» commenta Odierno, lasciando intendere che nei continui disaccordi fra i due campi potrebbe esserci lo zampino del presidente Ahmadinejad.
Interferenze politiche a parte, ciò che più preoccupa Washington è la possibilità che Teheran mini in Iraq il mantenimento della sicurezza, infiltrando gruppi armati. A suggerirlo è William Fallon, il generale che è stato al comando delle truppe in Medio Oriente, secondo il quale «dopo il nostro ritiro la maggiore vulnerabilità dell’Iraq è la sicurezza dei confini». Se infatti negli ultimi tre anni l’esercito americano ha progressivamente passato le competenze della sicurezza dei centri urbani agli iracheni, «la sicurezza esterna fino ad ora è stata gestita da noi», sottolinea Fallon trovando il consenso di Richard Myers, ex capo degli stati maggiori congiunti. «L’Iran è in grado di minacciare in molti modi l’Iraq, aumentando in questa maniera la propria influenza politica su quanto avviene a Baghdad», aggiunge Myers.
È questo scenario che spiega perché l’amministrazione Obama auspica un accordo militare con Baghdad al fine di mantenere propri contingenti sul territorio nel prossimo futuro. Odierno lo dice con chiarezza: «Se gli iracheni ce lo chiederanno, potremmo siglare con loro degli accordi per avere delle nostre basi sul modello di quanto già facciamo da anni con l’Egitto e l’Arabia Saudita». Questa ipotesi potrà concretizzarsi solo se Baghdad prenderà l’iniziativa in quanto il governo Usa tiene a sottolineare che la decisione di ritirare i rimanenti 50 mila soldati entro l’ottobre 2011 «non è modificabile».
Resta da vedere se da qui al 2011 a l’Iraq avrà un governo politicamente forte al punto da poter prendere l’iniziativa di ospitare basi Usa nel lungo termine. Odierno e Myers si dicono sicuri che «nel 2012 gli iracheni saranno in grado di gestire la soli l’intero Paese» anche se ciò non significa che il pericolo di attacchi terroristici sia tramontato. «Quanto avvenuto con il recente attacco contro un centro di reclute a Baghdad - osserva Odierno - dimostra che attentati terroristici continueranno ad essere possibili perché in una nazione grande come l’Iraq non è possibile controllare ogni singolo cittadino». Anche per questo ha detto che le truppe Usa rimaste in Iraq «in qualsiasi momento sono in grado e pronte, se necessario a tornare a combattere».
Ora la palla è nel campo degli iracheni. «Siamo in Iraq dal 2003, gli iracheni sapevano che prima o poi sarebbe toccato a loro gestire la sicurezza - conclude Myers - e adesso questo momento è giunto». Il resto lo dirà Obama nel discorso sull’Iraq che pronuncerà al ritorno dalle vacanze a Martha’s Vineyard.
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