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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Yosef Hayim Yerushalmi, Assimilazione e antisemitismo razziale 23/08/2010

Assimilazione e antisemitismo razziale:
i modelli iberico e tedesco                         Yosef Hayim Yerushalmi
Giuntina                                                            Euro 8


L’aspetto fragile ingannava. Anche quando era già un anziano signore dai modi cortesi e quasi sommessi, fedele al principio dell’understatement, Yosef Hayim Yerushalmi sapeva ancora infiammarsi di passione per il suo mestiere di storico. Alla Columbia University, dove aveva insegnato a lungo, era una vera istituzione, e il suo libro Zakor. Storia ebraica e memoria ebraica è ancor oggi una riflessione fondamentale sul farsi dell’identità nel giudaismo. La sua scomparsa nel 2009 ha sancito la fine di un’epoca, quella degli studiosi legati al mondo dell’Europa orientale. Anche se nato nel Bronx, Yerushalmi proveniva da una famiglia di immigrati dalla Russia e come il suo maestro Salo W. Baron, era restato fedele al carattere cosmopolita e al puntiglio metodologico dell’ambiente liberal del Novecento.
Il pamphlet su Assimilazione e antisemitismo razziale, appena uscito per Giuntina, riflette nitidamente l’universo intellettuale di Yerushalmi. E’ un paragone, pacato nel tono ma tagliente nel contenuto, tra il mondo iberico e quello tedesco. Il filo conduttore è il dissidio tra assimilazione e rifiuto degli ebrei in due situazioni storiche tra loro profondamente diverse: da una parte la Spagna e il Portogallo, tra la fine del XIV e il XVIII secolo dall’altra la Germania tra otto e Novecento. Secondo Yerushalmi, queste due realtà, per quanto distanti, hanno in comune un drammatico climax di odio.
Tra la fine del Tre e gl’inizi del Quattrocento, un’ondata di conversioni, in buona parte forzate ma anche volontarie, aveva trasformato un numero ingente di ebrei in “nuovi cristiani”. Ma proprio quando la società spagnola sembrava aver realizzato il sogno medievale dell’integrazione del giudaismo nell’”ecclesia”, iniziò un meccanismo perverso di rivalsa sui neo-convertiti, per il loro vero o presunto successo sociale. L’ipotesi del libro è che nella penisola iberica non si sia trattato di antigiudaismo religioso, ma di una forma vera e propria di razzismo, incentrata sul concetto di limpieza de sangre. Anche solo una piccola traccia di ebraicità, in un ramo collaterale della propria genealogia, portò all’esclusione da incarichi di rilievo e dalla stessa vita sociale.
Viene così a cadere l’idea, spesso ripetuta, del carattere moderno e pseudo-scientifico del razzismo, che sarebbe l’innovazione di una società ormai secolarizzata. Per Yerushalmi, nella cristianissima Spagna, e poi in Portogallo, quando la distinzione religiosa non bastò più a “contenere” gli ebrei che si erano convertiti, si passò a una definizione razziale, non di rado con l’approvazione delle strutture ufficiali della Chiesa.
“Raza” recita il grande dizionario castigliano del 1611, “intesa in senso negativo, è avere in sé una qualche discendenza de moros o judìos”. Un esempio precoce di lessico dell’intolleranza, che avrebbe fatto scuola.


Giulio Busi
Il Sole 24 Ore


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