Israele intensifica gli scambi economici con l'Asia In particolare India e Cina stanno diventando partner commerciali importanti
Testata: Il Foglio Data: 21 agosto 2010 Pagina: 3 Autore: La redazione del Foglio Titolo: «C’è una svolta asiatica dietro la ripresa economica di Israele»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 21/08/2010, a pag. 3, l'articolo dal titolo " C’è una svolta asiatica dietro la ripresa economica di Israele ".
Un articolo interessante sull'andamento dell'economia israeliana. Peccato per lo scivolone sulla capitale che, secondo l'autore del pezzo, sarebbe Tel Aviv e non Gerusalemme. Ecco l'articolo:
Stanley Fischer, il governatore della Banca centrale di Israele
Roma. Stanley Fischer, il governatore della Banca centrale di Israele che ha avuto per allievo Ben Bernanke, attuale omologo alla Fed americana, ha colto di sorpresa gli economisti ritoccando al rialzo il tasso di sconto lo scorso 26 luglio. Una scelta che ha trovato una spiegazione questa settimana, dopo la pubblicazione degli ultimi dati, altrettanto sorprendenti, della crescita dell’economia di Tel Aviv: tra aprile e giugno il pil dello stato ebraico è cresciuto del 4,7 per cento, un punto in più delle previsioni, grazie al boom dell’immobiliare, dei consumi interni e, ancor di più, dell’export. Dato il precedente, sono in pochi ad azzardare una previsione su quel che alla riunione della Banca centrale di lunedì prossimo dirà Fischer, confermato di recente dal premier Benjamin Netanyahu. Vista la congiuntura negativa dei clienti tradizionali di Israele, Stati Uniti e Unione europea, è facile prevedere che l’economia del paese sia destinata a frenare, così come lo shekel, protagonista di un rialzo sul dollaro che non è certo visto di buon occhio in un paese che, per il 40 per cento del prodotto interno lordo, dipende dall’export. Ma anche stavolta, le carte sul tavolo potrebbero consigliare a Fischer, preoccupato dal boom del mattone – i prezzi sono saliti più del venti per cento in un anno – una scelta a sorpresa. La realtà è che, a guardar dentro i dati delle esportazioni cresciute quasi del 16 per cento nella prima metà dell’anno, si scopre che l’orizzonte di Tel Aviv, almeno dal punto di vista degli scambi commerciali, si è spostato di 180 gradi, da ovest verso est. Certo, gli Stati Uniti restano di gran lunga il primo partner, con un giro d’affari di 5,7 miliardi di dollari. Ma al secondo posto, a sorpresa, spunta l’India: gli scambi con Tel Aviv, tecnologia militare in testa, sono raddoppiati fino ad un miliardo di dollari. Intanto la Cina, nonostante il veto di Washington sulla cessione di armi sviluppate da Stati Uniti e Israele, balza dall’undicesimo al quinto posto tra i clienti di Tel Aviv, con un incremento del 115 per cento a 755 milioni di dollari. Una tendenza che promette, secondo Yitzhak Lubelski dell’Università di Tel Aviv, di accelerare nei prossimi anni, vista la qualità dell’offerta di Israele in materia di prodotti e di tecnologia applicata all’agricoltura, alla qualità del settore difesa e, soprattutto, dell’alta tecnologia sviluppata nei laboratori del Negev. E’ la nuova frontiera dell’est che ha consentito a Israele di ridurre la disoccupazione di un punto, al 6 per cento, senza per questo frenare la mini stretta creditizia voluta da Fischer per tenere sotto controllo l’inflazione, e senza dover rallentare gli investimenti nei settori chiave, a partire dalla ricerca. A questo proposito ha appena preso il via il progetto di creare 30 centri di eccellenza scientifica in grado di attrarre una parte dei 4.500 cervelli emigrati nelle università americane, offrendo loro (oltre alla possibilità di lavorare a distanza con i cugini americani), borse di studio quinquennali che arrivano fino a 400 mila euro. Ma l’ultima, clamorosa sfida si gioca nelle acque territoriali, poco al di sotto dei confini con il Libano. Qui, rivelava ieri l’International Herald Tribune, sono stati individuati giacimenti sottomarini di gas per 120 miliardi di metri cubi, potenzialmente sufficienti per fare di Israele, nel giro di pochi anni, un paese esportatore di energia. Certo, le difficoltà non mancano: dallo stato di conflitto latente con il Libano e gli altri paesi vicini, alle lobby interne legate allo sfruttamento del carbone, oggi la prima (e assai inquinante) fonte di energia interna. Ma la strada sembra segnata: di qui al 2015 Israele potrebbe essere un paese esportatore di energia assai più legato, sul piano economico, all’oriente asiatico che non all’Europa.
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