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Angelo Pezzana
Israele/Analisi
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Washington, l'ospite assente 22/08/2010

INFORMAZIONE CORRETTA - Angelo Pezzana : " Washington, l'ospite assente"

Terminato il silenzio mediatico dello shabbat,  è l’ora dei commenti e delle analisi. Quel che valeva venerdì sera, nelle dichiarazioni soprattutto della parte palestinese, assume, a distanza di sole ventiquattr’ore, dei contorni differenti. Non è vero, per esempio, che sono rimaste sul tavolo le precondizioni ricordate da Abu Mazen, non si è più fatto cenno a congelamenti di sorta, ai confini del ’67, nè ai rifugiati. Neppure il Quartetto, nel comunicato che ha emesso ieri, ha ricordato i punti contenuti in quelli precedenti (Trieste, New York, Mosca), ma si è limitato a dare saggi consigli alle parti, invitandole a “ trovare una soluzione che porti alla fine dell’occupazione che dura dal ’67, che porti alla creazione di uno stato palestinese indipendente, democratico, praticabile (“viable”), accanto e in pace con Israele e gli altri vicini “, un augurio la cui sottoscrizione è certamente augurabile, e che ha spinto Bibi Netanyahu a dichiarare “ raggiungere un accordo è una sfida difficile ma possibile”.

Tutti i commenti oggi sottolineano che è proprio lui ad uscire con un’immagine largamente positiva, dato che l’asso sul quale puntavano i palestinesi, legato alle pre-condizioni senza le quali non si sarebbe iniziato nulla, non è stato calato sul tavolo. Che senso aveva infatti andare sino a Washington per discutere l’assetto finale di un accordo, quando quando i termini della risoluzione erano già contenuti nelle pre-condizioni ?.  Ci è arrivato persino Obama, il che aiuta a capire perchè Abu Mazen, dopo aver cercato in ogni modo di coinvolgere il Quartetto, la Lega araba, richiamandosi alle precedenti dichiarazioni di entrambi, ha dovuto alla fine far buon viso a cattivo gioco, accettando la nuova linea dell’amministrazione americana.

Non è che adesso la situazione è più semplice, ma si è sbarazzato il tavolo da una narrativa tutta palestinese che chiamava in causa il solo Israele e imponeva le proprie condizioni come se fossero diktat. Bibi ha tenuto duro, e questo dimostra alle istituzioni occidentali quanto poco conoscono la mentalità orientale, araba in particolare. Intorno al tavolo delle trattative non ci sono la Svizzera, il Lichenstein o il Belgio, ma paesi abituati a seguire metodi e tecniche del tutto dissimili da quelli abituali alle nostre diplomazie. L’apertura verso l’avversario, ma anche il nemico, non è vista come un buon inizio per superare posizioni lontane, viene invece considerata sintomo di debolezza, come ha ben dimostrato l’insuccesso continuo della politica estera di Obama, tanto da essere addirittura preso in giro da una canaglia come Ahmadinejad, un figuro al quale Obama si era rivolto con il cappello in mano, convinto che fosse la tecnica giusta. Adesso qualcuno deve avergli suggerito che i problemi con il mondo arabo si può tentare di affrontarli, e risolverli, mostrandosi deciso e non remissivo, con idee chiare e senza troppi sorrisi, le cose stanno così, prendere o lasciare. Per ora, i palestinesi hanno preso, anche se i problemi che stanno dietro le singole buone volontà di Bibi e Abu Mazen sono enormi. L’ospite muto a questi colloqui è infatti Hamas, che guida Gaza e si propone, appena ne avrà l’occasione, di farlo anche in Cisgiordania, che venga chiamata ancora così oppure Stato di Palestina. Ecco che la richiesta di Netanyahu di affrontate prima di tutto il fattore sicurezza assume in pieno la sua importanza. Se può essere ipotizzabile uno Stato smilitarizzato guidato dall’Anp,  lo stesso non vale per una seconda Gaza. Hamas sta fuori dall’uscio, ma la sua assenza preoccupa come se fosse presente.


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